di Ruggero Ranieri
Lo scorso ottobre si è tenuta al PalaSì a due passi dal Palazzo Comunale di Terni, nelle eleganti sale Liberty progettate dall’architetto Bazzani, la mostra La Grande Opera curata dall’Arvedi Ast. Belle immagini dall’archivio storico ricordavano i momenti gloriosi dell’azienda, a partire dalla sua nascita nel 1884. Ma il significato della mostra stava altrove: si voleva accendere un riflettore sui costi dell’energia, diventati sempre più centrali. La proposta di Arvedi, in particolare, è che vengano ridate all’azienda le centrali idroelettriche, in particolare quella di Galleto ora in mano all’Enel, facendo dell’Ast un auto produttore: “ridateci le nostre centrali o rimborsateci per gli espropri”.
AST NEL VORTICE CHE MINACCIA IL SETTORE IN EUROPA
AST-ARVEDI/2 IL BILANCIO DI TRE ANNI: IL GIà FATTO E IL MOLTO ANCORA DA FARE
Vale la pena di fare un po’ di storia e per questo bisogna tornare indietro ai primi anni Sessanta del Novecento quando i governi di centro-sinistra decisero di nazionalizzare l’energia elettrica. Si cercò, allora, da parte di Filippo Micheli, Sottosegretario all’Industria e di altri parlamentari umbri, di escludere gli impianti elettrici della Terni dalla nazionalizzazione. Tuttavia, il Ministro Emilio Colombo sostenne che la Terni era un’azienda regolatrice del sistema e che le sue attività erano pertanto essenziali all’Enel, e fu appoggiato anche da autorevoli membri della sinistra. Si arrivò, così, al testo di legge che nazionalizzava tutte le attività sia di produzione, sia di distribuzione della Terni, a fronte di una compensazione di forniture elettriche a prezzi convenienti per un periodo di trenta anni.
La battaglia si spostò, quindi, sulla possibilità della Terni ˗˗ che, a questo punto, era diventata un’azienda esclusivamente siderurgica, come è rimasta fino ad oggi ˗˗ di usufruire degli indennizzi. A questo punto subentrò un’altra doccia fredda: si apprese infatti che l’IRI avrebbe utilizzato gli indennizzi Enel per i programmi nel Mezzogiorno. Non ci fu niente da fare: l’IRI di Petrilli e la Finsider di Manuelli erano molto potenti e poterono ignorare tutte le pressioni che provennero da Terni e dall’Umbria. Una grande occasione persa, non solo per l’azienda, ma per l’Umbria, in quanto gli indennizzi avrebbero dovuto finanziare, almeno in parte, il primo Piano regionale. Ci furono, è vero, a compenso, convenzioni con l’Enel, più volte rinnovate. Tuttavia, negli ultimi anni, questi accordi sono entrati sempre di più nel mirino della Commissione europea, come privilegi indebiti, veri e propri “aiuti di Stato”.
Arvedi ha messo quindi indietro la lancetta della storia di almeno sessant’anni. L’azienda sostiene, con qualche ragione, che la differenza del costo dell’energia in Italia, rispetto ad altri paesi europei, arriva a superare il 60% del prezzo finale. Le ragioni sono varie, di tipo tecnico (mix di fonti energetiche), di tipo fiscale e del modo come si fissano i prezzi. Con la crisi energetica del 2021, peraltro, vi è stata un’impennata e la questione si è aggravata, anche per le misure di sussidi e incentivi prese dalla Germania, mentre in Italia ci si è limitati ad alcune blande misure. In un contesto così difficile, sostiene Arvedi, il ripristino delle condizioni originali di produzione ed autoconsumo dell’energia elettrica prodotta dalla centrale di Galleto, attualmente nella disponibilità dell’Enel in forza della concessione della grande derivazione idroelettrica Velino-Nera, renderebbe disponibile una fonte energetica rinnovabile, a costi di produzione paragonabili a quelli dei concorrenti europei.
Cosa si risponde a questa domanda? Il Ministero dichiara che una soluzione alla questione non potrà arrivare prima del 2029, data di scadenza delle concessioni energetiche. L’Italia ha circa 23 gigaWatt di capacità istallata per la produzione di energia idroelettrica, che, nel 2024, ha garantito oltre il 40% dell’energia prodotta da rinnovabili. Gli impianti sono gestiti in concessioni assegnate dalle Regioni, gran parte delle quali scadranno nel 2029; sette operatori ne detengono circa il 70% della capacità.
Il problema è che le concessioni andranno tutte a gara con bandi internazionali: la partita si dovrebbe giocare in un campionato aperto al resto del mondo, in quanto la messa a gara era uno degli obiettivi della terza rata del PNRR, che è stata già erogata. Si parla, perciò, di cambiare le regole del gioco. In che senso? Riassegnando senza gara pubblica alcune concessioni a fronte di piani di investimento sul territorio, in modo da tenerle in mani italiane. A questo scopo sono stati introdotti alcuni emendamenti, uno dei quali prevede di assegnare energia a un prezzo calmierato alle aziende energivore (Hard to Abate). Da Bruxelles, però, si ammonisce del rischio di incorrere in un’infrazione.
