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A 24 ore dall’apertura del conclave che eleggerà il successore di Francesco, fioriscono a Perugia racconti, mostre, libri, rivisitazioni della presenza pontificia in città. Ne scaturisce un racconto affascinante di una storia contraddittoria, fatta di luci e di ombre.

di Gabriella Mecucci
Foto ©Fabrizio Troccoli

La dominazione pontificia ebbe per Perugia due facce. Essere città papale portò parecchi guai: restrizioni delle libertà comunali e un sacco di spese, ma anche fama, danaro, riconoscimenti internazionali con conseguente “promozione turistica”. I pellegrinaggi crescevano a dismisura e, quando il pontefice soggiornava qui, portava con sé una folta corte di nobili, funzionari, artisti e servitori, più di cinquecento persone: era gente che consumava, che comprava dagli artigiani locali. Insomma, si formava un giro d’affari niente male, testimoniato dai contratti che i funzionari papalini firmavano con i governanti delle città che Sua Santità decideva di visitare. Gli spostamenti erano molteplici e duravano a lungo: mesi e mesi o addirittura anni. Roma infatti era un luogo considerato insalubre e spesso pericoloso. Il Pontefice inoltre per controllare i territori doveva essere presente, mostrarsi. 

PERUGIA, QUANDO IL CONCLAVE ELESSE IL PAPA “AMICO” DI SAN FRANCESCO

Perugia non aveva un “Palazzo dei Papi” come Viterbo – i suoi abitanti si erano sempre rifiutati di costruirlo. Una scelta che costò loro molto cara: il Vaticano infatti impose una sorta di penale come dimostra il contratto che stabilì le regole del lungo soggiorno di Benedetto XI (pontefice dal 1303 al 1304). La città dovette  farsi carico del trasferimento da Roma e dell’alloggio dell’intera corte che veniva ospitata in dimore d’importanza diversa: i nobili e l’alto clero abitavano negli annessi di San Pietro, di San Domenico e nel Palazzo del Capitano del Popolo. Gli altri si dovevano arrangiare, ma comunque bisognava trovare posto per tutti. Insomma, la permanenza dell’intera compagnia richiedeva spese notevoli, tutte a carico di Perugia. E i prezzi non furono solo economici, ma anche  politici: misure restrittive dell’ordine pubblico, sistemazione e controllo delle strade, espulsione delle prostitute ed altro.

La “penale” da pagare a Benedetto XI fu insomma altissima, ma i guadagni lo furono altrettanto. Il Papa infatti morì a Perugia: si disse per una indigestione da fichi, ma sul suo decesso aleggia il sospetto di avvelenamento. Fu tumulato nella locale Cattedrale di San Domenico, in una tomba realizzata dalla scuola di Arnolfo di Cambio, dove ancora riposa. Il successivo conclave si tenne in città e elesse Clemente V che trasferì la sede pontificia ad Avignone. Morte, sepoltura e conclave sommati insieme si trasformarono in un super business: una vera fortuna piovuta dal cielo. Causarono infatti un’enorme crescita della fama del centro umbro e quindi il decollo dei pellegrinaggi, della presenza degli artisti, della venuta di nobili e funzionari: una folla mai vista. Benedetto XI aveva regalato inoltre ai suoi ospiti, in segno di ringraziamento, un magnifico calice e un piatto d’oro, entrambi intarsiati con pietre dure – una raffinata lavorazione francese in mostra oggi presso la Galleria Nazionale dell’Umbria che ha creato una sorta di percorso speciale per raccontare il rapporto fra Perugia e i Papi. Il buon affare legato al decesso di Benedetto XI va moltiplicato per tre perché in città morirono anche Innocenzo III, Urbano IV e Martino IV. Tutti sepolti qui. 

La storia dei conclavi perugini è densa di particolari interessanti. Innanzitutto il numero: ce ne furono tanti quanti ad Avignone, cioè cinque. I due centri sono superati solo da Viterbo dove se ne tenne uno in più: sei in tutto. La prima elezione fu quella del 1216 quando venne prescelto Onorio III (1216-1226) – il Papa che incoronò quattro anni dopo a San Pietro Federico II, splendor mundi. Tommaso da Celano nei suoi scritti e Giotto negli affreschi della Basilica superiore di Assisi indicano in Innocenzo III, predecessore di Onorio, il Pontefice che accolse nella Chiesa l’Ordine francescano, ma in realtà fu proprio Onorio III con la bolla “Solet annuere” a confermarne la “Regola” (1223). Una “formalizzazione” che cambiò in profondità la storia del Cristianesimo. San Francesco per l’Umbria è stato sempre un grande affare: nel Duecento Assisi diventò infatti uno dei più grandi cantieri d’Arte d’Europa. E a guardare i dati del turismo dell’aprile 2025, anche oggi traina quello dell’intera regione. Ad accrescere la fama di Perugia come città papale, ci fu poi la lunga permanenza di Gregorio X che vi soggiornò alcuni mesi per la canonizzazione di Poverello. Correva l’anno 1272 e la data della sua visita si legge nella parte inferiore del bellissimo Crocefisso, custodito nella Galleria Nazionale dell’Umbria, opera del Maestro di San Francesco.

