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Nell’articolo che segue Lucio Biagioni mette insieme la presentazione del libro “Mattei forever”, gli altri tre volumi di Maurizio Verdenelli sull’argomento e una lettura ai raggi X della relazione Calia sulla morte del Presidente dell’Eni, riproponendo con richezza di particolari il giallo della sua morte. Biagioni avanza dubbi e interrogativi sulle certezze, recentemente diffuse, che hanno cercato di attribuirne le cause solo al maltempo – unica ragione della caduta dell’elicottero. E’ questa una semplificazione insostenibile. Il caso Mattei resta uno dei gialli più inquietanti della storia dell’Italia del dopoguerra e Biagioni ne ripropone tutta intera l’oscura drammaticità

di Lucio Biagioni

Esiste (meglio dire: esisteva?) un Piano Mattei? Certo che sì. Il principio era semplice. Riassunto da due cifre: 75 – 50. Il 75 per cento dei profitti ai Paesi produttori, contro il 50 per cento offerto dal cartello petrolifero mondiale. Oltre alla garanzia d’impiego e qualificazione della forza lavoro locale. In Persia, in Marocco, in Libia, nell’Algeria del Fronte di Liberazione Nazionale. Alla base del piano, altrettanto semplice, c’erano l’idea e la volontà di un dialogo paritario ed equilibrato con i Paesi cosiddetti in via di sviluppo, che ancora pativano il giogo del passato coloniale. “Gli accordi commerciali che Mattei promuoveva arrecavano enormi vantaggi ai Paesi produttori di greggio”, mi dice in vivavoce al telefono Otello Lupacchini, mentre in macchina con Maurizio Verdenelli saliamo verso l’acròpoli dove, nella Sala “Falcone e Borsellino” della Provincia di Perugia, ci attende la presentazione di un volume sul Presidente dell’Eni di cui Lupacchini è coautore (con Verdenelli e Cesare Bernabei), “Mattei forever”, per i tipi di Ilari Editore. Impossibilitato ad esserci, promettendo un intervento da remoto per il pubblico in sala, Lupacchini, già magistrato e docente universitario, oggi apprezzato saggista, degli accordi stipulati da Mattei sottolinea “la portata rivoluzionaria”. “Il fatto che si ponessero le basi”, dice, “per un possibile sviluppo industriale delle ex-colonie europee, ma anche uno sviluppo industriale equo e soprattutto autonomo dalle grandi potenze mondiali, gli attirò una crescente ostilità non solo da parte delle grandi compagnie petrolifere, ma anche di ambienti legati ai governi di Gran Bretagna e Usa.” Nel saggio scritto per il libro, l’ex-magistrato cita un rapporto confidenziale del Foreign Office, 19 luglio 1962: “Il ‘Matteismo’ è potenzialmente pericoloso per tutte le compagnie petrolifere che operano nell’ambito della libera concorrenza. Non è una esagerazione asserire che il successo della politica ‘Matteista’ rappresenta la distruzione del libero sistema petrolifero in tutto il mondo.” Né mancò chi accusava Mattei di un “completo asservimento alla politica di Mosca.”

