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di Maria Elisabetta Mascio*
Foto ©️Fabrizio Troccoli

Ogni mese di novembre, avvicinandosi il 25, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne, sulla stampa si intensifica il confronto tra esponenti  femministe, sociologi, filosofi, docenti ed esponenti della politica nazionale sul tema specifico.

Quest’anno la discussione, in verità, è iniziata già da tempo. 

Circa ogni tre giorni siamo a piangere donne uccise con brutalità dai propri compagni o ex, spesso proprio tra le mura di casa diventate una prigione pericolosa a causa di una relazione tossica da cui si vuole, ma non si riesce ad uscire. Secondo i dati rilasciati dal ministero degli Interni, riportati dal sito rapportoantigone.it, l’andamento del numero dei femminicidi non accenna a diminuire di anno in anno, contrariamente a quanto è avvenuto per gli omicidi di uomini. Questa sostanziale stabilità indica che non sono mutate le cause, che il fenomeno è strutturale, legato indissolubilmente al patriarcato, al concetto di possesso e di controllo ed è maggiormente presente nei contesti in cui l’emancipazione femminile ha raggiunto livelli più elevati.

Il fenomeno è strutturale e richiede interventi sistemici non sporadici, capaci di generare la cultura del rispetto, del consenso, delle relazioni e delle emozioni e quindi, centrati sulla prevenzione a largo raggio, dalle strutture di supporto. i consultori e i CAV, al Reddito di libertà, ai percorsi di autonomia e reinserimento sociale e lavorativo, all’educazione sessuo affettiva nelle scuole.  

Proprio su quest’ultimo punto, l’educazione sessuale affettiva, si è animato un dibattito acceso.

Negli ultimi mesi il disegno repressivo e retrogrado messo in atto dal Governo volto a contenere gli spazi di autonomia scolastica e di libertà di insegnamento sanciti dalla Costituzione Italiana si è concentrato sulla scuola con una serie di provvedimenti che hanno visto nella società la protesta argomentata di intellettuali, associazioni, lavoratori della scuola genitori e nelle aule del Senato e del Parlamento la battaglia dei rappresentanti dell’opposizione. 

L’elenco dei provvedimenti, presi, in corso di definizione o in cantiere è lungo e non è qui il caso di approfondire se non quelli relativi, appunto, all’educazione sessuo affettiva.

Sull’onda della forte emozione che ha scosso il Paese a seguito dell’uccisione di Giulia Cecchettin, avvenuta in questi giorni due anni fa, a dicembre 2023 il ministro Valditara varò il “Piano per educare alle relazioni”, un programma rivolto agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, consistente in interventi di 20/30 ore, da svolgersi in orario extracurricolare, a libera scelta di attuazione da parte delle singole scuole e di partecipazione da parte degli studenti. Nulla di strutturale.

Poca cosa, a fronte degli impegni internazionali presi dallo Stato Italiano  con i vari trattati e convenzioni internazionali (Convenzione di Istambul, Consiglio d’Europa, risoluzione del Parlamento europeo) che riconoscono il diritto alla formazione in ambito relazionale, affettivo, emozionale, di prevenzione della violenza di genere, secondo le Linee Guida dell’OMS su la Comprehensive sexuality education (CSE) in cui l’educazione sessuo-affettiva è individuata come diritto di cittadinanza.

Poca cosa, considerando che in 20 paesi su 27 dell’Unione Europea la CSE fa parte del curricolo di base.

Poca cosa, ma sufficiente per poter rispondere a Gino Cecchettin che chiedeva un impegno del Ministro sul fronte dell’educazione sessuo-affettiva per eliminare la violenza sulle donne a nome della Fondazione in memoria di Giulia, di aver già messo in atto azioni in tale senso.

In realtà gli atti seguenti hanno smentito in pieno tale impegno: nella bozza delle Nuove indicazioni del primo ciclo di istruzione, il femminicidio è derubricato a triste patologia e nella stesura definitiva, non ancora pubblicata per le note incongruenze sostanziali e formali, ridotta ad obiettivi di apprendimento sui temi riproduttivi.

