di Gabriella Mecucci
Erano entrambi nati a Perugia ed innamorati dell’America. Queste erano le sole cose che li accumunavano. Per il resto apparivano diversissimi, ma diventarono grandi amici. E’ una bella storia, piena di risvolti interessanti e curiosi quella del lungo, vivace, affettuoso rapporto fra Giuseppe Prezzolini e Giovanni Buitoni.
L’inquieto intellettuale liberal-conservatore e il capitano d’industria, che portò le sue aziende ben oltre i confini nazionali, si conobbero a New York, in un ristorante italiano che poi frequenteranno spesso: “Il Tiro a segno”. Entrambi vivevano nella Grande Mela da molti anni, e quella sera del 1955 vennero presentati dal direttore della locale filiale del Banco di Roma. Appresero subito che erano venuti al mondo nella stessa città. Prezzolini per la verità non gli dava troppa importanza nè provava nostalgia per Perugia. Raccontava che vi era “nato per caso”. E diceva il vero: il padre, prefetto, veniva spostato in continuazione e si fermò in Umbria solo un paio d’anni. Tutt’altro era il rapporto di Giovanni Buitoni con Perugia, che era stata al centro della sua vita, dei suoi amori e dei suoi affari. Se n’era andato sia per i conflitti interni alla grande famiglia di imprenditori sia per misurare, nella capitale del mondo, il suo genio imprenditoriale. Erano gli anni del favoloso dopoguerra americano che i due assaporavano ed apprezzavano. Da allora continueranno a frequentarsi per tutta la vita.
Quella sera al “Tiro a segno” si piacquero subito. Prezzolini, curioso del mondo dell’impresa, ascoltava il racconto delle “rotelle e dei motori” che lo facevano funzionare, e che Giovanni Buitoni conosceva alla perfezione. Ma quell’imprenditore di provincia non era certo un provinciale: era un uomo colto che adorava la musica e in particolare la lirica. E quindi le conversazioni fra i due spaziavano dalla Callas alla politica. Diventavano però un “monologo del professore” quando si addentravano nel territorio della filosofia e della religione. “Gli uomini d’affari -scriveva Prezzolini ne L’italiano inutile – mi hanno sempre attirato, ma la conversazione quella sera prese un andamento che non m’aspettavo, perché venne fuori un Buitoni che non immaginavo, radicato in quello stesso terreno umanistico che fu il mio”. E più avanti raccontava: “Ciò che mi confermò nella sua amicizia fu che avevamo all’incirca lo stesso modo di considerare i principii e i fini dell’esistenza”. Buitoni – come scrive nella sua autobiografia – fu “conquistato dalla personalità potente dell’Uomo, dalla sua intelligenza acuta, dal suo coraggioso anticonformismo, che gli consentiva su qualunque argomento di esprimere giudizi taglienti come spade”. E sottolineava ancora di “essere stato affascinato dai suoi paradossi e dalle sue confessioni di italiano inutile, come gli piace chiamarsi, e cioè dalla storia del fallimento dei suoi progetti di riformare il carattere degli italiani”.
Il luogo degli incontri fra i due, sempre accompagnati dalle mogli, non era solo il “Tiro a segno”, ma anche il ristorante “Capri”, e soprattutto la soffitta del professore – giornalista che si cimentava in deliziose cenette preparate con le sue mani: branzino al forno con un buon bicchiere di vino bianco, era il menu preferito. In quelle piacevoli serate più volte il discorso cadeva sul cibo e sulla pasta, uno dei core business del sagace imprenditore perugino. Prezzolini conosceva ben le sue attività americane, e le apprezzava. Di più: pensava che fossero geniali e rivoluzionarie. Gli piaceva l’idea che stava dietro a quel ristorante che nel 1940 aveva aperto a Times Square. Era rimasto colpito dal nastro rotante “a forma di ferro di cavallo con una striscia di cuoio che girando tutt’attorno portava il piatto di pastasciutta al cliente e lo riportava vuoto al lavapiatti”. In tal modo Buitoni “aveva imitato la fabbrica americana, dove telai e macchine sfilano davanti agli operai che le completano”. Una sorta di fordismo servito a tavola.
La descrizione e l’acuta osservazione sono di Prezzolini in L’italiano inutile, dove dedicava un intero capitolo all’amico perugino. Il racconto è denso di particolari gustosi e di elogi alla sua creatività imprenditoriale, a partire dalla scommessa sui cibi surgelati, conservati in un recipiente di alluminio: “Il nostro Buitoni fu uno dei primi a intuire questa tendenza quando aprì un reparto per la fabbricazione di paste cotte, condite e congelate nel suo stabilimento di Hackensack (New Jersey)”. Prezzolini non temeva di esagerare quando arrivava a sostenere: “Esse conservano il gusto e la fermezza del cibo preparato in cucina. Io stesso che fui abituato alla cucina italiana all’antica e che mi diverto a preparar dei pranzetti per gli amici, ho trovato che son eccellenti”.
Insomma la stima e l’apprezzamento verso l’amico superarono anche l’esame del buon palato prezzoliniano. La confidenza e la complicità fra i due diventarono col tempo così forti che il professore fece persino il primo assaggiatore delle salse prodotte dall’imprenditore. E quest’ultimo fu più volte ascoltato come consigliere e consulente per i libri del burbero intellettuale. In una di quelle allegre serate in soffitta, Buitoni chiese all’amico di scrivere un saggio sulla sua famiglia, ma questi fece finta di non aver sentito e la tirò per le lunghe. Poi, dopo accurata riflessione, gli comunicò il suo inappellabile no. E aggiunse che toccava a lui e solo a lui cimentarsi con l’argomento autobiografico. Cosa che molti anni dopo accadde.
