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Come è stata costruita un’impresa moderna: dall’azienda umbra ai tanti marchi di qualità

di Ruggero Ranieri

Il gruppo Colussi si presenta oggi come esempio di quello che gli studiosi hanno battezzato “quinto capitalismo” e, cioè, medie aziende italiane, dirette a un mercato globale, internazionalizzate, sia con investimenti diretti all’estero, sia con joint ventures e acquisizioni, a controllo familiare, in questo caso di terza/quarta generazione, ma già fortemente managerializzate e impegnate in Ricerca e Sviluppo. Il gruppo, localizzato in Umbria, ha sede legale a Milano, ma la maggiore unità aziendale è a Petrignano non lontano da Assisi, uno stabilimento costruito da Giacomo Colussi nel 1962 e ampliato negli anni successivi. Il fatturato supera i 400 milioni di Euro, i dipendenti sono circa 1000. La produzione comprende biscotti, dolci, fette biscottate, pasta riso, integratori e altri prodotti alimentari. Negli ultimi anni la Colussi, guidata con mano ferma da Angelo Colussi Serravallo (l’ultimo è il cognome della madre), entrato in azienda nel 1976, ha proceduto all’acquisizione di molti marchi storici italiani, spesso piccole aziende con nomi prestigiosi come Misura (benessere alimentare), Sapori (dolciaria), Pepi (pasticceria), Agnesi (pasta), Parenti (cioccolato), La Suissa (cioccolato), Eurico (riso), Riso Flora, Vialetto (cioccolateria), pastificio Plin. La strategia è stata, quindi, di consolidare un polo alimentare di prodotti di qualità per ritagliarsi un segmento di medio-alto livello e, su questa base, fare fronte alle grandi multinazionali che dominano il mercato mondiale. Una strategia non proprio di nicchia, ma neppure rivolta a soddisfare grandi volumi, riportando invece l’accento sulla qualità della produzione tipica italiana e sulla sostenibilità e il benessere alimentare.
Di Colussi in Umbria si parla poco, pur essendo il gruppo da lungo tempo una eccellenza del territorio. Non siamo sicuri che questo importante volume di storia aziendale servirà a colmare la lacuna, almeno non per un largo pubblico (Marzari Simone e Massimo Orlandini, Colussi 1791. Una ricetta di famiglia, Silvana Editoriale, Milano 2024). Infatti, si tratta di un libro molto voluminoso, dal prezzo elevato, giustificato dal corredo di magnifiche immagini; d’altra parte è uno studio rigoroso ed esauriente, gli autori sono due esperti in storia di impresa veneta, con all’attivo molte pubblicazioni. Il riferimento al Veneto è, infatti, centrale nella parabola della dinastia dei Colussi, tanto che questo volume, che porta nel titolo il riferimento al 1791, a sottolineare le loro antiche radici, si può leggere anche come un interessante spaccato di storia sociale ed economica di Venezia e del suo retroterra.
Prima di tornare all’Umbria e Perugia, conviene quindi fare una digressione per esplorare le radici dei Colussi, attraverso molte generazioni, prima di umili panettieri, poi di artigiani affermati, infine poi di industriali. Da dove provengono? L’etimologia del cognome risale a un derivato del nome Nicola, forse un vezzeggiativo, “Nicolus”. La famiglia estesa o meglio, la rete di famiglie collegate, origina da una piccola località della Val di Zoldo nel Cadore, in provincia di Belluno. A partire dal diciassettesimo secolo si stabilì una catena migratoria con Venezia, dove l’Arte dei fornai e dei panettieri utilizzava maestranze provenienti dai territori alpini: garzoni, lavoranti, venditori ambulanti reclutati per lavorare in laguna per molti mesi all’anno. Venezia, nel Seicento, era già una città con oltre 100 000 abitanti, una vivace attività commerciale e manifatture di trasformazione. L’Arte dei fornai, inoltre, era una delle più importanti, specializzandosi, oltre che nella vendita del pane, nella cottura dei biscotti e di altri prodotti tipici. Già nel corso del 18° secolo la catena migratoria dei Colussi si era consolidata: alcune famiglie avevano acquisito residenza a Venezia e organizzavano un’osmosi stagionale di garzoni e lavoranti, i quali, nella bella stagione, ritornavano al borgo di origine.
