di Fabrizio Croce
Quale relazione ci può essere e quali riflessioni suscita il casuale incrocio tra l’inaugurazione di un nuovo centro culturale nella Zona industriale di Perugia e la scelta da parte del Comune di festeggiare la prossima notte di Capodanno in piazza con l’evento/carrozzone di RAIUno con Amadeus ed ospiti?
A pelle sconcerta la coincidenza tra la migrazione di tanti palcoscenici ed attori della cultura in aree neutre non residenziali e la scelta di investire su un “divertificio” artificiale per il centro storico simbolo della città.
Pare proprio il segno di un totale e demoralizzante disallineamento tra l’obiettivo di rilancio e sviluppo di un territorio segnato da anni difficili, che deve essere proprio della politica – e lo era anche nelle intenzioni programmatiche del centro-destra, che governa Perugia dal 2014 ad oggi, in aperta contrapposizione alla gestione precedente – e le effettive soluzioni messe a punto per perseguirlo.
La comunità perugina negli ultimi 15 anni è stata ripetutamente umiliata dai media, ben oltre le sue dirette responsabilità, e disorientata da scelte politiche (come la fine delle Circoscrizioni) ed urbanistiche (la decentralizzazione disordinata e l’asservimento ai colossi della Grande Distribuzione) che non ha condiviso a fondo ed oggi è anche demoralizzata dall’onda lunga della pandemia e dalla crisi economica in atto.
Al cospetto della Perugia di oggi la parola sviluppo andrebbe misurata a partire da azioni che favoriscano il rilancio di una immagine sbiadita, la rigenerazione urbana e concreti antidoti al disagio dei suoi cittadini, che potrebbero essere individuati nel rafforzamento di una cultura che nasce dal basso e dialoga con le istituzioni e nella risposta ad una voglia di socialità e partecipazione presente in tutti i quartieri.
Se la politica è in grado solo di inscenare “non luoghi” della cultura assistendo inerte alla emorragia dei pochi spazi di produzione e progettazione, che chiudono per mancanza di ossigeno o sono costretti dalle sedi tradizionali dei quartieri del centro e delle immediate periferie a ritirarsi in ghetti lontani dalle aree residenziali, allora ha fallito la missione che le si addice.
Così i cittadini nell’ultimo decennio hanno visto scorrere un film di progetti eternamente incompiuti (Turreno, Mercato coperto, Pavone) o non adeguatamente supportati (Officine Fratti, Binario 5), terminati senza avere una destinazione precisa (San Francesco al parto, Arconi) o svuotati da inquilini scomodi (Fatebenefratelli, Centro di Cultura contemporanea di Palazzo della penna, il Teatro Foresi di San Sisto).
Hanno visto mettere mestamente la parola fine a quasi tutti i locali privati dotati di licenza dentro i confini cittadini (ultimi dei quali Contrappunto e Velvet), una specie in via di definitiva estinzione se si pensa che alla fine degli anni ’80 Perugia poteva offrire quasi 40.000 posti, sommando la capienza di tutti i luoghi regolarmente autorizzati ed oggi fatica a raggiungere i 15.000.
Hanno, infine, preso atto dello smantellamento di quei luoghi che erano stati organizzati per dare supporto tecnico, logistico e psicologico ai giovani, triste segnale della scomparsa dall’agenda politica delle “politiche giovanili”, che al contrario nella socialità in tutte le sue forme dovrebbero avere un terminale naturale.
Parallelamente nel distretto industriale di S. Andrea delle fratte, già da un paio di decenni sede quasi obbligata di luoghi di aggregazione o spazi culturali, fioriscono con stoica costanza esperienze come quella inaugurata da poco in un locale adiacente allo storico “sex shop”, dove ha aperto il poliedrico Spazio Mai, centro di formazione per tutte le arti performative.
In quell’area si contano oggi almeno quattro tra discoteche e locali per la musica dal vivo, due spazi polivalenti, un centro di produzione teatrale, tre scuole di musica e tre di danza, tutti indipendenti nella gestione ed in affitto dentro porzioni di capannoni privati.
Ed altrettanto si registra da tempo nel distretto produttivo di Ponte San Giovanni, tra Ferriera, Molinaccio, Balanzano e i Loggi, qualche chilometro più ad est ma in un identico contesto di astrazione urbana.
