di Andrea Mazzoni
Il modo in cui le città sono abitate e le modalità in cui le persone al loro interno si spostano è determinato da come si sono sviluppate nel corso degli anni da un punto di vista urbanistico. L’urbanizzazione delle città è un fenomeno che dipende da ragioni storiche e geografiche. Questa breve e banale premessa è l’espediente utile per inquadrare al meglio alcuni temi legati alla mobilità della nostra città. Per poterlo fare è necessario indossare delle lenti appropriate e ripercorrere alcuni passaggi salienti che ci hanno condotto al presente e che ci permettono di guardare al futuro.
Nel 1861 Perugia era abitata da 47mila anime. A distanza di quasi un secolo, nel 1951 Perugia contava 91mila persone, mentre l’intera regione Umbria era già popolata da 800mila cittadini, all’incirca come oggi. L’urbanizzazione di Perugia è avvenuta in tempi tutto sommato recenti. Nella variante generale del 1962, una visione gigantista dello sviluppo della città aveva individuato in 300mila abitanti la naturale espansione di Perugia. In quella variante, che definì l’assetto contemporaneo della città, furono individuati gli assi principali di sviluppo urbano, la cui priorità risiedeva nel ridurre le fratture che un territorio vasto e impervio presentava tra centro e periferia, tra urbe e campagna. Nella variante vennero anche localizzate le aree di produzione, secondo uno sviluppo equilibrato di distretti industriali, commerciali e artigianali. Prese forma l’idea di una città policentrica (sempre meno lo è stata in tempi recenti) all’interno di una Regione policentrica. Il gigantismo, figlio del boom economico, produsse uno scollamento sostanziale tra la teoria di uno sviluppo urbano pianificato e l’effettiva espansione della città. Lo iato tra ciò che fu
previsto e ciò che effettivamente avvenne, diede la stura al processo di consumo del nostro territorio che, giova qui ricordarlo, si estende per ben 449 kilometri quadrati. L’approccio indulgente delle amministrazioni che mirava ad attenuare le fratture naturali e sociali, si tradusse nella realizzazione di una moltitudine di abitazioni in aree agricole e boschive e in un processo di lottizzazione privata a discapito di piani particolareggiati che tutelassero l’interesse generale e agevolassero una pianificazione accurata e omogenea dello sviluppo urbano. Il tema del consumo di suolo a Perugia affonda le radici in questo passato, laddove si ingenerò quella domanda di edificabilità (che oggi ancora infuria sulla città), piuttosto che nella costruzione di grandi immobili o nella proliferazione di centri commerciali.
Uno sguardo sul mondo: nel 2020 i materiali costruiti dall’uomo (beni mobili e immobili) hanno superato la biomassa animale e vegetale. Oggi la sfida, globale prima che perugina, è partire dalle persone e dalle relazioni sociali, economiche, ambientali non dalle strutture, dagli edifici. Recuperare un palazzo, una strada, un ponte ha senso solo se quell’opera ospiterà famiglie, se potrà essere accessibile, se consentirà alle persone che abitano quegli spazi di migliorare la loro vita. Per citare la nota urbanista Elena Granata, oltre alla visione, c’è bisogno di placemakers, coloro che dis-urbanizzano e de-cementificano, de-costruiscono, demoliscono e re-integrano natura, ri-forestano e ri-pristinano ecosistemi, progettando soluzioni ispirate alla natura per contrastare i cambiamenti climatici.
A tal proposito, alle imprese edili, che rappresentano gran parte del tessuto imprenditoriale perugino, andrebbe proposto un grande patto per la riqualificazione urbana, un piano volto a rigenerare intere aree della città, comprese le zone produttive, convertirle e specializzarle. All’interno di una strategia complessiva di rigenerazione urbana, che riguardi sia gli edifici pubblici sia gli immobili privati (con una mappatura dettagliata che identifichi tutti i target a disposizione), è urgente prevedere un piano per l’efficientamento energetico e per uno sviluppo in chiave anti-sismica, coinvolgendo finanziamenti da fonti europee, regionali e dal sistema creditizio. Sarebbe necessario prefigurare un’evoluzione del meccanismo di incentivi (un 110% equo e temperato) a supporto di tali iniziative, innescando un ciclo virtuoso degli interventi edilizi che produca un impatto positivo dal punto di vista economico, sociale e del benessere delle comunità.
