di Gabriella Mecucci
Di chi è il primato nella storia delle nostre civiltà? C’è stata una lunga fase che ha messo al centro Dio, una seconda che ha esaltato l’uomo e la terza – quella che stiamo vivendo –nel corso della quale, pur senza cancellare le precedenti, è ritornato prepotentemente in scena un terzo fattore: la natura.
Ebbene, il “Cantico delle Creature”, di cui quest’anno si celebra l’ottavo centenario, tiene insieme tutti e tre questi momenti: Dio crea la natura per donarla all’uomo. Il primato resta ovviamente nelle mani dell’ “altissimo, onnipotente bon Signore”, ma San Francesco nella sua meravigliosa laude muta profondamente l’approccio medievale alla natura. Il Creato in quanto dono di Dio non solo non è più nemico, ma diventa amico dell’uomo. Dio l’ha fatto per lui. Quando si rivolge all’acqua, Francesco dice “la quale è utile, et humile, et pretiosa e casta”. Il primo aggettivo che viene usato, ne sottolinea proprio l’utilità per garantire la vita e in particolare la vita umana.
Il poverello di Assisi, soprattutto in virtù di questa opera, viene considerato il fondatore dell’ambientalismo religioso. Alcuni teorici green hanno voluto vedere nel Cantico una prevalenza della natura e un arretramento dell’uomo che verrebbe messo in secondo piano e comunque allo stesso livello delle altre specie viventi. Questo confliggerebbe con l’essenza del Cristianesimo che è una fede antropocentrica. I più estremisti hanno addirittura accennato all’eresia. Secondo altri e ben più solidi studiosi però la laude tiene insieme tutti e tre gli elementi e il suo messaggio non contiene nessun arretramento dell’uomo, ma il dovere di questo di garantire tutti gli esseri viventi, di proteggere la natura utilizzandola con prudenza e responsabilità. Sono concetti questi di un’attualità straordinaria che fanno di Francesco un santo capace di parlare più e meglio di altri ai contemporanei. E non a caso l’enciclica ecologica di Papa Bergoglio s’ intitola “Laudato si”. San Francesco è diventato persino l’ispiratore di tanti movimenti hippy anche se non sono mancati, soprattutto fra costoro, confusioni e sincretismi.
La mostra della Galleria Nazionale: 80 capolavori (da Beato Angelico a Corot)
Chi ha riflettuto seriamente in occasione dell’ottavo centenario sul significato della rivoluzione del “Cantico” nel rapporto uomo – ambiente è stata la Galleria Nazionale dell’Umbria che sta preparando (aprirà il 15 marzo) una grande mostra sull’argomento. Ha al centro proprio la rivoluzione nel modo di vivere la natura e quindi anche di rappresentarla. Il titolo è “Fratello sole, Sorella Luna. La natura nell’Arte fra Beato Angelico e Corot”. Ci saranno ben 80 capolavori attraverso i quali seguiremo l’evoluzione della pittura fra XIII e il XIX secolo. Uno sforzo notevole quello della Gnu per spiegare la svolta che Francesco determinò e quanto questa influenzò l’arte nel dipingere sfondi e paesaggi. C’è un prima e un dopo di lui. I quadri e le tavole che verranno esposte sono di straordinaria importanza e portano la firma fra gli altri, oltrechè di Beato Angelico (il Giudizio Universale) e di Corot (La cascata delle Marmore), anche di Paolo Uccello (Tebaide), di Piero della Francesca (San Girolamo), di Lorenzo Lotto. Ci sarà poi un inedito accostamento fra la Crocifissione di Antonello da Messina e quella di Jan van Eyck e molto altro.
La Gnu è riuscita ad ottenere in prestito questi capolavori da alcuni fra i più importanti musei del mondo. Ed ha ragione il direttore Costantino D’Orazio a sottolineare come questa iniziativa confermi quanto “la Galleria Nazionale dell’Umbria sia capace di costruire un proficuo dialogo con le principali istituzioni culturali italiane e straniere”. D’altro canto nel recente passato aveva allestito – proprio all’inizio dei centenari francescani – una splendida mostra delle opere del Maestro di San Francesco, grazie alle quali si comprendeva bene come e perché la Chiesa fece di lui l’alter Christus. Due iniziative quelle della Gnu che tengono insieme l’approfondimento culturale e la capacità di incantare con la loro bellezza
Il dialetto umbro, la lingua nazionale e l’identità italiana
Ma il “Cantico” non è alla base solo di una “rivoluzione” nella pittura, ma anche nella letteratura. Anzi, come ha sostenuto il grande filologo Gianfranco Contini, è fondativo della lingua letteraria italiana. E’scritto in volgare umbro che, grazie a Francesco, è diventato una radice profonda dell’idioma nazionale e quindi dell’identità nazionale. Poi toccò a Dante Alighieri fargli compiere il passo avanti decisivo. La nascita della lingua favorì l’unificazione culturale del paese. Questa – come è noto – avvenne molto prima che altrove, mentre quella statuale sconterà un pesante ritardo. Una divaricazione drammatica che ha profondamente segnato la storia italiana.
Il “Cantico” è una preghiera – probabilmente era dotata di musica composta dallo stesso Francesco – ma non è una semplice preghiera. Presenta al suo interno – secondo alcuni studiosi – riferimenti culturali ben radicati. I modelli a cui fa riferimento sono biblici e evangelici, in particolare il Salmo 148. E’ inoltre presente un forte elemento simbolico legato ai numeri con una marcata presenza del tre, simbolo della Trinità. Gli aggettivi messi accanto a Dio sono tre: altissimo onnipotente bon Signore. Tre sono quelli che definiscono il Fuoco e la Terra. E trentatrè sono i versi del Cantico.
Per concludere, questa poetica preghiera ha una straordinaria importanza sia teologica che storico – culturale. Grazie anche a questa opera, Francesco rappresenta una delle radici più alte e profonde della nostra civiltà, a cui l’Umbria ha dato dunque un contributo indimenticabile.