di C.F.
Meno pop più ricerca, anche se tuttora il Due Mondi appare più «una rassegna» che il festival di menottiana impostazione. Al termine del primo triennio della direttrice artistica Monique Veaute è possibile abbozzare una prima analisi su come il Due Mondi sia cambiato dall’era di Giorgio Ferrara, recentemente scomparso, e ad aiutare Passaggi Magazine a tracciarne le coordinate è stato Sergio Macedone oggi in Rai Cultura, ma tra il 2006 e il 2009 dirigente del Comune, oltreché profondo conoscitore della manifestazione. Oltre al cambio delle linee guida che la nuova direttrice ha definito, va rilevato che Veaute, al termine di un triennio segnato dal Covid, è comunque riuscita nuovamente a riempire teatri e piazze del centro storico spoletino, assicurando una discreta vitalità anche alle serate infrasettimanali, attraverso proposte in grado di raccogliere una buona risposta di pubblico e, soprattutto, dando gambe a quella che è stata per anni una richiesta del territorio, ovvero tentare di non concentrare tutti gli spettacoli e gli appuntamenti nel weekend. Un passo in avanti, questo, su cui gli operatori economici chiedono un ulteriore sforzo, ma che certamente ha aiutato il Due Mondi a tornare, per usare le parole della direttrice amministrativa Paola Macchi, «ai livelli pre Covid-19», a dispetto della rinuncia al pop e pure alla dose massiccia di prosa che Ferrara per 12 edizioni ha somministrato al pubblico del Festival.
Ed è questa una delle maggiori differenze che si riscontra tra la programmazione dell’ex direttore artistico ora scomparso e Veaute, col primo che, da uomo di teatro, ha sempre assegnato alla prosa un ruolo centralissimo e di grande rilievo. In questo senso, vale la pena citare la partecipazione pressoché fissa di uno dei più apprezzati registi internazionali, Bob Wilson, mentre nell’edizione appena conclusa il cartellone della prosa è stato affidato essenzialmente a Silvio Orlando e Leonardo Lidi. «Va però rilevato che Ferrara non ha mai commissionato opere teatrali a Bob Wilson, come faceva coi grandi registi del suo tempo Menotti, per il quale la prosa era rilevante, ma non centrale come in Ferrara, tanto che i lavori di Bob Wilson sono sempre arrivati a Spoleto dopo essere stati rappresentati all’estero almeno una volta», evidenzia Macedone, secondo cui «con Ferrara il Due Mondi passa da festival a rassegna, perché con l’era Menotti termina quel Due Mondi che presentava opere liriche, teatrali o concerti, anche di profonda sperimentazione, composti esclusivamente per il Festival di Spoleto, per alcuni dei quali Menotti non autorizzava neppure repliche in altre capitali della cultura, oppure che qui arrivavano come prime mondiali». E commette un errore, secondo Macedone, chi ritiene che un simile modello non possa tuttora essere replicabile, specie al Due Mondi che da bilancio conta ormai da diversi anni su circa 5 milioni di euro. Im questo senso «un aiuto – dice Macedone – potrebbe arrivare da Nuova consonanza, l’associazione dei compositori italiani, con cui si potrebbe verificare la possibilità di committenze per le opere liriche del Festival».
La 66esima edizione appena conclusa ha anche segnato il ritorno dell’opera lirica a Spoleto, che mancava ormai da tre edizioni a causa, questa è stata la giustificazione, dell’emergenza Covid che impediva il trasferimento di compagnie internazionali. Veaute ha mantenuto, dunque, la promessa e per il prossimo Due Mondi ha già assicurato che l’inaugurazione sarà affidata, con un ritorno quindi alla tradizione, all’opera lirica anziché al concerto inaugurale di piazza Duomo, quest’anno annullato a causa del maltempo. Il ridimensionamento del ruolo della prosa operato da Veaute è andato a vantaggio prevalentemente della musica: «Le proposte – dice Macedone – sono state tutte molto buone e anche avere due orchestre del calibro di Santa Cecilia e Budapest festival in residenza a Spoleto, con i relativi ensamble da camera, rappresenta certamente una scelta rilevante». Veaute fin dal suo insediamento, del resto, ha esplicitamente affermato che la musica sarebbe stata più che centrale nella programmazione e nel farlo ha anche acconsentito a incursioni importanti, quest’anno ad esempio quella folk di Rhiannon Giddens, «a cui – ricostruisce Macedone – anche Menotti era interessato: su questo vale la pena riconoscere a Veaute i continui rimandi al padre fondatore del Due Mondi, che le fanno certamente onore, ma la direttrice commette un errore quando dice che anche le proposte jazz rientravano tra i desiderata di Menotti, perché ricordo nitidamente il maestro affermare “Finché vivrò il jazz non metterà piede a Spoleto”».
