Intervista a Cristina Cenci, dirigente medico di Medicina Interna della Usl Umbria 2 e presidente regionale per l’Umbria di Cimo-Fesmed (coordinamento italiano medici ospedalieri e federazione sindacali dei dirigenti medici).
di c.f.
Qual era lo stato di salute della sanità prima della pandemia?
“Prima del Covid lo stato di salute del Servizio sanitario nazionale era altamente precario, perché reduce da 10 anni di tagli effettuati per esigenze di finanza pubblica che hanno determinato una drastica riduzione del numero di strutture, di reparti, di personale sanitario e di posti letto ospedalieri senza una riorganizzazione dell’assistenza territoriale. Il blocco del turnover impediva di assumere nuovi colleghi, e quindi chi andava in pensione non veniva sostituito. In qualche modo, però, la sanità prima del Covid riusciva a garantire risposte adeguate ai bisogni di salute dei cittadini grazie al lavoro eccezionale del personale rimasto negli ospedali e sul territorio. Poi con la pandemia è esploso tutto”.
Quali sconquassi ha prodotto concretamente la pandemia nel sistema sanitario regionale?
“In Umbria la situazione sanitaria prima del Covid era simile a quella descritta al livello nazionale, a cui vanno tuttavia aggiunte le conseguenze dell’inchiesta “Sanitopoli”, e quindi una mancanza di continuità ai vertici delle Aziende sanitarie. Ma non solo: in Umbria c’erano gravi problemi organizzativi a causa della mancata attuazione del DM 70/2015 che ha definito lo standard di posti letto ospedalieri per mille abitanti. Inoltre il ruolo di ogni singolo Ospedale regionale non è stato condiviso con gli operatori, né siamo stati interpellati sui percorsi da attivare per garantire la reale presa in carico del cittadino. Anche in Umbria allora il Covid ha dato il colpo di grazia al sistema sanitario, costringendo la Regione e le Aziende ad una riorganizzazione estemporanea e continua dei reparti nel tentativo di stare al passo con l’evoluzione dell’emergenza. Il tutto, come dicevamo, in un contesto in cui posti letto e personale erano insufficienti a far fronte anche alle attività ordinarie”.
Cosa fare dopo la pandemia per garantire una sanità funzionante ai cittadini?
“La pandemia dovrebbe averci insegnato che senza medici, posti letto e strumentazioni non si va da nessuna parte. La prima cosa da fare, allora, è eliminare il tetto di spesa al personale sanitario, che ancora oggi impedisce alle Aziende di assumere e incentivare i medici e gli infermieri che lavorano nella sanità pubblica. Poi occorre stabilire il fabbisogno di personale sulla base delle attività che devono essere svolte, e non con assurde metodologie come sta tentando di fare Agenas, anche tenendo conto delle numerose attività burocratiche che il medico deve necessariamente svolgere perché non delegabili ad altre figure professionali. Ma in ogni caso, nella ricostruzione post-Covid, bisogna coinvolgere i rappresentanti dei professionisti, anche adeguando le disposizioni contrattuali alle mutate condizioni di lavoro emerse con la pandemia, abbandonando interessi di parte a favore dell’unico interesse che deve guidare qualsiasi azione in ambito sanitario: la tutela della salute dei cittadini”.