Il secondo e il terzo conclave che si svolsero in città elessero Clemente IV, il papa francese (1265) che regnò tre anni, e Onorio IV (1286), pronipote di Onorio III, che lasciò un segno per la sua grande apertura culturale: fra l’altro introdusse lo studio delle lingue orientali a Parigi.

Il quarto conclave di Perugia fu particolarmente rilevante perché la scelta cadde su Celestino V, il Papa del gran rifiuto, reso tristemente noto dalla condanna all’Inferno di Dante proprio perché abdicò. Per arrivare ad un accordo i cardinali impiegarono ben 26 mesi e alla fine la scelta cadde sull’eremita Pietro da Marrone che però rinunciò al ministero petrino perché non sentiva di avere “sufficiente scentia” e perché subì le pesanti pressioni di alcuni cardinali. Il quinto e ultimo conclave fu quello del 1304: ne uscì Papa Clemente V (1305) che spostò la sede pontificia ad Avignone.

Dulcis in fundo, non si può dimenticare la straordinaria importanza che ebbe Sisto IV nella promozione di Perugia. Il Pontefice della Cappella Sistina scelse infatti per affrescarla proprio Pietro Vannucci trascurando la grande “scuola” fiorentina. La decisione favorì l’ascesa del pittore sino a diventare l’artista più ambito e pagato dalle grandi corti. Due i risultati positivi: l’arricchimento di Perugino che diventò un grande imprenditore e l’ulteriore visibilità della città dove si trovava la sua bottega.

Sino al Cinquecento, pur essendo sempre forte il potere papalino nel Centro Italia e in parte del Nord, i Comuni godettero di una dose importante di autonomia. Così fu anche per Perugia. Poi, con la sconfitta nella guerra del sale (1540) e, prima ancora, con la Riforma luterana, la Chiesa cattolica cominciò ad avere bisogno di controllare i suoi territori e di incamerare risorse. Prese forma allora un vero e proprio stato pontificio: le città erano governate da un “legato” inviato da Roma che aveva pieni poteri. Dopo la nascita del protestantesimo inoltre calarono vistosamente gli introiti del Papa. Lutero venne scomunicato proprio perché denunciò il “mercimonio” che la Chiesa aveva organizzato incassando pesanti regalie per la concessione delle indulgenze: un fiume di danaro, di oro e di preziosi venivano caricati in grandi carri che scendevano dal Nord Europa e che passavano proprio nei pressi del monastero dove il monaco tedesco viveva. Accanto ai soldi legati alla vendita delle indulgenze, dopo la denuncia di Lutero e la successiva frattura, calarono anche le decime.  Con la Controriforma Roma decise dunque di stringere la cinghia dell’autonomia comunale sia per ragioni politiche che per ragioni economiche. Ma a Perugia proprio in quel periodo di ristrettezze non mancarono i grandi investimenti papali: su tutti la costruzione della Rocca Paolina e quella delle Logge dell’Alessi. Per realizzare la fortezza voluta da Paolo III venne distrutto un intero quartiere. E l’intervento del grande architetto su Palazzo dei Priori fu fortemente richiesto dal “legato” pontificio che non voleva vivere in un luogo sobrio e privo di lussi come quello che aveva ospitato i governanti del Comune: gli spazi interni erano poco rifiniti, piccoli, bui e tristanzuoli per chi era abituato agli splendori dei palazzi romani. 

Sia la Rocca Paolina che la ristrutturazione del Palazzo dei Priori, nonostante le ragioni e i metodi discutibili che ne furono all’origine, accrebbero però il fascino e la bellezza di Perugia. Il dominio pontificio anche allora ebbe due facce: da una parte restrizione della libertà e dell’autonomia e dall’altra gli investimenti. Il Duecento, il grande secolo di Perugia, era però ormai lontanissimo e il giogo di Roma diventava sempre più insopportabile.