Un fantasma si aggirava il 28 maggio scorso nella Sala “Falcone e Borsellino” della Provincia di Perugia, durante la presentazione perugina di “Mattei Forever”, organizzata dal Lions Club Perugia Augusta Perusia, nel quadro di una serie di iniziative sul patrimonio culturale: il fantasma di una intervista a tutta pagina che Il Corriere della Sera, qualche giorno prima, aveva fatto a Lupo Rattazzi, figlio di Susanna, nipote di Gianni Agnelli e presidente di una compagnia aerea privata. Il fantasma, a dir la verità, si era di già ridotto col passar dei giorni ad un fantasmino. Le grandi rivelazioni promesse dall’intervista (“Su Mattei nessun complotto. Posso dimostrare che il suo aereo precipitò solo per il maltempo”) erano state all’indomani riprese, seppur con enfasi, soltanto dal direttore de “Il Foglio” Giuliano Ferrara: un silenzio cui non era forse estraneo il fatto che l’intervista del Corriere ricalcava pari pari il contenuto di un pezzo pubblicato oltre due anni prima, l’8 marzo 2023, da “La Verità” (Il libretto dissequestrato che smonta il complotto: Enrico Mattei non fu ucciso), e rilanciato due settimane dopo da AIR ACCIDENTS.com, una newsletter specializzata in incidenti aerei. Tutto è nato, sostiene Rattazzi, dal fatto che Vincenzo Calia, il magistrato che nel 1994 aveva “riaperto” il caso Mattei, aveva ipotizzato che, in quel suo ultimo viaggio in Sicilia, il Presidente dell’Eni si sarebbe portato dietro “in segreto” un secondo aereo Morane Saulnier, lo I-SNAI, gemello dello I-SNAP su cui viaggiava Mattei, onde ridurre il rischio di sabotaggi con una scelta last minute dell’aeromobile da utilizzare. Lo I-SNAI, venduto all’indomani della morte di Mattei, è stato recentemente “ritrovato” da Rattazzi, che lo ha acquistato dal suo ultimo proprietario americano (era appartenuto anche all’attore John Travolta) e lo ha appena regalato a “Volandia”, Parco e Museo del Volo nel Varesotto, “non perché sia avvezzo a donare aerei”, ha dichiarato il 17 maggio scorso (due giorni dopo l’intervista al Corriere) Rattazzi al TG3  in un servizio sulla cerimonia ufficiale della donazione, “ma per amore della storia”. Insieme all’aereo, Rattazzi ha recuperato anche il Libretto di Volo: nel quale (ed è questo il punto-chiave della sua argomentazione) non v’è traccia di quel viaggio ausiliario in Sicilia che, nel caso fosse stato effettuato, il comandante dello I-SNAI Ferdinando Bignardi avrebbe sicuramente registrato (ammesso che, per le missioni “segrete”, valga questo tipo di procedura, NdR). Se dunque il secondo Morane Saulnier in Sicilia non c’era, la deduzione di Rattazzi è che non ci sarebbe stato neanche modo di sabotare lo I-SNAP che lasciato solo lavorò a tempo pieno, negli spostamenti fra Catania e Gela. E quindi se l’aereo di Mattei cadde a Bascapè, la colpa è del maltempo, della pioggia, della tempesta; anzi no, della caparbietà di Mattei che era voluto atterrare lo stesso; anzi nemmeno, dall’errore di guida del comandante Bertuzzi che arriva troppo alto e non riesce ad imboccare il sentiero di discesa, anche perché il Morane Saulnier era un jet rudimentale travestito da executive, e non aveva, nota l’intervistato, nemmeno l’autopilota. Ecco che cade il complotto! Ecco il caso Mattei che cambia di segno! Ecco – “la mistificazione di successo che ha travolto la realtà delle cose”! (Giuliano Ferrara su “Il Foglio”)

L’improvvisa riduzione della morte di Mattei ad un problema di meteorologia fece sì che, in vista del dibattito su “Mattei forever” che avrei dovuto di lì a giorni moderare, decisi di leggermi per intero le cinquecento pagine della relazione Calia. Cominciai al mattino presto, in una domenica del maggio ancora piovoso. E la lettura fu così stupefacente, che m’inchiodò fino a sera.

Il testo del Procuratore di Pavia è impressionante. Ci sono tali e tanti di quei particolari, tanta meticolosità e precisione, nella sfilata delle testimonianze, quelle indipendenti che si accordano, quelle ritrattate che si contraddicono senza ritegno, in una caterva a giravolta di piccoli interessi personali, menzogne, raggiri, depistaggi, dietrofront improvvisi, corruzioni, pressioni, manipolazioni e occultamento d’informazioni, tagli irreversibili di audio cruciali in servizî Rai archiviati dopo la messa in onda, che la tessitura, intreccio e affresco che si producono dall’incastro delle singole voci non avrebbe, nella loro aspra e disarmante verità, saputo escogitare un romanziere: C’è il quadro di uno Stato, di poteri dello Stato, che si serve di grandi e piccole pedine, per far scomparire le tracce del primo assassinio politico della nuova Italia. Invece non è un romanzo e non è un film, né di Elio Petri né di Francesco Rosi. È la realtà, burocraticamente riflessa nelle deposizioni. La realtà senza frònzoli in presa diretta. Una realtà che, se accertata indubitabilmente quanto alle cause della caduta dell’aereo di Mattei e al contesto del delitto, non può più tradursi a tanti di anni di distanza in certezza giuridica tale da individuare, al di là di “sospetti e illazioni pur intensi e plausibili”, esecutori materiali e mandanti. Calia è il primo a riconoscerlo, e per questo la sua è una richiesta di archiviazione. L’istruttoria è chiusa, dimentichi.