Tra gli anni ’70 e i 2000, le amministrazioni che si sono succedute, hanno operato una graduale azione di ricucitura che ha portato alla riduzione della previsione edificatoria di oltre 3 milioni di metri cubi, inducendo una severa limitazione a ulteriori fenomeni di espansione urbana, in favore del recupero di aree dismesse. Ciò ha permesso di definire in maniera più puntuale i confini delle componenti urbane, affinché l’espansione della città si rimarginasse in maniera omogenea e coerente con la campagna circostante. Si è poi ripensata, in ottica contenitiva, l’intera infrastruttura viaria, che ha avuto da sempre un ruolo decisivo per lo sviluppo del sistema abitativo cittadino. Perugia, per la sua estensione e per la conformazione del territorio, rappresenta una città a misura di automobile. La superstrada che la attraversa, con i numerosi svincoli sia nei quartieri periferici sia nella città compatta, ha rappresentato un naturale asse di distribuzione urbana. Oltre il 70% dei perugini ricorre stabilmente al mezzo privato, una percentuale che è tutt’altro che diminuita negli ultimi 20 anni e che oggi assume una dimensione
allarmante. Eppure Perugia, fino a pochi anni fa, era considerata un punto di riferimento internazionale per quanto riguarda l’adozione di soluzioni dedicate alla mobilità alternativa. Questo credito risale certamente alla realizzazione delle risalite meccanizzate che permettono di arrivare comodamente in centro storico. Un’opera che vide la luce all’inizio degli anni ‘80 e fu un fulgido esempio di mobilità dolce, una felice combinazione di pratiche innovative all’interno di un contesto di grande rilievo artistico e architettonico.
Quell’intervento urbanistico, che attirò studiosi e amministratori da tutto il mondo, fu ulteriormente valorizzato da un intelligente piano della sosta con i parcheggi a corona del centro storico, che rappresentano il naturale approdo dell’auto per non intasare di traffico l’acropoli. In verità negli ultimi anni vi è stato un processo di deregulation del traffico che ha investito il centro storico, riportandoci alla mente immagini poco edificanti di un tempo, come Corso Vannucci a doppio senso di marcia. L’amministrazione ha accolto, spesso con una certa subalternità, le richieste dei commercianti del centro storico, che da anni insistono sulla necessità di rendere più semplice l’arrivo in auto in prossimità delle loro attività. Un po’ di memoria storica aiuterebbe in questo caso a rammentare che proprio l’apertura delle scale mobili contribuì al rifiorire del centro storico, anche da un punto di vista economico. Varrebbe la pena affrontare questo tema analizzando in generale l’appeal dei negozi del centro, anche da un punto di vista dell’offerta che probabilmente non si distingue da altre attività all’interno dei centri commerciali. La visione della Perugia
del futuro non può basarsi su soluzioni semplici o superate. L’ambizione deve essere quella di operare una totale pedonalizzazione dell’acropoli, in maniera graduale (ma senza esitazioni). I parcheggi che circondano il centro storico rappresentano infrastrutture da valorizzare ulteriormente che dovranno diventare degli hub di servizi perfettamente interconnessi con altre soluzioni di mobilità alternativa, rafforzando la logica intermodale. D’altro canto i parcheggi on-street dentro e appena fuori le mura dovranno necessariamente ragionare su una tariffazione dinamica in base alla domanda che sale e scende a seconda del livello di occupazione degli stalli, utilizzando innovativi strumenti di calcolo che consentano di indirizzare il traffico veicolare verso aree a minor congestionamento o incentivare la scelta verso i parcheggi in struttura.
