di Anna Camaiti Hostert
Una cosa salta agli occhi dopo 18 mesi di indagini e 845 pagine di rapporto della commissione parlamentare di inchiesta sui fatti del 6 gennaio 2021 che ha trovato Donald Trump colpevole di una “multi-part conspiracy”: le eroine di questa storia, tutta americana, che somiglia ogni giorno di più ad una fiction distopica, sono tutte donne. A cominciare dalla repubblicana Liz Cheney figlia di quel Dick Cheney, tanto vituperato vicepresidente di George W. Bush. È stata l’anima della suddetta commissione parlamentare, formata da 7 democratici e due repubblicani, e fin da principio si è dichiarata nemica giurata di Trump in una crociata che l’ha vista favorevole all’impeachment nei confronti dell’ex presidente e proprio per questo suo mettersi di traverso ai suoi piani perdere il proprio seggio parlamentare in Wyoming.
Inoltre c’è da ricordare un’altra giovane donna che è andata contro Trump, nonostante – come ella stessa ha affermato – uno degli ex avvocati della Casa Bianca di allora le avesse suggerito “The less you remember, the better”. Cassidy Hutchinson, questo il suo nome e fa parte dello staff presidenziale, ha confermato una delle principali accuse mosse a Trump dalla commissione: quella di non avere fatto niente per fermare i gravi disordini del 6 gennaio. Dopo la sua testimonianza era talmente spaventata per le conseguenze e le minacce ricevute che è andata a rifugiarsi a casa del padre terrorizzata. La stessa accusa è stata mossa a Trump da un’altra giovane donna, Hope Hicks, direttrice della comunicazione della Casa Bianca sotto l’ex presidente, la quale rivolgendosi al Chief of Staff di Ivanka Trump ha affermato: “Adesso sembriamo tutti terroristi!”. Hicks ha inoltre mandato un messaggio ad uno degli avvocati della Casa Bianca dicendo ”sono veramente sconvolta! Tutto quello per cui abbiamo lavorato è stato spazzato via”.
La commissione è stata presieduta dal democratico Benne Thompson del Mississippi il quale nella sua introduzione agli otto capitoli del rapporto ha scritto che fino a oggi era “inimmaginabile” che un presidente degli Stati Uniti incitasse una folla di facinorosi a marciare contro Capitol Hill, cioè verso la sede del Parlamento, per ribaltare con la violenza un risultato elettorale democraticamente raggiunto.
La commissione ha concluso che ci sono sei accuse chiave contro Trump:
1. L’accusa che Trump ha falsamente dichiarato una vittoria nelle elezioni del 2020, vittoria
che non aveva ottenuto e che sembra avesse premeditato di annunciare a prescindere dai risultati. Una delle testimonianze più importanti al proposito è quelle del Ministro della Giustizia William Barr il quale ha dichiarato: “Misi in chiaro che non sarei stato d’accordo con l’idea di dichiarare che le elezioni erano state rubate e di rendere pubblica questa affermazione”. Trump tuttavia ha insistito per settimane che c’era un complotto contro di lui a dispetto di molte affermazioni dei suoi collaboratori che dichiaravano il contrario;
2. L’accusa che l’attacco a Capitol Hill è stato iniziato e incoraggiato da Trump e dalla sua retorica violenta, a cominciare dalla dichiarazione già a dicembre che ci sarebbe stata una “grande protesta a Washington il 6 gennaio. Sii là, sarà pazzesco!”;
3. L’accusa, forse la più grave, che Trump non ha fatto niente per fermare l’assalto e la violenza da esso scaturita;
4. L’accusa che l’attacco era stato pianificato e poi messo in pratica da gruppi della destra eversiva tra cui i Proud Boys e gli Oath Keepers accompagnati da gruppi di milizie armate. Molti dei messaggi tra questi gruppi erano circolati liberamente ed erano stati intercettati dall’FBI che aveva messo in guardia nei confronti della loro pericolosità. Molti dei supporter più estremisti di Trump si sono rifiutati di rispondere alle domande della commissione parlamentare, adducendo uno dei diritti della costituzione che permette loro di non testimoniare se questo può comportare una forma di autoincriminazione
5. L’accusa che Trump abbia istigato il suo vicepresidente Mike Pence a dichiararlo vincitore a dispetto dei risultati. Il 6 gennaio quando Pence, che non aveva il potere di compiere un atto del genere, si rifiutò di obbedire ai suoi ordini, lo accusò di essere un “rammollito” e di non essere “abbastanza forte e determinato”. Inoltre rivolgendosi alla folla disse che sperava che Pence facesse la cosa giusta. Più tardi, dopo il rifiuto di Pence, i rivoltosi cominciarono a inneggiare all’impiccagione del vicepresidente “Hang Mike Pence”, cosa che fece temere per la vita del numero due della Casa Bianca.
6. La commissione ha presentato 11 raccomandazioni. Tra queste ce n’è una che, citando la costituzione, accusa Trump di essere inadatto a ricoprire qualsiasi incarico istituzionale in quanto ha tradito il giuramento di sostenere e difendere la Costituzione e per questo la commissione lo deferisce al Dipartimento di Giustizia.
Che cosa farà adesso il Dipartimento di Giustizia? W. Neil Eggleston, un veterano nelle investigazioni parlamentari e consigliere della Casa Bianca sotto vari presidenti, ha affermato che non è certo di cosa accadrà adesso, cioè se il DOJ
(Department Of Justice), perseguirà il presidente legalmente o gli darà invece l’immunità. Certo, afferma lo studioso, una cosa del genere non era mai successa prima. Tuttavia spetta a quella branca istituzionale il compito di perseguirlo giuridicamente e di impedirgli in futuro di ricoprire incarichi istituzionali.
La commissione, afferma Eggleston, ha fatto un lavoro monumentale e ha fornito indicazioni precise: “Il lavoro di informazione è enorme ed è andato davvero in profondità con una ricchezza di testimonianze ragguardevoli ed estremamente convincenti. Certo il DOJ leggerà tutto il rapporto e tutte le testimonianze e a quelli che si sono rifiutati di rispondere potrebbe chiedere di presentarsi. E in quel caso non potranno esimersi”. Per esempio – continua Eggleston – le due testimonianze di Hope Hicks e di Kellyanne Conway storica collaboratrice di Trump, che hanno affermato di avere chiesto al presidente di avvisare i manifestanti che tutto si doveva svolgere pacificamente, mentre Trump si rifiutò di farlo, rappresenteranno un elemento essenziale per l’incriminazione. Le due donne infatti hanno affermato che il presidente in più occasioni rispose che per lui era “importante solo vincere”. “Il Dipartimento potrebbe obiettare che la cosa più importante avrebbe dovuto essere la vittoria della democrazia” ha affermato Eggleston.
Inoltre, è impossibile, in riferimento alle azioni del DOJ, prevedere le forme di negoziazione tra il Dipartimento e alcuni testimoni che in passato sono stati reticenti per capire quale sia la sua strategia. Ma, come sottolinea lo studioso, fondamentale sarà per le eventuali decisioni capire quale sia stato lo stato mentale di Trump durante quei giorni e quelle ore, un elemento che la commissione ha enfatizzato cercando di mostrare la sua incapacità a rappresentare qualsiasi istituzione democratica del paese.
Naturalmente Trump, che nei giorni scorsi è stato anche incriminato per evasione fiscale, ha commentato le conclusioni della commissione parlamentare definendole il frutto di una “caccia alle streghe” nei suoi confronti.