Legare, quindi, come ha fatto Arvedi, la soluzione al problema dei costi dell’energia al mantenimento dell’impegno sugli investimenti programmati, rischia di trasformare la vertenza ternana in un intreccio inestricabile. Gli altri protagonisti sono il Governo, in particolare il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il cui titolare è Adolfo Urso, che non sembra abbia molte frecce al suo arco, stretto com’è fra regole europee e ristrettezze di bilancio. C’è poi la Regione Umbria, interessata recentemente da un cambiamento di maggioranza che non ha facilitato la padronanza del dossier, sul quale sta, però, attivamente lavorando Stefania Proietti. Il Comune di Terni, guidato dall’outsider, per usare un eufemismo, Stefano Bandecchi, sembra specializzato nel punzecchiare tutti gli altri interlocutori, in particolare la Regione, di diverso colore politico e l’azienda, a cui rivolge ammonimenti e rimproveri cercando di farsi interprete del malcontento locale. Tra le ipotesi sollevate da Bandecchi anche quella di istallare un piccolo reattore nucleare, molto più efficace, si sostiene, di qualsiasi centrale elettrica. Infine, ci sono i sindacati, che assistono sbalorditi a questo balletto e, chiedono risposte chiare e tempi certi, ma si trovano di fronte a un muro di gomma. I sindacati vengono da un lungo periodo di conflitti difensivi soprattutto nell’ultimo periodo della gestione tedesca. Si sono trovati di fronte a un nuovo imprenditore “illuminato” e hanno mantenuto il confronto in termini civili, aspettando pazientemente che si sciogliessero i nodi dell’accordo. Tuttavia, recentemente, è cresciuta la tensione in fabbrica, i toni si sono fatti più duri e si prospetta una ripresa del conflitto.
Negli ultimi mesi vi sono stati due appuntamenti importanti: uno in ottobre e uno alla fine di dicembre 2024. L’incontro dell’8 ottobre è sembrato del tutto interlocutorio. Menecali, l’amministratore delegato, precisava l’entità e il dettaglio degli investimenti e il Governo garantiva un sostanzioso pacchetto di finanziamenti ministeriali e europei, a copertura di circa un terzo del totale. Qualche passo avanti sembra ci sia stato sul problema delle infrastrutture, tanto vitale quanto annoso, e cioè come facilitare il trasporto dei prodotti finiti più grandi ai mercati di destinazione. Sull’energia, però, niente di fatto. I sindacati hanno risposto con un pacchetto di scioperi di 12 ore, quello del 19 novembre, in particolare, molto partecipato. Arvedi è sembrato preoccuparsi e convocava a Cremona i sindacati, cercando di rassicurarli sull’impegno della società.
Si è arrivati così all’incontro del 31 dicembre al Mimit, convocato per far sedere al tavolo la nuova Giunta regionale. C’erano quindi Regione Umbria, Arvedi, il Comune Terni e i sindacati. Dopo qualche segnale positivo dei partecipanti, sono ripresi, però, da subito, dubbi e contestazioni. L’obiettivo dichiarato dal Ministro era di fissare una data per la sottoscrizione dell’Accordo di Programma al più tardi entro febbraio. Sul tavolo, però, il Ministro, è sembrato mettere proposte piuttosto che decisioni e atti concreti. Tra l’altro accennava anche a un’azione a livello europeo sulle clausole del CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) per favorire le nostre aziende siderurgiche, fra cui la Terni. Le procedure, però, per questa revisione sono molto lunghe e complesse e investono la Commissione e il Parlamento Europeo. Potrebbe, quindi, essere stato poco più che un diversivo. Anche Bandecchi sollevava molti temi e polemizzava con Arvedi che avrebbe già dovuto conoscere, diceva, il problema dell’alto costo dell’energia prima di investire a Terni. L’attenzione sembrava puntarsi su una possibile modifica delle clausole di PNRR per ammettervi sconti sulla bolletta dei produttori altamente energivori, ma cambiare il PNRR è tutt’altro che agevole, oggi, poi, a poco più di un anno dalla sua scadenza. C’è sullo sfondo il dogma europeo degli aiuti di stato: la Commissione non approva aiuti che non siano estesi erga omnes. E siamo tornati alla casella di partenza.
Non sorprende che i sindacati siano usciti delusi: nessuno si è assunto vere responsabilità, hanno dichiarato, sul tema dell’energia posto da Arvedi. La domanda è se ci sia qualcuno in grado di farlo. Nel frattempo l’azienda sembra arroccarsi: non possiamo completare un programma di investimenti senza l’Accordo. Sullo sfondo, neppure troppo lontano, nuova cassa integrazione, e forse addirittura la chiusura di alcuni reparti.
La pazienza della controparte è arrivata oggi al limite: le organizzazioni di categoria Fim, Fiom, Uilm, Fismic e Ugl hanno ribadito come “senza la firma dell’accordo, sarà mobilitazione” e non riconosceranno “ulteriori slittamenti delle date annunciate dal ministro Adolfo Urso”.
Negli ultimi giorni è stata messa sul tavolo dal Comune di Terni un’ulteriore ipotesi: utilizzare per l’AST la centrale Edison oggi devoluta al polo chimico di Terni, una centrale di riserva, che viene utilizzata solo per coprire i picchi di consumo, ma che avrebbe il vantaggio, non essendo collegata alla rete, di costi vantaggiosi. Anche qui però sembra gli interessi coinvolti siano molti, il che fa pensare a ostacoli e contrattempi. Potrebbe, quindi, essere poco più che un diversivo.
Guardando la vicenda dall’esterno, considerando tutto ciò che è in gioco e la difficoltà di possibili soluzioni, non si può essere ottimisti. Forse, occorrerebbe un bagno di umiltà; tutti gli interlocutori dovrebbero riconoscere le difficoltà di una soluzione della questione energetica e quindi della vertenza. Da questa presa d’atto dovrebbe scattare uno sforzo unitario, di concertazione per portare a casa qualcosa. È difficile, però, immaginare uno scenario del genere in un panorama politico-sociale complesso e frammentato come quello di oggi. Forse, come in passato, è giusto che chi lavora in azienda si prepari a un’altra stagione di confronto/conflitto: la Terni è uscita viva da situazioni anche più difficili.