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di Maurizio Tarantino*

Il 21 dicembre 2022 è stata inaugurata a Perugia la Biblioteca degli Arconi, presenti il sindaco, amministratori comunali e regionali, la presidente della Fondazione Perugia. Si realizza così un progetto che ha una lunga storia, più che decennale considerando anche la fase “aurorale”. Per mio conto saluto con gioia la nascita di una nuova biblioteca e seguirò con benevolenza la sua evoluzione. Saranno altri, se lo vorranno, a spiegare come e perché si sia giunti a questa realizzazione, cassando parti importanti del progetto originario, generando uno squilibrio per sanareil quale si è dovuto ricorrere a interventi quanto meno discutibili. Avendo avuto in questa storia un ruolo non secondario, come direttore della Biblioteca Augusta dal 2008 al 2014, ritengo comunque utile ripercorrerne i capitoli iniziali; per almeno un paio di buone ragioni. La prima è legata ai contenuti del progetto, che investono temi rilevanti di “politica culturale”: come quello dell’architettura delle biblioteche e della loro funzione in un determinato contesto urbanistico e sociale, o quello sintetizzabile nella diade conservazione/fruizione. La seconda ragione consiste nel fatto che il fisiologico oblio cui sono destinati gli atti delle pubbliche amministrazioni, nel caso di progetti giunti a compimento in una temperie politica diversa da quella in cui erano nati, lascia spazio a ricostruzioni superficiali e, spesso, faziose.
La prima idea di una nuova biblioteca nel centro di Perugia nacque dall’aver constatato, fin dai primi mesi del mio insediamento, che l’Augusta, costretta negli spazi di Palazzo Conestabile, non riusciva a sviluppare appieno la sua natura di “biblioteca civica”. Assolveva magnificamente la funzione di conservazione della “memoria storica” della città e, in quella “di ricerca”, surrogava per le discipline umanistiche le carenze delle biblioteche universitarie. Ma scontava una forte difficoltà ad assolvere la sua funzione primaria di “biblioteca dei cittadini”, aperta alla contemporaneità, al dialogo intergenerazionale e interculturale, a una visione di accesso alla conoscenza per l’intera comunità, luogo di creatività, aggregazione e conversazione, punto di riferimento per la vita culturale della città.
Come l’economia e l’etica nella filosofia di Croce, anche le due funzioni di una biblioteca civica sono distinte ma non opposte; e non è chi non veda quanto possano proficuamente interagire in uno spazio adeguato. In questa prospettiva furono esaminate due possibilità: l’ex carcere di Piazza Partigiani, di proprietà statale, e il Palazzo Rossi Scotti di Via delle Prome, in parte di proprietà comunale. La prima soluzione consentiva il trasferimento dell’intera biblioteca, e, di contro a un leggero decentramento, presentava indubbi vantaggi dal punto di vista della “equità nell’accesso”, uno dei valori fondamentali della moderna biblioteconomia, per la prossimità alle scale mobili, alla stazione dei bus e al parcheggio sotterraneo. La seconda soluzione evitava un costoso e complesso spostamento integrale di una biblioteca storica. La funzione “socializzante” sarebbe stata assolta in un edificio diverso, ma di fatto separato da Palazzo Conestabile da un vicolo largo pochi metri. Sela prima soluzione fu subito scartata per i costi e le difficoltà burocratiche, sulla seconda ci si soffermò più a lungo, tanto che mi capitò di esporla nel 2009 a un convegno1, immaginando un passaggio aereo tra i due palazzi che plasticamente sancisse la relazione tra le “due” biblioteche, l’utilizzo pubblico del giardino (di proprietà privata), la pedonalizzazione del belvedere di Porta Sole, e addirittura un ascensore che lo collegasse con Piazza Gallenga. Scartata anche la seconda soluzione per motivi analoghi alla prima, e chiusa senza successo la trattativa per l’acquisizione di un interessante spazio privato, quello dell’ex Standa di Via del Forte, pur nell’incertezza sul luogodi realizzazione, il progetto iniziava a prendere forma e trovò concretezza nello studio di fattibilità approvato con la Delibera di Giunta n. 333 del 13 settembre 2012.
Era nel frattempo saltata fuori l’idea, credo proprio al sindaco Boccali, di realizzare la nuova biblioteca negli Arconi. Malgrado qualche problema amministrativo rapidamente risolto e qualche perplessità circa l’esiguità degli spazi (risolta brillantemente, come si vedrà, in fase progettuale), l’idea prese corpo e la Giunta, con la Determinazione interna n. 24 del 7 marzo 2013, diede avvio all’iter progettuale. Il progetto preliminare (l’ultimo da me direttamente seguito) per un importo di €3.450.000,00 (3 milioni dalla Regione, il resto dalla Fondazione Cassa di Risparmio) fu approvato dalla Giunta con Delibera n. 401 del 20 novembre 2013. Anticipando di qualche mese
l’approvazione formale, il progetto era stato presentato agli addetti ai lavori in un mio articolo su “AIB studi”2, e alla cittadinanza da me e Giovanni Solimine, in un incontro pubblico alla presenza del sindaco e del presidente della Regione.