Prezzolini però disse sì alla richiesta di lavorare ad un libro sugli spaghetti e la loro capacità di conquistare gli States. Ne venne fuori un delizioso pamphlet che l’autore dedicò “al mio amico Giovanni Buitoni che possiede la fabbrica di maccheroni più antica del mondo”. Il volumetto era pieno di notazioni storico-culturali, ma anche di informazioni culinarie e di un dettagliato racconto delle recenti acquisizioni scientifiche per migliorare la qualità del prodotto. Su quest’ultimo punto Buitoni ebbe il ruolo di ascoltatissimo consigliere, ma non fu il solo. Agnese, altro importante produttore di pasta, oltre a qualche informazione tecnica, fornì a Prezzolini anche l’immagine di copertina: un quadro di sua proprietà che ritrae Pulcinella mentre mangia gli spaghetti con le mani.
Lo sfizioso saggetto Iniziava con la citazione di alcuni versi del poeta napoletano Filippo Sgruttendio sull’estasi provocata dal gustare la pasta. Omaggiava inoltre la genialità imprenditoriale di Buitoni che fu il primo ad aumentare la quota di glutine e di vitamine nel prodotto, in modo che ingrassasse meno di quello a forte contenuto di amidi. Un’ innovazione che consentì all’azienda di pubblicizzare la propria merce come “differente dalle altre che si trovano sul mercato”. Gli imprenditori americani del settore si sentirono danneggiati da questo spot e fecero causa alla Buitoni che la perse. Ma, sconfitta in tribunale, trionfò nel business: in tanti infatti si affrettarono ad imitarla.
Il libro di Prezzolini venne prima pubblicato in inglese col titolo “Spaghetti dinner” e, un anno dopo (1958) in Italia, col titolo “Maccheroni” (Longanesi). L’autore si lamentò di non averci guadagnato abbastanza, anche se la prima edizione fu rapidamente esaurita. Non fu però prontamente ristampata con grave danno per le vendite. Andò bene invece la versione italiana.
Buitoni e Prezzolini parlavano spesso anche di politica. Il professore-giornalista era un liberale conservatore – lui preferiva definirsi un anarco-conservatore – appassionato studioso di Benedetto Croce, grande amico di Papini e del più giovane Montanelli. Fu accusato da Salvemini di essere fascista, ma in realtà, pur avendo un buon rapporto con Benito Mussolini che stimava, non risparmiò critiche pesanti al regime, ai suoi metodi e alle sue origini. Negli anni Trenta nutrì verso questo una certa simpatia che cessò però alla fine del decennio, soprattutto dopo la scelta di entrare in guerra. Quanto a Giovanni Buitoni fu podestà di Perugia fra il 1930 e il 1934, ma poi prese le distanze dal fascismo. Entrambi ammiravano la democrazia americana e in particolare uno dei suoi presidenti degli anni Cinquanta: il repubblicano Dwight Eisennower. I loro caratteri erano all’opposto: il professore-giornalista era irruento e polemico, coltissimo e di rara intelligenza; l’imprenditore era più sereno, acuto e brillante, uomo di mondo e industriale moderno, innovativo. I due si contaminarono vicendevolmente: Prezzolini si occupò di pasta e della sua produzione. Buitoni, su pressione dell’amico, scrisse la sua autobiografia.
Di Perugia parlavano spesso. Giovanni Buitoni – lo si evince dagli scritti di entrambi – deve aver raccontato degli scontri interni alla famiglia sulle scelte di strategia aziendale. Il rapporto di Prezzolini con Perugia, aldilà delle sue dichiarazioni distaccate, era tutt’altro che irrilevante, altrimenti non si spiegherebbe perché, subito dopo il matrimonio, vi avesse vissuto per un paio d’anni. Abitava a Monteluce e studiava lo spiritualismo tedesco. Incontrò due grandi amici che restarono tali per tutta la vita. Il primo è Gioacchino Nicoletti, giurista e docente universitario: fra i due ci fu un lungo e interessante epistolario che è stato meritoriamente pubblicato. Il secondo è Uguccione Ranieri di Sorbello. Con lui costruì un importante rapporto intellettuale, come dimostra il breve ma intenso ricordo che Prezzolini scrisse per la Nazione quando questi morì prematuramente. L’articolo, oltre a citare le “sue novelle storiche”, che avevano “il gusto di quelle di Stendhal”, parlava della sua attività di giornalista, delle note cioè che apparivano a sua firma sul periodico The Italian Scene. E ne dava giudizi molto lusinghieri: “Il loro tono urbanamente faceto, la benevolenza che vi si sentiva, la cultura che presupponevano, il gusto signorile della loro scelta e l’abilità nell’entrare nelle situazioni più scabrose con tatto e avvedutezza mi meravigliavano ogni volta che le ricevevo”.
Prezzolini – come già ricordato – era solito dire che a Perugia era “nato per caso”. Ritornarci e coltivarvi per tutta la vita due importanti rapporti di amicizia non fu un caso, ma una scelta. Poi arrivò l’incontro di New York con Giovanni Buitoni da cui nacque un fecondo dialogo, non privo di colta leggerezza: una grande e duratura liaison fra due personalità amanti delle sfide e della libertà. Due anticonformisti. E anticonformisti lo si è ciascuno a proprio modo.