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di Sud

Il rapporto di Paolo Villaggio con il mondo della cultura “alta” si può raccontare attraverso due aneddoti, un po’ romanzati ma entrambi molto attendibili. Nel primo Villaggio e Moravia sono sullo stesso aereo; stanno andando a ritirare un prestigioso premio letterario (in due sezioni diverse). Villaggio, forse un po’ in soggezione, cerca di incrociare lo sguardo di Moravia per scambiare due parole, ma ne ha in risposta solo una smorfia di disgusto.
Il secondo aneddoto si svolge nella redazione di un importante dizionario dedicato alle opere della letteratura italiana. Se ne devono scegliere molte e c’è ancora qualche posto libero. Un redattore si azzarda a proporre Fantozzi, il primo libro di Villaggio, pubblicato da Rizzoli nel 1971. Reazione generale “alla Moravia”; resa solo un po’ meno laconica da questa motivazione: “…e comunque il nostro pubblico non è ancora pronto”.
Così andavano le cose sul finire dello scorso secolo. Oggi che celebriamo il primo quarto del nuovo, Paolo Villaggio comincia a essere ricordato per quello che realmente era: uno dei più grandi umoristi del Novecento, con dentro un po’ di Chaplin, un po’ di Kafka, un po’ di Gogol, un po’ di Pirandello. E i suoi libri (a cui il “mostruoso” successo al cinema ha tolto qualcosa) sono studiati come uno straordinario laboratorio di lingua e letteratura.
Uno degli episodi più ferocemente esilaranti di Fantozzi è quello della cena “di società”, a casa di un ambasciatore che si diletta a cannoneggiare le spiagge popolari. Dal menu: riso con pomodorini di guarnizione («fuori freddino, dentro 18.000 Fahrenheit»); tordo, su cui lavoravano «con bisturi sottili un branco di Barnard e di Valdoni», inghiottito da Fantozzi intero e senz’acqua, «ché non avevano ancora avuto segnalazioni più precise sui bicchieri».