Giacomo Niccolò Colussi, nato nel 1791, si può considerare il capostipite di un’attività più robusta e continuativa, essendo divenuto titolare di un’importante bottega di fornaio e di un’attività artigianale nel campo del biscotto. L’attività fece un passo in avanti importante con l’avvento del Regno d’Italia, ma in questo periodo i Colussi rimanevano impiantati sia a Venezia che nella Val Zoldana: uno di loro, infatti, fu sindaco nel 1876 nella zona di Zoldo Alto. La dinastia, intanto, aveva accumulato un certo numero di proprietà anche fuori di Venezia: le botteghe si moltiplicarono e la gamma della produzione si ampliava. Oltre a produrre pane di ogni tipo e qualità, ci si concentrava sui biscotti, le ciambelle e gli amaretti per accontentare un pubblico che a Venezia si faceva via via più vario e esigente; non scordiamoci infatti l’afflusso di turisti da tutta Europa nella città lagunare, ma anche la domanda di enti come la Marina Militare, i conventi e gli ospedali, oltre alla popolazione locale. Analizzando le guide commerciali veneziane, si scopre che a metà degli anni ’80 dell’Ottocento i Colussi Manéta (questa era uno dei rami della dinastia) avevano realizzato una catena familiare di forni e panifici tra le più importanti della laguna. All’inizio del Novecento, in piena Bell’Epoca, la loro presenza si consolidava ulteriormente fino a farli diventare un nome di spicco non solo nella panificazione, ma anche nella pasticceria, per la bontà dei tantissimi tipi di biscotti prodotti e in primis il baìcolo, che era un biscottino da tè della più antica tradizione veneziana. Non c’era sestiere, campo o calle trafficato senza che nelle vicinanze si vedesse un’insegna Colussi.
Nel 20° secolo si apre la sfida dell’industrializzazione. Il primo a intraprenderla fu Vittorio Colussi (1878-1960), discendente del capostipite Giacomo che inaugurò un biscottificio nel 1906 e nel 1913 lo trasferì a Padova aprendo una fabbrica moderna vicino alla stazione ferroviaria. Si acquistarono macchinari di fabbricazione tedesca e si cominciò a impostare una linea produttiva razionale; la cottura veniva effettuata non a legna ma a carbone. L’azienda di Vittorio Colussi proseguì con successo per alcuni decenni. Ebbe un momento d’arresto durante la seconda guerra mondiale per la distruzione della fabbrica di Padova da parte delle bombe degli alleati, ma si riorganizzò subito dopo procedendo anche a un’attività in altre località italiane e fuori d’Italia, compresa l’Argentina. Terminò nel 1981 con l’improvvisa scomparsa di Mario Colussi, erede di Vittorio. Una delle sue caratteristiche, poi ripresa dagli altri Colussi, fu quella di usare scatole colorate in latta litografata per i biscotti con l’effigie del bucintoro veneziano come marchio di fabbrica.
Gli altri rami della famiglia inizialmente non si erano mossi da Venezia, dove, tuttavia, avevano ampliato le loro attività. Capostipite e battistrada ne fu Angelo Colussi Manéta (1890-1965), il quale, già nel periodo ante guerra, puntò a uscire dalla dimensione locale, facendosi forza da una parte di una produzione di baìcoli veneziani dall’alto appeal qualitativo, dall’altra, anch’egli, di investimenti pubblicitari, a partire dalle famose scatole con immagini tipiche di Venezia, atti a diffondere in varie parti d’Italia la qualità del marchio.
L’espansione delle attività di Angelo trovò terreno favorevole tra le due guerre con l’inaugurazione di negozi e pasticcerie in varie città d’Italia a partire da Milano. Si trattava di negozi eleganti e appariscenti situati in zone di grande traffico e passeggio. Un secondo importante sviluppo fu l’acquisizione fuori da Venezia di una seconda sede produttiva a Vittorio Veneto, tale da permettere una forte espansione affidata a uno dei figli, Giacomo (1914-1999). Giacomo, laureato in economia, si caratterizzò come un abile manager fin dalla più giovane età; riuscì fra l’altro a mantenere la fabbrica di Vittorio Veneto attiva durante il conflitto, grazie anche a un accordo con le autorità per l’acquisto dei biscotti Colussi con la tessera annonaria.
