Salta al contenuto principale

©Foto di Fabrizio Troccoli per Umbria 24 – Lenny Kravitz a Perugia per Umbria Jazz

di Fabrizio Croce

Nell’anno di un’edizione (la n. 51) da record quanto ad incassi e presenze, mi fa ancora più male interrompere una collaborazione quasi ininterrotta di 37 anni con Umbria Jazz, compensata però dalla consapevolezza che il mio nuovo ruolo nell’amministrazione cittadina potrà egualmente essere al servizio di uno degli ambiti che hanno contribuito più a lungo alla mia formazione umana e professionale.
Nella prima estate che passai a Perugia mai mi sarei immaginato che quel mondo surreale nel quale mi aggiravo mosso dalla candida ingenuità dei miei 10 anni, saltellando tra i tanti sacchi a pelo disseminati lungo Corso Vannucci come le mie coetanee giocando a “Bandiera”, sarebbe ben presto diventato un punto di riferimento della mia crescita, per quanto attiene alla musica, e della mia vita, sotto l’aspetto lavorativo.
Il mio battesimo del fuoco avvenne al congedo dal servizio militare, nell’estate dell’87, con quella che è ricordata non solo come l’edizione di Sting al Curi, ma anche quella degli infuocati concerti notturni a San Francesco al prato dell’orchestra di Gil Evans, di cui fui nominato responsabile in virtù della mia accettabile conoscenza dell’inglese e della buona dimestichezza con i locali, venendo dall’esperienza con il Suburbia.
Di tutto quello che è venuto dopo, nella vita mia e del Festival, posso solo provare ad elencare qualcuno dei mille aneddoti su cui si è fortificata la mia formazione in materia di organizzazione di eventi, ma anche la leggenda che da sempre accompagna nel mondo il nome e la fama di U.J.: una leggenda costruita passo dopo passo su una base di sana incoscienza, coraggio, umanità, relazioni, via via sostituite da competenza, impegno condiviso, forza delle idee, visione di chi l’ha portata avanti per oltre mezzo secolo.
Come potrei dimenticare l’abbraccio riservatomi da Carlos Santana al termine del più importante, partecipato, travolgente, sfiancante concerto Rock fino ad allora realizzato nello Stadio Curi, anno 1988;
o la cordialità con cui un Pino Daniele dal cuore già fragile ma dalla grande umanità mi chiese di stare a cena con lui e la band a fine concerto per parlare della “nostra” Napoli;
o la sentita stretta di mano concessami dal solitamente schivo Miles Davis, al termine di una performance memorabile ai Giardini del Frontone messa in dubbio fino alla fine da un fastidioso temporale estivo cui trovammo insieme il modo di porre rimedio;
o le fobie congenite che affliggevano i preliminari di ogni santa volta in cui il genio del piano Keith Jarrett ha illuminato il programma del Festival;
o di quella volta che mio padre, bancario con il pallino del “fai da te”, in una calda Domenica pomeriggio ricostruì letteralmente la speciale pedaliera che Michel Petrucciani avrebbe dovuto usare per suonare il piano e che da allora il maestro utilizzò per qualche anno venendomi personalmente a ringraziare nell’ufficio del Festival ogni volta che arrivava a Perugia.
Potrei andare avanti per ore, ma volevo solo riaffermare quanto affetto e dedizione ho dato a questa manifestazione, non ultima l’ideazione del format UJ4KIDS, nato dall’osservazione di esperienze simili sperimentate in altri eventi in Italia e nel mondo e resa possibile dalla sensibilità e lungimiranza di Carlo Pagnotta e dei vertici della Fondazione Umbria Jazz.
Ecco, l’edizione che si è appena chiusa ha dimostrato ancora una volta di più quanto tutti questi elementi insieme contino oggi per riuscire a reggere l’impatto fisico e sonoro, trattandosi di musica, di una delle manifestazioni culturali più longeve, identitarie, totalizzanti per la città ospitante, con cui ci si può imbattere in Italia, in Europa e nel mondo intero, mi sento di dire.
L’edizione 2024, al di là dei numeri, ha confermato lo stato di salute del Festival in termini di organizzazione, capacità di “stare sul pezzo”, spirito di adattamento ai tempi in termini di comunicazione, multimedialità, sostenibilità, individuazione degli spazi che la città in evoluzione le mette a disposizione, introduzione di nuovi linguaggi e codici assimilati dalla musica e dalla cultura contemporanea.
Ora si tratta di guardare al futuro e qui mi sento di spendere qualche parola di riflessione e suggestione, ma anche di manifestare un auspicio in virtù del nuovo ruolo che rivesto e nel rispetto della autonomia della direzione artistica ed organizzativa della manifestazione.