Due aspetti erano alla base del progetto, la carenza dei quali ha in altri casi determinato gravi errori, quando non veri e propri fallimenti. L’equilibrio tra il profilo biblioteconomico, architettonico, urbanistico, economico, gestionale e politico (sì, è necessaria anche questa componente); equilibrio raggiunto (con fatica) attraverso una sinergia tra bibliotecari e studiosi di biblioteconomia, amministratori e urbanisti, ingegneri e architetti, artisti e designer. E la partecipazione della comunità di riferimento, conseguita attraverso un’approfondita, innovativa ed efficace indagine, condotta dall’allora giovanissima Chiara Faggiolani (oggi autorevole docente alla “Sapienza”), confluita in un libro vincitore del più importante premio nazionale per studi di biblioteconomia. Altri, col tempo, diranno se e quanto la Biblioteca degli Arconi riuscirà a rispondere alle esigenzeda cui quel progetto nasceva; mi limiterò quindi a segnalare un paio di componenti sostanzialmente modificate nell’attuale realizzazione; componenti architettoniche, ma rispondenti pienamente alle esigenze biblioteconomiche, frutto di una splendida sintonia con Marco Fagioli, designer umbro plurivincitore del “Compasso d’oro”.
L’elemento più caratterizzante, il vero “wow factor” della nuova biblioteca, era costituito dai due soppalchi: due grandi strutture in legno, tondeggianti, poggiate su pilastri nascosti dalle librerie metalliche e quasi sospese nel vuoto. La visuale dei soppalchi dal basso e dall’esterno della biblioteca garantiva anche un dialogo equilibrato col contesto storico. Un equilibrio che veniva mantenuto anche con le vetrate a cristalli liquidi, oscuranti d’estate (con sostanziale risparmio energetico), di sera schermo su cui proiettare immagini e video. Con gli interventi sull’esterno, che “prefiguravano”, per così dire, la “vita interiore” della biblioteca e non impattavano la vista degli Arconi, si ampliavano gli spazi di lettura e conversazione all’aperto, e si realizzava un locale interrato (ma visibile) come sede del laboratorio fotovideo. L’area verde circostante, impreziosita dasegni d’artista, veniva collegata alla stazione del Minimetro e a due locali con resti di mura etruscheattraverso sentieri attrezzati. I due locali, con accesso anche da Via Oberdan, garantivano unulteriore ampliamento degli spazi e una circolarità improntata alle attività culturali con Palazzo della Penna, allora Centro di cultura contemporanea e sede del vitalissimo Circolo dei lettori.
Mi permetto di concludere questo intervento, che ho voluto fortemente tenere su un registro più “cronachistico” che “storico”, con un paio di “impressioni”. Quella di superficialità, con cui nell’estate del 2014 fu affrontata la parte biblioteconomica e “culturale” del progetto in una densa riunione con la nuova Giunta. Il tema trattato in quella riunione avrebbe richiesto, a mio modo di vedere, una conduzione politica da parte dell’assessorato alla cultura. La titolare del quale avrebbe potuto anche correggere, alla luce delle sue convinzioni, la ratio del progetto; lasciò invece il pallino in mano agli assessori “tecnici”, limitandosi a un paio di interventi estemporanei su questioni di design. I quali assessori analizzarono il progetto, da un lato sotto il profilo ingegneristico e finanziario (e fin qui nulla di male); dall’altro (e qui scattò la seconda impressione) sotto un profilo che definirei “dell’innovazione”. Un profilo assolutamente lecito se inscritto in un più ampio orizzonte culturale, del tutto vuoto invece se applicato al di fuori di quell’orizzonte o addirittura in contrasto ad esso, nelle forme di un “giovanilismo energetico” (come avrebbe potuto definirlo Croce). Il risultato di quella “torsione” dello spirito del progetto si vide qualche mesedopo, in un cartello descrittivo dei lavori in corso (su cui mi è già capitato di scrivere3). La nuova biblioteca, con un linguaggio da kick off aziendale o da seduta di counseling, vi era definita come luogo di “luna piena” e “picnic intellettuale”, il tutto all’insegna del “concetto” di “leadership”. Insomma, tante fumosità
Spero peraltro che la pratica e il buon senso smentiscano queste impressioni, purché ne venga smentita anche un’altra: che i due atteggiamenti notati nel caso degli Arconi siano spia di una tendenza ormai consolidata nella conduzione della politica culturale di Perugia. Quella di non considerare il “potere” che ha un’amministrazione comunale di “fare” cultura e “benessere” con le sue biblioteche (e i suoi musei), quando siano concepite in modo seriamente innovativo e ben dirette, rese capaci di interagire da pari a pari con le altre istituzioni culturali e scientifiche (nonsolo cittadine), con la scuola e il terzo settore.
*già direttore della Biblioteca Augusta