La forte espansione dei mercati dei prodotti alimentari nel secondo dopoguerra trova, quindi, preparati sia la famiglia, sia le aziende e i negozi. Fu a questo punto che Giacomo, in accordo con il padre Angelo, decise di lasciare il Veneto fondando una nuova fabbrica di biscotti in Umbria, testa di ponte per raggiungere il centro-sud della penisola, dove la concorrenza era ancora debole. Il nuovo stabilimento fu costruito presso la stazione di Fontivegge a Perugia, non lontano dalla Perugina. Si acquistarono nuovi macchinari tedeschi e si arrivò a dare lavoro a 400 dipendenti effettivi e 50 stagionali. L’attività di Giacomo affiancò quindi, con buon successo, quella degli altri fratelli e del resto della famiglia, attiva soprattutto nel nord-Italia. Allo stabilimento di Perugia se ne affiancarono presto altri due, a Catania e a Napoli, mentre la Colussi Milano impiantò nel 1965 un nuovo grande stabilimento a Voghera. Nel 1955 nacque un marchio icona della Colussi: il Turchese, poi Gran Turchese, che avrebbe avuto grande successo soprattutto negli anni del boom economico. A partire dagli anni Sessanta Giacomo Colussi decise di chiudere tutti gli altri stabilimenti, fra cui anche quello di Fontivegge, e concentrare l’attività a Petrignano d’Assisi dove poté beneficiare della legge speciale per Assisi, voluta da Ermini, detta “Cassetta per il centro”, alludendo a una replica in chiave minore della Cassa per il Mezzogiorno.
La Colussi tenne comunque fede a uno dei suoi punti di forza: il marketing e la pubblicità. Basterebbe citare il successo degli spot realizzati a Carosello, che avevano come protagonista il piccolo grifone Gioele e si accompagnavano alla raccolta di figurine inserite nelle scatole dei biscotti da collezionare e incollare negli album (una strategia già seguita da Giovanni Buitoni negli anni ’30). La pubblicità televisiva accompagnerà la società fino ad oggi ed è stata forse l’asset vincente della Colussi Perugia, che riuscì gradualmente ad affermarsi come unico polo societario. Nel 2000 infatti, Angelo Colussi Serravallo acquisì dai cugini la Colussi Milano riunendo tutte le attività sotto il suo controllo e dando vita al Gruppo Colussi, che riunisce oggi anche i marchi via via acquisiti. Negli ultimi anni l’indirizzo dell’azienda è stato sempre più attento ai problemi sia del benessere, sia della sostenibilità ambientale, con l’intento di rendere i suoi prodotti più naturali, sulla base di ricerche impostate con l’Università di Perugia e altri atenei e con accordi mirati con produttori agricoli di filiere umbre e di altre regioni.
Uno sguardo retrospettivo ci consente di individuare alcune caratteristiche importanti della Colussi. Innanzitutto la presenza di alcune figure imprenditoriali di spicco nel corso delle generazioni, a partire da Angelo e Giacomo fino ad arrivare ad Angelo Colussi Serravallo che, sulle spalle di due giganti come il nonno e il padre, ha saputo condurre un’opera notevole di razionalizzazione, concentrazione e innovazione. Ciascuno di questi personaggi ha interpretato nel modo migliore le caratteristiche del mercato alimentare del suo tempo, dalla prima industrializzazione, all’aprirsi di un mercato di massa, all’individuazione al suo interno di segmenti qualitativi a più promettente redditività. Tutti e tre, mi sembra, hanno dato la massima importanza all’elemento pubblicitario: dalle scatole in latta ai furgoni targati Colussi, ai negozi vetrina, ai Caroselli televisivi, fino alle forme moderne delle campagne sui social media.
Guardando più indietro, alle generazioni precedenti, si può parlare di una saga familiare che attraversa con successo e per gradi la transizione dal mondo contadino, alla dimensione urbana artigianale e poi all’industrializzazione attraverso gli sforzi molecolari di una varietà di figure e di attività imprenditoriali. Una via, quindi “italiana” e “dal basso” che è arrivata fino al “quinto capitalismo” di oggi.