di Gabriella Mecucci
C’era la Perugia felix dietro il sorriso gentile di Ilario Castagner. Colta, elegante, sicura la città cresceva e conquistava l’Italia. Erano quelli i favolosi anni Settanta, pieni di successi e di grandi speranze. Un decennio vissuto con entusiasmo, col coraggio di chi sa progettare e la misura di chi sa stare al proprio posto. Di chi si fida della propria forza ma non dimentica i propri limiti. L’allenatore dei miracoli – né mago né arruffapopolo –, semplicemente un uomo mite e molto capace, diventò il volto, il messaggero di una città che spezzava il cerchio del vecchio provincialismo e si apriva al mondo.
I Grifoni – Franco D’Attoma presidente – partirono dalla B, sbarcarono in serie A e arrivarono secondi nel campionato 78-79, battuti dal Milan di Liedholm, Baresi e Rivera. Stabilirono un record straordinario: non persero nemmeno una partita, solo vittorie e pareggi. Castagner guidava il “Perugia dei miracoli” con soave fermezza. Osannato da tutti, non cedeva nemmeno per un attimo alla vanterie, alla superficialità, al gusto della frase a effetto interpretando così la parte migliore del carattere perugino – lui che era veneto.
Dietro di lui c’era una società in ebollizione, una borghesia “rampante” che aveva creato in pochi anni una serie di imprese vincenti. C’era l’Ellesse di Franco D’Attoma e di Leonardo Servadio, industria leader in Italia dell’abbigliamento sportivo. C’erano i “padri” del cachemire shire: Ginocchietti, Ciai, e tanti altri. C’era Spartaco Ghini che vendeva prefabbricati un po’ ovunque. Fra Perugia e Assisi fioriva ogni sorta di aziende: alimentari, tessili, meccaniche. E c’era ancora il gigante IBP (Buitoni-Perugina).
L’Umbria da regione povera e agricola era diventata ricca e industrializzata. Il suo capoluogo si prese persino il ruolo di capitale del tennis: organizzava infatti gli internazionali femminili.
Ma non finisce qui. I due atenei cittadini toccarono i vertici della qualità e dell’attrattività. Basti solo fare qualche nome dei cattedratici d’allora: da giuristi quali Giuliano Amato – che scrisse lo statuto della Regione – e Antonio Baldassarre, a storici come Alberto Caracciolo e Piero Melograni sino all’allora giovanissimo Ernesto Galli della Loggia. Per non parlare della facoltà di Medicina piena di menti e di “scuole” straordinarie. L’Università per Stranieri poi proprio in quegli anni toccò i vertici di fama e di iscritti, formando pezzi delle classi dirigenti dei paesi emergenti.
I governi locali espressero i loro migliori amministratori. La città diventò “capitale della nuova psichiatria”, ricordata ancora oggi persino negli Usa come il luogo d’avanguardia di quella che è stata una delle riforme più avanzate e più discusse. Sempre nello stesso periodo nacque Umbria Jazz. E non si può non aggiungere il ruolo d’avanguardia che Perugia occupò nell’introdurre la mobilità alternativa: prima in Italia a realizzare un sistema di le scale mobili.
Tutto questo zampillare di nuove imprese e di cultura favorì il dialogo con altri mondi. E il calciò diventò l’emblema di una società piena di speranze. E di sogni.
La morte di Castagner fa tornare in mente quegli anni. E si è simbolicamente consumata proprio mentre i Grifoni si aggiudicavano il derby con la Ternana: la squadra salutava l’uscita di scena del padre di tante vittorie con una vittoria importantissima, che gli ha dedicato.
E lui, dall’alto, avrà risposto con il più gentile dei suoi sorrisi. Un congedo il suo che somiglia molto alla sua intera vita: vincente con discrezione. In punta di piedi.