di Sud
L’Arte di Calimala, una delle arti maggiori del Comune di Firenze, era quella dei mercanti di tessuti. Il nome era quello della via dove si concentravano quasi tutte le botteghe di panni. Alla metà del Quattrocento, Domenico, figlio di Giovanni il legnaiuolo, vi aprì una barberia che divenne tanto celebre da essere raffigurata nella volta della Galleria degli Uffizi. Domenico non era un gran barbiere, ma aveva un’altra qualità: improvvisava versi.
Per ascoltare Domenico, e gareggiare con lui, si riunivano nella sua bottega tutti i letterati e gli artisti fiorentini. Erano versi in cui nomi di luogo e di persona, cibi e mestieri, oggetti e concetti, si ammassavano alla rinfusa, come le merci nelle “burchie”, le barche che da Venezia, risalendo il Brenta, arrivavano a Padova e oltre. Così quel modo di verseggiare fu chiamato “alla burchia”, e Domenico divenne famoso come “Il Burchiello”.
I caotici e assurdi accostamenti di Burchiello non sono, come sembrano, sempre privi di senso. I Medici, ad esempio, ci videro una presa in giro del loro governo, e lo costrinsero a lasciare Firenze. Un accostamento “burchiellesco” che ricorre spesso è l’adynaton, cioè la rappresentazione di una cosa impossibile o paradossale; come nella “coda” del sonetto 99: «intanto ch’io vendemio le lattughe, poi darò ceste rotte per acciughe».
Una “cesta rotta per acciughe” è, in un certo qual modo, la “menaica”, la rete a maglie larghe usata nel Cilento da aprile a luglio, che cattura le alici più grandi e lascia passare le piccoline. Così, se a maggio vi trovate un mezzo chilo di alici appena pescate, due o tre bei limoni succosi, un po’ di erbette profumate, la ricetta migliore è quella delle alici marinate. Con una raccomandazione: che la marinatura non duri più di dieci minuti.