di Sud
Negli anni ’80 dell’altro secolo ero con un caro amico che non c’è più, giovane promessa della letteratura. Si presentava un libro nel giardino di una villa ai Parioli, ed era per lui l’occasione di farsi vedere. Tornati a Garbatella, ci facemmo un sacco di risate, pensando al nostro impaccio nel piluccare due crackers al tavolo dei rinfreschi colmo di ogni ben di Dio, e alla disinvoltura dei vip nel farsi avanti e riempirsi i piatti. Non so a chi venne in mente una scena di Abbasso la ricchezza, quadretto tragicomico dell’Italia del 1946.
De Sica e la Magnani pranzano al Pincio: lui nobile decaduto ma rimessosi dignitosamente in piedi, lei fruttarola arricchita con la borsa nera e ora in rovina. Arriva il carrello degli antipasti e lei, intimidita, ferma il cameriere dopo le prime due cucchiaiate. Lui invece tranquillo: «giù, giù, giù, giù, giù», e quello gli riempie il piatto. «Pure a me allora! – fa lei – Giù! Giù!». Alla frutta si è sciolta e, al cameriere che gli porge una piccola pesca: «quanto le pagate queste? A bottega mia le pesche so’ capoccette de regazzini!».
Agli eventi letterari Oreste Del Buono non si faceva tanti problemi; aveva però avuto una buona lezione da Giuseppe Marotta, uno dei suoi Amici, amici degli amici, maestri. Il libro, uscito nel 1994, è una raccolta di gustosissimi ritratti dal vivo. Una piccola storia della letteratura italiana del Novecento, da Pratolini a Buzzati, da Vittorini a Liala, da Bianciardi a Scerbanenco, e poi Fortebraccio e Don Milani, i Mondadori e i Rizzoli.
Marotta, ricorda Del Buono, «fu il primo a insegnarmi che, partecipando a un cocktail, era sempre meglio foderarsi le tasche di carta oleata, per poter fare impunemente incetta di salatini e pasticcini», perché, continuava lo scrittore napoletano, memore cocktail»dei rempi che ispirarono il suo Oro di Napoli, «la fame dura più di un cocktail».