L’evoluzione della mobilità a Perugia passa senz’altro da un’analisi sul Minimetrò, l’innovativo sistema di mobilità alternativa che ha effettuato la sua prima corsa nel gennaio del 2008. L’opera aveva ben altre ambizioni, rispetto ai numeri sul suo effettivo utilizzo e alle critiche ricevute. Oggettivamente il Minimetrò è ancora percepito come un corpo estraneo dalla maggior parte dei cittadini. Innanzitutto l’introduzione di soluzioni di mobilità alternative di questo tipo vanno inquadrate in una prospettiva storica di medio-lungo periodo. Quest’opera ha visto la luce in un momento storico in cui il rapporto tra ente comunale e cittadini presentava più di una crepa e le tante polemiche hanno certamente avuto una matrice strumentale. Inoltre il peso finanziario, in anni in cui le risorse dei Comuni subivano ingenti tagli, ha fatto sì che l’intervento non assumesse la dimensione auspicata, rendendo il Minimetrò sostanzialmente un’opera incompiuta. Al tempo della sua realizzazione, oltre alla diatriba sul punto di partenza (San Sisto – Pian di Massiano), venne realizzato uno studio di fattibilità per un arrivo del doppio binario a Monteluce, uno svalicamento al versante nord di Perugia, la parte più carente di collegamenti dell’intero territorio comunale. Quella oggi in attività va considerata come una tratta dell’opera, che necessita evidentemente di integrazioni per poter rivestire il ruolo di mezzo di mobilità alternativa efficace e funzionale per una città con particolari caratteristiche morfologiche come Perugia. Partendo da questo assunto è doveroso ragionare sul collegamento da un lato con Ospedale-Ferrovia di San Sisto (tenendo conto della tratta del nuovo Metrobus) e dall’altro con la zona nord di Perugia. In tal senso la riattivazione della FCU è certamente un passo avanti, che abbisogna di un potenziamento e di un miglioramento dei collegamenti in ottica intermodale.
Una strategia di intermodalità significa pensare la città in senso green, creando quelle connessioni tra i diversi mezzi di trasporto, tpl, micromobilità e l’andare a piedi. In primis è doveroso intervenire sui percorsi pedonali e realizzare le infrastrutture per biciclette e monopattini. In secondo luogo il ricorso eccessivo all’auto va contrastato non solo con infrastrutture e collegamenti dei mezzi alternativi, ma anche facilitando lo switch del mezzo all’interno dei parcheggi scambiatori. Oggi le potenzialità degli strumenti digitali ci consentono di colmare rapidamente il gap accumulato. Una rete intermodale efficiente ed efficace è traguardabile grazie al ruolo del digitale e alla compresenza di più attori/agenti della mobilità nel medesimo territorio. Per rispondere ai rapidi cambiamenti sociali, alle sfide complesse di un mondo che muta sempre più rapidamente, è necessario prevenire i problemi di domani. Pianificare il futuro significa costruire Perugia Digitale, a cominciare dalla realizzazione di una piattaforma Maas (Mobility as a service). In assenza di un piano nazionale va prefigurata una piattaforma perlomeno regionale, che abbia in Perugia il proprio centro nevralgico, anche in considerazione della massa critica che gestisce (i pendolari regionali che la raggiungono e gli studenti che la vivono). Una piattaforma Maas interconnessa a tutti mezzi di trasporto e abilitante per tutti i servizi di mobilità, verso la quale si agganciano gli operatori digitali che offrono i propri servizi come il noleggio di
mezzi in sharing (auto, scooter, bici, monopattini), l’acquisto dei ticket per i mezzi pubblici (treni, bus, Minimetro, Metrobus), pagamento delle ricariche elettriche, pagamento della sosta on-street, prenotazione e pagamento dello stallo nei parcheggi off-street, ecc..
L’amministrazione scrive le regole e realizza il campo da gioco, all’interno del quale operatori qualificati, offrono servizi a valore aggiunto per il cittadino, che può accedervi facilmente e acquistare in maniera semplice, rapida e comoda, pianificando i propri spostamenti, eliminando tempi di attesa, riducendo il traffico parassita e abbattendo le emissioni. Chiaramente il ragionamento va esteso anche su un piano extraurbano, tenendo in considerazione l’atavico isolamento che colpisce la Regione e in particolar
modo Perugia, per quanto riguarda il trasporto su gomma, su ferro e aereo. Il tema non va affrontato tanto da un punto di vista turistico e di come raggiungere certe località in maniera rapida, quanto piuttosto nel far sì che Perugia richiami talenti e attragga capitali e imprese.
Perugia dagli anni ’60 agli anni 2000 è stata una moderna città dell’Europa civile, è cresciuta e si è sviluppata, economicamente e socialmente, offrendo servizi all’avanguardia con una proiezione internazionale. Negli ultimi 20 anni la città è andata in
crisi perché è andato in crisi un intero modello di sviluppo, regionale e cittadino. La città è in una crisi di identità, di cui ovviamente risentono il tessuto produttivo, le Università, l’offerta culturale.
Lo sviluppo urbano e la mobilità del futuro dipendono necessariamente da un nuovo modello di sviluppo, attorno al quale ripensare i servizi, realizzare nuove infrastrutture, connettere e coinvolgere (anche con virtuosi processi partecipativi) le persone, su cui impattano direttamente quelle trasformazioni.