di Gabriella Mecucci
Una partita a carte come metafora della vita è la chiave che Giuseppe Tornatore utilizza per il docufilm “Brunello, il visionario garbato”. Il protagonista gioca a scopa e a briscola: è super concentrato, esplora il suo avversario per capirlo, progetta le mosse, memorizza le carte uscite. L’obiettivo è vincere e non trascura niente per raggiungerlo. Per lui non è un passatempo ma un allenamento della mente e della volontà. Così si costruisce una vittoria al gioco e il metodo funziona anche nella vita.
Brunello lo applica alla carriera di imprenditore e alla fine – come dice sua moglie Federica – “le cose vanno sempre come vuole lui”. Fissare un obiettivo, capire ciò che bisogna fare e farlo al meglio con decisione e con tenacia: Cucinelli sin dagli inizi ha lavorato sempre così. E’ stato così quando ha deciso di colorare i pullover di cachmire e di creare quel famoso arancio che caratterizzò le sue prime produzioni. E’ stato così quando con una divertente escamotage le ha vendute sul mercato tedesco. E’ stato così quando ha restaurato il castello di Solomeo e ci ha spostato l’azienda. E’ stato così anche nella vita privata quando per corteggiare la ragazza che sarebbe diventata sua moglie ha seguito in moto per giorni e giorni il pullman col quale tornava a casa. Ed è stato a ben guardare così anche col docufilm sulla sua vita. Ha deciso di farlo, ha scelto per realizzarlo due premi Oscar: Tornatore e Piovani, lo ha pubblicizzato adeguatamente. E, alla fine, ne è uscito un buon prodotto che ha raggiunto il primo posto al box office: in un giorno l’hanno visto 28mila spettatori con 305mila euro di incassi. All’inizio i suoi progetti sembrano sempre folli – e suo padre, uomo di grande buon senso, glielo faceva notare – ma poi diventano un successo.
Prima del Brunello imprenditore, c’è stato un Brunello sognatore: un bambino che guardava le stelle dalla finestra della casa contadina dove viveva, che apprendeva dal padre il lavoro dei campi e insieme la ricerca della bellezza: “Guarda come sono belli – gli diceva – i solchi dell’aratro quando sono tutti diritti”.
C’è il Brunello fannullone, un po’ viziato dai fratelli e dai genitori come spesso accade al figlio più piccolo. Quello che si iscrive a ingegneria, ma non dà esami, che gioca a carte in un bar della periferia di Perugia sino a tarda notte, e che scorrazza con la Kawasaki. Sembra non combinare niente, ma è allora che elabora il Cucinelli style, il metodo basato sulla partita a carte e completato dagli insegnamenti del padre che, dopo aver abbandonato la campagna, lavora ora da operaio in città. Un lavoro non solo duro, ma soprattutto umiliante. Il figlio ne ascolta i racconti e ne trae una convinzione: la dignità dell’uomo va sempre rispettata. Un valore che si aggiunge all’altro monito paterno: “Devi essere una persona per bene”.
E poi c’è il Brunello spirituale, quello che da bambino faceva il chierichetto e che da grande ha “deciso” che l’anima è immortale. Quello che coltiva i rapporti con i frati benedettini e che cita spesso San Francesco. Le frasi celebri spaziano e riempiono anche questo film: da Marco Aurelio ad Adriano, da Socrate a Platone col protagonista che passeggia fra alte pile di libri.
Tornatore mette, accanto a Cucinelli, un secondo protagonista: la natura. I magnifici paesaggi della campagna umbra: la prima scena con i fuochi accesi per evitare che si congelino i germogli delle viti è molto suggestiva. Seguono sequenze da Solomeo, scorci delle colline, del giardino, del parco, delle vigne piantate di recente. Una natura benevola, così come lo è stata per il protagonista quella altrettanto affascinante dove vivono le preziose pecore del cachmire.
Immagini e racconti servono a illustrare la “filosofia cucinelliana”: il capitalismo umanistico dove il profitto deve essere “giusto”, i luoghi di lavoro “belli”, i lavoratori “rispettati”, la natura e i monumenti “custoditi”. Il tutto accarezzato dalla mano poetica di Tornatore e dalla colonna sonora di Piovani. Ne esce un buon prodotto costruito in parte con attori e in parte attraverso interviste fatte a personalità come Mario Draghi, a molti familiari, ad amici come il finanziere Gianluca Vacchi, alla guida dei monaci benedettini. Ed è Brunello in prima persona a condurre la narrazione, a cucire il tutto.
Alla fine sorge una domanda. Non è un po’ irrealistica questa vita senza scontri, senza spigoli, senza cattiverie, senza tradimenti? Non c’è un eccesso di atmosfera da mulino bianco? Il mondo è incattivito: è possibile che quello di Cucinelli non sia toccato da questo clima ? Eppure, al netto di qualche eccesso di buonismo narrativo, in mezzo ad un capitalismo alla Elon Musk e alla politica di Trump, vive e lavora un imprenditore che paga i lavoratori più del dovuto, che protegge i paesaggi e restaura i monumenti, che ama la democrazia e difende la dignità umana, uno che sulla sua tomba chiede che venga scritto: “fu una persona per bene, che amava la bellezza”. Perché non prenderlo come un segno di speranza? E se poi il suo nipotino – come si vede nel film – lo sconfigge a scopa, allora la speranza si allunga verso un futuro lontano.



