di Gabriella Mecucci
Il fascino di Città della Pieve viene da lontano. Non l’hanno scoperto Mario Draghi e Colin Firth, ne fu catturata persino la figlia del primo Re d’Italia. Nata da Vittorio Emanuele II e dalla bella Rosina, Vittoria visse per ben 13 anni fra un palazzo del paese umbro e Salci: un piccolo borgo ormai abbandonato, un tempo immerso in una splendida tenuta con ben 41 poderi e 700 abitanti, distante una decina di chilometri da Città della Pieve. La nobildonna assaporò qui il suo intenso amore con Paolo De Simone (di 11 anni più giovane di lei). Qui i due amanti dettero vita ad un grande e moderno business: imprenditori agricoli moderni e creativi vi impiantarono anche un’ importante industria di trasformazione.
Una grande avventura la loro e in tutta la zona è ancora viva la leggenda di questa coppia straordinaria: belli, intelligenti, impegnati in politica, progressisti – risorgimentali, attenti ai più poveri e ai più deboli. Adesso, questa umana vicenda fra tradizione e innovazione è diventata un saggio che si legge come un romanzo. Lo ha scritto Maria Luisa Meo che ha ricostruito una “microstoria” che dialoga con la storia d’Italia con la S maiuscola. Il titolo del libro è “Vittoria la figlia del Re”, Edizioni Primapagina.
La primogenita di Vittorio Emanuele e della bella Rosina (moglie morganatica del Re, cioè senza il titolo di Regina) venne alla luce nel 1848, un anno cruciale per l’Italia e per il padre che, in morte di Carlo Alberto, diventò sovrano del Regno di Piemonte e Sardegna. La bambina era forte e crebbe bella e robusta, molto amata dall’illustre genitore. Non poteva prendere il nome dei Savoia perchè illegittima e si chiamerà quindi Vittoria Guerrieri di Mirafiori. Sposò il marchese Giacomo Filippo Spinola, morto dopo avergli dato tre figli. Poco dopo, si maritò in seconde nozze col di lui fratello, molto più anziano di lei.
Gli Spinola erano un’importante famiglia dell’aristocrazia ligure: dalla loro villa di Quarto partì Garibaldi per l’impresa dei Mille. Erano molto legati ai Savoia grazie alla contessa di Mirafiori e in alcuni momenti diventarono dei veri e propri mediatori fra il Re e il Generale.
La svolta nella vita di Vittoria avvenne nel 1883, quando a 35 anni, conobbe Paolo De Simone, uomo bellissimo, brillante, creativo. Se ne innamorò perdutamente. Un rapporto che fece scandalo e che procurò a Vittoria diffidenza e talora emarginazione da parte di alcuni ambienti dell’aristocrazia. Forse anche per questo decise di ritirarsi fra Salci e Città della Pieve. Comprò la grande tenuta dal duca Bonelli e affittò un palazzo in paese. Si trasferì dunque armi e bagagli in Umbria con i quattro figli nati dai due matrimoni Spinola.
Iniziò così la grande avventura. Paolo non stava fermo un minuto: inventava strumenti per un’agricoltura moderna, vinceva premi per la sua genialità, si occupava di un redditizio allevamento di cavalli di razza, creò un pastificio. La sua attività era un esempio di come e con quali capitali si sviluppò alla fine dell”800 l’industria italiana. Ma il business non gli bastava: faceva politica, diventò amministratore del Comune di Città della Pieve e poi sindaco. Progressista e filo garibaldino, era anche un uomo colto: componeva musica e progettava dimore come fosse un architetto, la sua la volle chiamare Palusse. Era infine anche uno studioso di botanica, esperto in particolare in giardini
Lei, la marchesa Vittoria era una donna profondamente innamorata e aiutava il suo uomo – che poi diventerà dopo la scomparsa del secondo marchese Spinola anche marito – a mandare avanti la grande azienda. Investì soldi, firmò contratti coi coloni della tenuta. Si comportava con loro da vera filantropa. E lo stesso fece con la parrocchia che aiutava con impegno e continuità. Era amatissima dalla gente di Salci e di Città della Pieve, anche se l’aristocrazia della cittadina umbra non smise mai di coltivare verso di lei più di un pregiudizio. Vittoria però era coraggiosa come il padre e anticonformista come la madre. Religiosa e profondamente legata ai valori di “Dio, patria e famiglia”, viveva senza problemi con un uomo come Paolo: un garibaldino dichiarato, non propriamente papalino. Del resto, lo spirito del tempo conteneva una buona dose di anticlericalismo. Il loro amore e le reazioni sociali a questo costituiscono un pezzo di storia del costume italiano.
Una vita felice quella di Paolo e Vittoria. Sino a quando non arrivarono i pesanti rovesci finanziari che li costrinsero a vendere una dopo l’altra le proprietà di Salci, a cessare le attività imprenditoriali e commerciali, fatta eccezione per la vendita di fiori. Si ritirarono a Roma, in un appartamento a piazza Esedra. Lì Vittoria morì nel 1905. Meno di un anno dopo, stroncato dal dolore per la perdita dell’amata consorte e aggravato da una situazione economica sempre più difficile, De Simone si suicidò.
Finiva così in tragedia la grande avventura d’amore e di business di Vittoria e Paolo. I due tornarono dopo la morte nel luogo dove avevano vissuto una vita intensa e felice. Riposano infatti nel cimitero di Città della Pieve che guarda il paesaggio umbro-toscano. In due tombe diverse, però, anche se contigue: lei in quella della famiglia Spinola, lui in quella dei De Simone. La gente del luogo ne coltiva la memoria ed è orgogliosa che, dopo Perugino, un altro pezzetto di storia d’Italia sia passato dalle sue parti.