Ma da qui a dire che è stata colpa del temporale e dei tuoni e fulmini ce ne corre. Nella relazione Calia, la carica detonata nel cruscotto dall’apertura del carrello è implicitamente provata dalle descrizioni a terra di testimoni ignari. Tutti costoro concordano sulla esplosione in volo, sul boato, “un botto e un chiaro in alto”, “un fuoco in alto”, una sfiammata, la fiamma che si spegne in caduta, si esprimono tutti con le stesse ingenue metafore, scie luminose, stelle cadenti, stelle filanti, bagliori, addirittura comete, lo scoppio avvenuto a circa un chilometro da Bascapè, “nel punto”, dice un testimone senza nulla sapere del presunto congegno occulto, “in cui tutti gli aerei tirano fuori il carrello”. (“Era voce corrente fra gli addetti ai recuperi che l’aereo, al momento di apertura del carrello, era esploso in aria, o era successo qualcosa per cui era caduto”, testimonia il gruista della Snam Fulvio Girelli.)

E poi c’è il comandante dell’altro aeroplanino, lo I-SNAI, Ferdinando Bignardi, che secondo Rattazzi non poté spiegare la sua versione dei fatti nel 1994 a Calia solo perché nel dicembre 1980, dopo aver accompagnato suo zio (di Lupo) Gianni Agnelli in Kenya, “Bignardi morì nell’attentato palestinese che a Nairobi fece esplodere l’Hotel Norfolk”. Ferdinando Bignardi (che per pochi giorni aveva persino fatto parte della prima Commissione d’Inchiesta Ministeriale) non poté dunque testimoniare davanti a Calia, ma sua moglie Maria Provini sì. La quale riferì che il marito era stato uno dei primi ad accorrere a Bascapè quella infausta sera. (Era tornato dalla Sicilia? Sì? No? Chi lo sa?). Una cosa però la moglie la sapeva. “So che mio marito”, dichiarò a Calia, “si faceva molte domande su quello che poteva essere successo, perché diceva che c’era un contadino che aveva visto l’esplosione in aria, o una luce.” (Calia, p. 57. E ora chi li tiene più i fans del thriller? NdR).

A questo punto mi chiedo se la vera notizia di tutta questa storia non sia invece un’altra: il tragico stato di salute dell’informazione in un paese nel quale il giornale più venduto in Italia pubblica a tutta pagina una intervista, che nei temi e negli intenti ripete pari pari, senza dirlo (senza saperlo? che sarebbe peggio), quanto era già uscito due anni prima su un’altra testata, spacciandolo per nuovo. E poi perché? Per sottolineare che non c’era mistero? Per far pubblicità al mecenatismo dello I-SNAI appena donato? E più ancora, pensando in grande: che tutto a quel tempo in Italia filava liscio, niente usciva dalla normalità in quel periodo che fu l’inizio di uno, che durò decenni, dei più torbidi e turbolenti capitoli della storia della Nazione: un quadro politico, sociale, culturale, emotivo di immane intensità, in cui si scontrarono con violenza poteri e forze e trame, e la morte di Mattei, quando se ne gustò l’amaro rigurgito negli Anni Settanta, fu replicata da quella di Pasolini e Moro? E dunque? Tutto ridotto alla presenza o meno in Sicilia di un aeroplanino superstite, ad un libretto di volo, e, sul piano politico, all’appellarsi liturgico ad un Mattei sbianchettato?

