di Anna Camaiti Hostert
L’ultima immagine che ho di Henry Kissinger, prima dell’annuncio della sua morte qualche giorno fa, risale al film Golda diretto da Guy Nattiv e uscito nelle sale in America nell’agosto di quest’anno. In esso Helen Mirren che interpreta Golda Meir in maniera portentosa deve affrontare l’attacco ad Israele perpetrato da Egitto e Siria in quella che fu definita la guerra di Yom Kippur del 1973. Un film sulla forza, sul carisma di Golda Meir, prima donna a ricoprire l’incarico di primo ministro in Israele, girato prima dell’attuale guerra in medio oriente. In una scena divertente dell’incontro tra Meir e Kissinger fermatosi apposta in Israele per parlare con la primo ministro si mostra un Segretario di Stato (interpretato da Lieve Schreiber che contrariamente al personaggio a cui da’ vita sullo schermo, è altissimo e magro, unica nota stonata nel film) unusually empatico e solidale, obbligato da Meir a mangiare una zuppa borsch da lei stessa cucinata, prima di chiedergli un ulteriore aiuto militare necessario a vincere la guerra. Anche qui, tuttavia, si mostra un Kissinger più preoccupato degli equilibri politici che potrebbero mettere in pericolo le forniture di olio dei paesi arabi, piuttosto che del pericolo di una guerra per un paese come Israele. Si decide solo quando è sicuro che l’Unione Sovietica sta rifornendo di armi e munizioni l’Egitto e la Siria. E a questo proposito ricorda alla primo ministro che “prima di tutto è un americano, poi il Segretario di Stato e infine un ebreo” a cui Meir risponde scherzosamente che ha dimenticato che in Israele si legge da destra a sinistra. Dunque mercoledì scorso a 100 anni è morto in Connecticut nel suo letto Henry Kissinger. Celebrato da tutti come un grande statista ha perfino ottenuto nel 1973, in occasione della cessazione della guerra in Vietnam, un premio Nobel per la pace, condiviso con ia controparte vietnamita, il politico e diplomatico Le Duc Tho che invece lo rifiutò. Con lui se ne vanno 100 anni di pax americana e 100 anni di decisioni controverse e non sempre limpide. Consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato durante la presidenza di Richard Nixon
e Gerald Ford è stato accanto a 12 presidenti degli Stati Uniti sia democratici che repubblicani che ne hanno sempre tessuto le lodi. Con un’unica eccezione: il presidente Barack Obama. In una intervista a The Atlantic del 2016 Obama ha affermato: “Abbiamo sganciato più ordigni in Cambogia e Laos che in Europa nella seconda guerra mondiale e tuttavia mentre Nixon si è ritirato, Kissinger è andato a Parigi e tutto quello che ci siamo lasciati dietro è caos, massacri e governi autoritari che solo in alcuni casi sono con grande fatica riusciti a emergere dall’inferno” Obama ha inoltre notato che durante la sua presidenza ha continuato ad aiutare molti paesi a “rimuovere bombe che continuavano a far saltare in aria bambini” .
A me non è mai piaciuta la sua realpolitik, troppo machiavellica e incentrata solo sulla ragion di stato che lascia fuori da ogni considerazione la vita delle persone e i diritti umani dei cittadini. In particolare trovo che, essendo da ebreo scappato dalla Germania per sfuggire alle persecuzioni naziste sia un fatto molto grave che nella sua carriera sia stato troppo poco sensibile alla vita degli individui di cui era chiamato a tutelare la sicurezza e l’incolumità e troppo innamorato del potere e di sé stesso. Un narcisismo purtroppo comune a molti uomini di potere, ma da cui dovrebbe essere immune chi ha esperito sulla propria pelle cosa significhi la violenza del potere e della discriminazione. E non sono la sola a cui non è mai piaciuto Henry Kissinger, se la rivista Rolling Stones, il famoso periodico americano di musica, di politica e di cultura di massa fondato nel 1967, titola il pezzo sulla sua morte Henry Kissinger, War Criminal Beloved by America’s Ruling Class, Finally Dies e un editoriale del New York Times lo definisce Henry Kissinger, The Hypocrite. Proprio per questo motivo ho enfatizzato che è morto nel suo letto. Infatti, secondo alcuni, tra quali I giornalisti di cui sopra, sarebbe dovuto essere processato per crimini di guerra.
È vero tuttavia che è stato l’artefice dell’apertura alla Cina con cui ha mantenuto rapporti personali diretti e cordiali fino alla fine, ma ad essi ha sacrificato gli interessi di alcuni paesi asiatici anch’essi di ispirazione comunista, ma di importanza minore nello scacchiere internazionale. È stato detto che la sua realpolitik non è stata ideologica, tuttavia devo ricordare che il suo maggior nemico è stato quello spettro che si è aggirato per l’Europa, da cui egli stesso proviene, per molti decenni: quello del comunismo che apparentemente lo ha ossessionato per anni, come se fosse vero che il comunismo si è realizzati da qualche parte del mondo. Ma se guardiamo a tutti I regimi che ha osteggiato da quelli dell’America Latina a quelli dell’Africa e dell’Asia e, last but not least, quello dell’Unione Sovietica, sono tutti regimi socialisti. Dunque mi chiedo se sia proprio vero che la sua strategia politica si sa stata immune dall’ideologia.
Molte sono le decisioni che lo rendono ai miei occhi indifendibile e che non starò qui ad analizzare, ma due sono quelle gravissime per cui il premio Nobel per la pace è davvero una beffa: la prima quella del bombardamento di un paese neutrale come la Cambogia, anch’esso provocato dalla paranoia che i vietcong potessero usare quel paese come rifugio e che provocò circa 50.000 morti e l’altra quella del rovesciamento del presidente socialista Salvador Allende eletto democraticamente dal popolo cileno. E successivamente l’instaurazione attraverso un golpe del regime militare sanguinario di Augusto Pinochet in un 11 settembre 1973 che durante quasi vent’anni ha causato quasi 40.000 morti tra desaparecidos e dissidenti torturati e uccisi. Dunque, come si vede, un bilancio non proprio positivo che solo attraverso queste due vicende rende Henry Kissinger un personaggio non certo da osannare, come sembra fare gran parte della stampa e della politica nazionale e internazionale, dimenticando troppo presto la sofferenza di centinaia di migliaia di persone la cui vita è stata sacrificata alla mera ragion di stato. E non sempre con risultati apprezzabili.