Sono tasselli isolati di una intraprendenza figlia di antiche politiche di spinta al progresso e stimolo alla proliferazione delle idee, ma oggi visibilmente orfana di quel supporto e di una qualsivoglia azione politica finalizzata a metterli in rete o ad affiancarli nella faticosa conquista di una autonomia economica.
Mai che a qualcuno sia venuto in mente di mediare tra la domanda e l’offerta di spazi o di agevolare la nascita di nuovi imprese creative o luoghi destinati alla cultura e all’aggregazione proprio in quelle aree della città che oggi sono scenario di desolazione e soffrono della mancanza cronica di queste attività.
Questo fosco orizzonte è appena compensato da qualche squarcio di luce che si deve, ad esempio, alla rinascita di Borgo XX Giugno, Via della Viola e Via Birago grazie alle tante associazioni culturali e di promozione sociale che vi operano meritoriamente; alla resistenza di coraggiosi circoli (Rimbocchi, San Marco, Sant’Erminio) e centri socio-culturali (Castel del Piano e Ponte San Giovanni); al ruolo comunque attivo svolto da istituzioni periferiche residuali (la rete delle biblioteche comunali); e si deve, infine, ad avamposti resilienti di culture “aliene” solo per chi non li frequenta (che hanno nomi come Ars et labor, Fuori dalle scatole, Lavori in Corso, Voci & Progetti, Rinoceronte, Island, Trebisonda solo per citarne alcuni).
La politica di questi anni solo a parole ha riconosciuto la funzione che l’azione culturale privata è in grado di svolgere sul territorio, ma non ha trovato, né forse cercato gli strumenti per supportarla, promuoverla, farle acquisire la dignità ed un ruolo nella programmazione dei vari settori della cultura, nel dialogo con le grandi istituzioni, nell’accesso alle risorse necessarie al sostentamento ed alla sostenibilità del proprio lavoro.
La politica in nome di barriere burocratiche e veti (come quello incomprensibile legato al rilascio di nuove licenze di pubblico spettacolo entro le mura cittadine), intimorita da esposti di cittadini o comitati, fatica a comprendere il ruolo di presidio sociale, prima ancora che culturale, che i luoghi di socialità e produzione culturale potrebbero avere all’interno di un quartiere trasformato in dormitorio.
Si vuole ignorare quanto tali luoghi potrebbero supplire alla carenza o inagibilità di sale pubbliche, scuole, oratori, facendo incontrare generazioni, favorendo inclusione, prevenendo disagio e disgregazione.
Si sottovaluta quanto ciò potrebbe aiutare l’ordine pubblico e le sicurezza dei quartieri, nel momento in cui la responsabilità della gestione del pubblico dentro e fuori dai locali venisse condivisa dalla città e le sue forze dell’ordine con gli stessi esercenti ed operatori.
Per contro si è investito tanto in soluzioni aggregative (come quella alla base del progetto 1416) intraprese con l’intento anche condivisibile di fare comunità e perseguire obiettivi comuni laddove non esistevano più organismi di rappresentanza intermedia e di raccordo tra centro e periferia, ma fallimentari negli esiti.
Ed oggi, per tornare alla riflessione iniziale e come non fosse bastata l’esperienza dello scorso anno a Terni, assecondando la regia dell’ente regionale destina un sostanzioso budget a quel lussuoso transatlantico carico di emozioni artificiali che ogni anno la TV nazionale allestisce in una piazza d’Italia e che il 2 Gennaio rientra in porto lasciando alla città molto poco dietro di sé.
Da oltre 20 anni la festa di Capodanno in centro è un momento di unione spontanea che non ha bisogno di una grande “dote”, perchè a spostare migliaia di persone per celebrare l’evento all’aperto sono sempre bastate le giuste scelte artistiche tra i tanti artisti locali e l’eventuale scenografia di fuochi artificiali.
Serviva tutto ciò con la più grave crisi energetica ed economica dai tempi del dopoguerra in atto ? Amadeus è stato scritturato come Commissario straordinario all’emergenza o è la “befana” che ci può portare in dono una città migliore ? O era meglio investire per ridarle degli spazi culturali appropriati ?
Luoghi o “non luoghi “questo è il dilemma.