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di Gabriella Mecucci

Il suicidio del diciannovenne Andrea Prospero non è un episodio fra i tanti, è qualcosa di più e di diverso. Tutti dovremmo fermarci a riflettere perché contiene novità pericolose che stanno entrando nella realtà di tutti i giorni senza che ce ne sia consapevolezza.
Strano a dirsi, ma a Perugia si verificano morti che segnano i tempi. Lo fu a suo modo quella di Meredith: un omicidio consumato sotto il segno di Erasmus e di una lenta mutazione della weltanshauung locale che andava degradandosi. La città tranquilla ed elegante anche se un po’ ottusa si trasformava: le mode sostituivano la cultura, la vecchia chiusura provinciale cedeva il passo a novità sguaiate. Il mix diventava progressivamente più pericoloso anche perché annegato in fiumi di droga. Al cambiamento non si può e non si deve resistere con un cieco conservatorismo. Anzi, ma quando è troppo rapido e poco riflettuto diventa pericoloso. E allora non ci fu consapevolezza di ciò che stesse accadendo nemmeno nelle classi dirigenti. Non esistono intangibili età dell’oro, ma guai a buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Oggi c’è stato il caso Prospero che appare sempre più una morte del nostro tempo: il tempo della realtà virtuale. Il procuratore Cantone ha emesso un’ordinanza di arresto ai domiciliari per un giovane che era il consigliere del ragazzo, che gli ammanniva via chat rassicuranti istruzioni per il suicidio e più di un incoraggiamento. Sempre online poi, Prospero ha trovato chi gli ha fornito gli oppiacei che ha acquistato e usato. E anche costui è indagato.
Il suicidio di un giovanissimo è sempre una terribile tragedia, ma questa va ben oltre, ammantata come è di futuro, promossa da una affascinante modernità. Il padre di Prospero sostiene che non fu un suicidio ma un omicidio. Noi non lo sappiamo, ma certo che quanto accaduto somiglia ad un assassinio: non c’è sangue, non ci sono coltelli ma ci sono le parole, i gelidi incoraggiamenti, le manipolazioni di un ragazzo che vive un momento difficile. Ci sono redditizi commerci di sostanze che fanno morire stando bene: “Niente dolore anzi piacere”. E, dietro tutto questo, si affaccia qualcosa di ancor più insopportabile: la perdita del valore della vita.
Questa morte al tempo della rete non può non far suonare un campanello d’allarme sul pericolo che corre online. Ci corre per le fake news, per la capacità di arrivare dappertutto, di fanatizzare, di abbassare la guardia delle capacità critiche, di impoverire l’idea di libertà, di intervenire sui processi mentali. Ed ora di ribaltare la morte, di farla diventare addirittura un piacere. Di trasformarla nell’esperienza di morire chattando.
Non si tratta di demonizzare internet, ma di indagarlo, di imparare a governarlo. E, con buona pace di Musk e Trump, di controllarlo.