Ancora da decifrare e quindi meno netta la traiettoria della danza dell’era Veaute. Quest’anno, ad esempio, è mancato completamente il balletto classico e neoclassico, cui invece Ferrara era comunque legato. Unica eccezione l’appuntamento con Fernando Montano, che però a Spoleto ha presentato uno spettacolo con un impianto che classico non era. Veaute, in particolare con la 66esima edizione, sembra impegnata a spostare il focus della danza verso fronti segnati da una maggiore contaminazione di linguaggi e verso proposte d’avanguardia, anche se va rilevato che nel 2022 al Due Mondi è arrivata Trisha Brown, che ha scritto una pagina fondamentale della danza contemporanea, così come è stata rappresentata “Le Sacre du printemps” di Pina Bausch altra pietra miliare del genere. Per ora, dunque, Veaute non sembra aver archiviato completamente la tradizione festivaliera della danza, ma potrebbe, a partire da quest’anno, aver dato il La a una proposta altamente contemporanea e sperimentale, col rischio di presentare balletti troppo incardinati sulla ricerca e quindi di difficile metabolizzazione non soltanto al pubblico generalista del Due Mondi, ma pure agli addetti ai lavori.
Come si diceva, però, uno degli elementi più evidenti della programmazione curata da Veaute è quella che Macedone definisce «la rinuncia al pop», che Ferrara aveva introdotto non soltanto con la musica, ma pure con spettacoli segnati da una spiccata vocazione nazional popolare, il caso più eclatante è quello di Luciana Littizzetto, oppure con protagonisti grandi nomi, come Monica Bellucci che interpreta Maria Callas. «Pur strizzando l’occhio a qualcosa che non è esattamente nello spirito del Festival di Spoleto, a Veaute – dice Macedone – va riconosciuto il merito di non aver tentato di mettere in piazza il pop a tutti i costi, come visto negli ultimi anni, ad esempio con Mahmood, che è stata a mio avviso una scelta imperdonabile». Il pop di Ferrara, va detto, aveva l’obiettivo dichiarato di tentare di avvicinare al Due Mondi le nuove generazioni e pure di allargare il pubblico della manifestazione, proponendo cantautori di primo piano come Fiorella Mannoia, Francesco De Gregori ed Edoardo Bennato, mentre la finalità non dichiarata, ma evidente, era quella di fare il pieno al botteghino. «Credo che i giovani possano essere avvicinati anche con proposte più internazionali, da ricercare potenziando – afferma Macedone – l’attività di scouting, che era una delle capacità più riconosciute di Menotti e dei suoi consulenti».
Infine l’impatto del Due Mondi su Spoleto. Quest’anno il botteghino ha cubato 675mila euro, mentre nel 2019 si è raggiunta e superata la soglia dei 700mila euro a differenza del 2018 quando ci si era fermati a 648mila euro. Complessivamente sono stati venduti 26mila biglietti e almeno altrettanti, dunque, sono stati gli spettatori, ma su questo dato non è possibile il confronto col 2019 né degli anni precedenti per indisponibilità del dato. Macchi, nel corso della conferenza stampa finale, ha poi quantificato nel «90 per cento l’occupazione media rilevata nei teatri e nelle piazze». In crescita sull’ultima edizione prima del Covid risultano quelle che negli anni sono state impropriamente considerate le presenze del Festival (da non confondere coi pernottamenti, sui quali è ancora atteso il bilancio), ovvero il numero di persone contate dai sistemi di mobilità alternativa nel periodo della manifestazione, che quest’anno sono state 140.500, mentre nel 2019 si erano fermate a 130 mila. I parcheggi di struttura della Sfera e della Posterna durante il Festival hanno accolto 24 mila veicoli, circa 1.600 in più dello scorso anno.
Sul fronte economico gli effetti del Festival si fanno sentire negli alberghi. Carlo Dello Storto, presidente del ConSpoleto, il consorzio che raccoglie gli albergatori, ha spiegato che «durante il Due Mondi abbiamo avuto tassi di occupazione di almeno il 90 per cento durante la settimana e il tutto esaurito nei weekend, anche se va evidenziato che essendo tornate massicciamente le compagnie, molti dei posti a disposizione vengono assorbiti dagli artisti». Dello Storto, infine, evidenzia che lo spettatore medio che pernotta a Spoleto per il Festival è «italiano e soprattutto ultra settantenne» e in questo senso il rappresentante degli albergatori evidenzia la «necessità di lavorare affinché avvenga tra il pubblico un ricambio generazionale, che ora stentiamo a vedere: mi spiego abbiamo perso molti ospiti storici del Due Mondi, che ormai sono novantenni e quindi faticano a spostarsi, e non abbiamo visto arrivare la generazione dei quarantenni e cinquantenni».
A sollecitare due riflessioni è il presidente della Confcommercio cittadina, Tommaso Barbanera, il quale, riconoscendo che «il Festival resta un grande attrattore del territorio», non condivide pienamente il rilievo di un Due Mondi vitale anche durante la settimana: «La ricaduta economica si riduce sostanzialmente ai weekend e agli ultimi giorni di Festival e credo che questo richiesta una seria riflessione per arricchire il programma anche dal lunedì al giovedì». L’altra considerazione di Barbanera riguarda quelli che definisce “gli spin off del Due Mondi: il Festival – afferma – è un brand importante e occorre creare progetti, come la ‘Scuola del Festival’ per attrarre in città giovani attori, cantanti, ballerini, musicisti e performer».