Inoltre, il ministro Valditara ha presentato un disegno di legge sul consenso informato, che vieta l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole di infanzia e primarie e subordina la stessa nelle secondarie al consenso dei genitori che devono avere informazione e conoscenza dei programmi e dei materiali che verranno utilizzati. Tale decreto in discussione in Parlamento in queste ore, è stato ulteriormente aggravato con un emendamento della Lega che vieterebbe l’educazione sessuo-affettiva anche nelle scuole secondarie di primo grado. Solo il forte contrasto che le opposizioni hanno posto in aula e l’acceso dibattito che ha animato la stampa in questo ultimo mese hanno prodotto il ritiro dell’emendamento in Parlamento.

Agitando lo spettro della teoria del gender, teoria che non ha basi scientifiche, il Governo, nella scia della strategia transnazionale che ispira governi e movimenti conservatori e reazionari, con questo disegno di legge pone  scientemente ostacoli ad azioni formative che aiutino ə ragazzə a costruire la propria identità, sviluppare un pensiero informato, critico, consapevole, in breve essere capaci di autodeterminarsi anche nella sfera sessuale. 

Il tutto con il plauso delle associazioni Pro Vita & famiglia, anche se, in una ricerca recente di Save the children sull’educazione sessuo-affettiva è risultato che il 91% dei genitori intervistati ritiene utile che questa sia insegnata a scuola.

Introdurre il consenso informato dei genitori rende la scuola vulnerabile a spinte esterne, nega la capacità progettuale secondo l’autonomia che la Costituzione attribuisce alle istituzioni scolastiche e la libertà di insegnamento, aprendo anche la possibilità di esercizio di discrezionalità su questo e chissà, in futuro su altri temi, ad esempio la storia, la filosofia, la letteratura, le scienze.

Del resto le Nuove indicazioni per il primo ciclo di istruzione hanno già dato abbondanti anticipazioni di quanto attraverso la scuola, il Governo voglia imprimere un’impronta identitaria e mortificare il pensiero critico. E’ un chiaro esempio di quanto sia politica ogni azione che coinvolge la scuola.

Molto si è fatto e si può fare a livello regionale, poiché il Ministero della Salute assegna alle Regioni, di concerto con gli Uffici Scolastici Regionali la promozione di interventi strutturati in ambito di educazione sessuo-affettiva. E’ di questi giorni la notizia data dall’assessore alla scuola Barcaioli dell’adesione di molti istituti della rete “Scuole che promuovono salute” al progetto “Vince l’amore – educare alle emozioni”.

La rete dei consultori socio sanitari della regione è però in grave sofferenza ormai da anni e l’insufficiente  presidio sul territorio rende fragili se non assenti azioni di prevenzione e di accompagnamento ed è, quindi, necessario che il futuro piano socio sanitario della regione Umbria operi nella direzione del potenziamento e del funzionamento efficace di tali strutture.

La Rete Umbra per l’autodeterminazione ha però espresso profonda preoccupazione per l’impostazione e i contenuti dell’iniziativa regionale svoltasi il 28 ottobre “Umbria contro ogni genere di violenza” che rischia di neutralizzare e rendere invisibile la violenza di genere, “rimuovendo la sua specificità politica e sociale. La violenza maschile contro le donne non è una tra le tante violenze, ma una violazione dei diritti umani riconosciuta come tale dalla Convenzione di Istanbul, che obbliga le istituzioni ad adottare politiche basate sull’approccio di genere, e non su un generico paradigma di salute pubblica.”

Sarà anche il caso che il Centro pari opportunità cominci ad operare in modo che possa svolgere il ruolo di indirizzo delle politiche regionali in materia di genere.

Per non tradire ancora la fiducia nelle istituzioni, perché i fazzoletti rossi appesi al cancello della Casa delle donne di Terni a ricordare ciascuna vittima non crescano più di numero, non sono sufficienti commozione e indignazione, ma sono necessarie azioni concrete di prevenzione e supporto, continuità e consistenza delle risorse, istituzioni che agiscono in modo integrato e tempestivo.

Per Marianna Laura Giulia  Zenepe e Ilaria e per tutte le sorelle che non hanno visto il giorno, non basta dire basta.

*Presidente di Proteo Fare Sapere Terni Associazione professionale