Se in passato e solo nei primi anni era UJ che doveva adattarsi alla città ed alle sue dinamiche, oggi pare quasi il contrario: è Perugia che in prospettiva deve elevare i suoi standard di accoglienza ed ospitalità per non essere totalmente travolta dall’impatto ambientale e dalle dimensioni pantagrueliche di un evento così prolungato e inevitabilmente portatore anche di una ventata di anarchia che se non governata è in grado di soppiantare le regole del vivere civile.
La città deve impegnarsi, anche per i benefici che può trarne in tutti i sensi, a migliorare la segnaletica, i servizi, la mobilità, l’accessibilità e quant’altro sia funzionale a gestire meglio la ricettività di così tanto pubblico, ma allo stesso tempo deve offrirsi alle opportunità che il Festival le offre con quanto di meglio può mettere in campo.
Completare il recupero e la riqualificazione di nuovi spazi per gli eventi culturali può voler dire anzitutto offrire a manifestazioni come questa più spazi dove operare e proporre contenuti, ma in prospettiva può rappresentare anche uno stimolo a pensare più occasioni per sviluppare nell’arco dell’anno progetti utili a far sedimentare la formazione, la conoscenza, l’alimentazione stessa della cultura e delle passioni musicali dei perugini (credendo in una stagione del jazz “indoor” più strutturata e meno episodica e stimolando la nascita in città di un Jazz Club degno di questo nome, anche gestito da privati; perché no?).
Rendere reale e efficace attraverso gli strumenti di cui dispone il concetto di una “città storica” che vada oltre il “centro storico” nella sua accezione più ristretta (Corso Vannucci ed aree limitrofe) per fare sì che il pubblico direttamente o indirettamente attratto dal brand UJ si spalmi lungo le sue ramificazioni (i 5 rioni storici ed oltre) nell’arco di ogni giornata: ciò renderebbe tutto più equilibrato e meno invasivo per i delicati equilibri di una “città storica” e darebbe alle persone l’opportunità di immergersi nelle sue stratificazioni storico-artistiche e di scoprire o riscoprire “location” alternative (da San Francesco al prato al complesso di San Pietro, dal “tempietto” di Porta Sant’Angelo alla Sapienza, solo per citare alcune suggestioni).
Indirizzare con intelligenza l’umanità varia che le si presenta sotto le sembianze degli artisti di strada, valorizzando anche con apposite infrastrutture le vie di attraversamento da e per i luoghi del Festival (Piazza del circo, Via maestà delle volte, la Loggia dei lanari o le Logge di Braccio, ad esempio) o stimolando il consolidamento di idee estemporanee ed altamente suggestive (come in questa edizione l’utilizzo delle scalette di Via delle Prome a Porta Sole).
Governare la notte, le notti del Festival, attraverso una preventiva azione di responsabilizzazione dei gestori privati che possono offrire spazi al desiderio legittimo di chi vuole prolungare in orario notturno l’immersione esperienziale e contagiosa (jam session, Djset, ecc.) che un evento così porta a desiderare:
ciò vuol dire sedersi prima ad un tavolo e concertare con gli “stakeholders” chiamati in causa ogni singolo dettaglio (spazi esterni ed interni, pulizia delle strade, servizi igienici, sicurezza, presenza di steward, impatto acustico, riduzione dei rifiuti, ecc.) all’insegna del “patti chiari, amicizia lunga”.
E, infine, estendere l’immenso valore sociale, inclusivo, culturale e divulgativo che le attività di formazione svolte da Umbria Jazz durante il periodo estivo con progetti virtuosi che non significano necessariamente competere con la prestigiosa Berklee School, ma possono coinvolgere il Conservatorio cittadino (magari co-progettando residenze o masterclass di artisti di valore in contatto con il Festival), gli istituti scolastici (cui offrire partenariati e supporto rispetto a progetti di avvicinamento ed introduzione al Jazz) e le tante validissime scuole di musica del territorio (mettendo a sistema ed in rete nel corso dell’anno il modello di rodato successo di UJ4KIDS, sezione per i giovanissimi del Festival che ho contribuito a progettare e dirigere in questi anni).
Ecco cosa può e dovrebbe fare una città che voglia affrontare con una visione matura, consapevole ed innovativa il “day after” dell’ennesimo successo a firma Umbria Jazz e porre le condizioni perché questa coabitazione sia più duratura e fruttuosa possibile per il futuro.