Ci sono particolari inimmaginabili nella relazione Calia, nel senso che non si possono inventare: come i grumi diffusi di particole di resti umani sospese sui rami degli alberi a centinaia di metri dall’impatto. Ed altri, come quello raccontato da tale Gino Devoti, che riferì con precisione di aver trovato a Bascapè, sulla riva di un fossetto per l’irrigazione che scorreva lungo il filare di piante opposto al punto di caduta del Morane Saulnier di Mattei, in direzione nord ovest, a circa 200 metri dal punto di caduta dell’aereo e nella direzione opposta al ventaglio di diffusione dei rottami di maggior dimensione, un paio di bretelle rosse, cui erano attaccati brandelli di tessuto umano. Di queste bretelle rosse, lessi in nota, c’era traccia nel verbale del 1962: figurava, tra i reperti inventariati, “un paio di bretelle rosse di foggia antiquata”, che furono ascritti, con altri ritrovamenti, a William (Bill) McHale, fotoreporter e giornalista di Time-Life New Service, capo della redazione di Roma, che aveva accettato da Mattei il disgraziato passaggio per Milano. (Era un agente della Cia, della quale il fratello era un senior officer, e il ruolo di giornalista gli serviva da copertura. Ma questa è tutta un’altra storia.) Bretelle rosse: le bretelle rosse che a Mattei furono regalate da Nasser, il presidente dell’Egitto? Lo aveva raccontato Paolo Pissard (figlio di Mazzini Garibaldi Pissard tecnico della perforazione dell’Agip) che ragazzetto ad un cenone di Capodanno al Villaggio Eni di Borca di Cadore nel Villaggio Eni si trovò seduto proprio di fronte a Mattei, col quale piacevolmente conversò, fino al momento in cui, per il cibo il vino e soprattutto per il riscaldamento eccessivo della sala, sia lui che tanti altri chiusi nel completo della festa cominciarono a sudare, ma nessuno, visto che il presidente si ostinava a tenersela addosso ben abbottonata, osò togliersi la giacca. Finché “Ma qui stiamo facendo la sauna, da’ il buon esempio, Enrico, tòglitela questa benedetta giacca!”, trillarono a Mattei la moglie Greta e la sorella Rina, che gli sedevano accanto. E lui, con un fil di voce: “Non posso proprio. Se levo la giacca cade il governo! Oggi porto le bretelle, quelle che mi ha regalato Nasser!” (Il presidente dell’Egitto che, in nome del “socialismo arabo”, tenne testa a Francia e Gran Bretagna e nazionalizzò il Canale di Suez.) Bretelle “antiquate”. Più adatte a Mattei che al ben più giovane McHale. Finite in un fossato a Bascapè. Chissà se non erano proprio quelle.

L’aneddoto di Pissard (“Bretelle rosse a Borca di Cdore”) è uno della infinita miriade di notizie contenute nel secondo dei quattro volumi che Maurizio Verdenelli, marchigiano e umbro, dal 2013 in poi, ha dedicato a Mattei. Giornalista da una vita, cronista fin da ragazzo, “La Nazione”, poi “Il Messaggero”, incarichi sempre più importanti, “Mi intendo più di giornali che di libri”, diceva Verdenelli, quando, affascinato da Mattei, cominciò l’ultradecennale impresa con “La leggenda del Santo Petroliere”. “Mattei forever” è l’ultimo in ordine di uscita. Non volle fare ciò che non era, lo storico, l’accademico, che scrive il libro a tesi, “autoriale”. Fece quel che sapeva fare, il giornalista, il cronista, e attraverso tante interviste e contributi dei protagonisti dell’appassionata vicenda, grandi e piccoli, riuscì ad ammassare su Enrico Mattei una impressionante quantità di testimonianze e materiali. È questo il merito principale della quadrilogia: una straordinaria messe d’informazioni, a disposizione del pubblico e degli studiosi, il cui valore cresce nel tempo, nell’inevitabile destino umano che a poco a poco ne fa scomparire protagonisti e portatori. (Paolo Pissard, ottantatreenne, è morto a Parma il 2 giugno scorso.)

“Il nostro mondo”, leggo sfogliando il secondo di questi libri-contenitori di memorie e di idee, “è venuto acquistando una parvenza confusa e superficiale per l’eminenza che vi hanno le preoccupazioni della vita quotidiana, l’ansia del denaro e del potere, gli antagonismi e le sopraffazioni. Ma è motivo di consolazione riconoscere la persistente vitalità di tanti alberi generosi che non dovranno mai morire. Rimproveriamo alla società attuale i suoi vizî, ma riconosciamo anche le sue virtù. Ad esse guardano come a un modello tutti i popoli nuovi e noi auspichiamo l’estendersi di queste virtù al mondo intero, preparando l’avvento di una comunità umana composta più da fratelli che da antagonisti, più da uguali che da diversi.” Parole da brividi, oggi che (quasi) tutti si fanno e vogliono farsi la guerra. Pensava ad Anterselva, Mattei, quando le disse, e agli alberi generosi di Borca di Cadore. Agli alberi e all’umanità, all’armonia possibile delle società fra loro e con la natura.

Fu il suo ultimo discorso, un mese prima di morire.