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Fatturati in crescita per Filippi e Antoniazzi. Bene Spagnoli. Cause delle difficoltà di mercato.

di Gabriella Mecucci

Bilanci alle stelle. Finito il covid per il fashion lusso sembrava iniziata una marcia trionfale. Dopo la grande paura, era spuntata una smania di consumo che premiava tutte le aziende del settore. I ricchi ma anche soltanto i “forti benestanti” volevano togliersi alcuni costosi sfizi. Quel trend dei miracoli però si è bloccato, ed è iniziata la crisi. I primi sintomi si erano già avvertiti nell’ultima parte del 2023, ma con l’inizio del 2024 è apparsa evidente: ha colpito i fatturati e le azioni in Borsa. Pochi continuano a marciare sulla strada dei successi. Fra questi il lusso umbro, Cucinelli in testa, ma non solo.

I dati parlano chiaro. Kering, uno dei gruppi più importanti (Gucci, Saint Laurent, Balenciaga), ha fatturato nel primo trimestre del 2024 l’undici per cento in meno e ha già detto che nella seconda metà dell’anno si attende risultati ancora peggiori: alcuni marchi potrebbero raggiungere un calo del 30 per cento. Male anche Burbery, le cui vendite sono scese del 21 per cento. Non bene nemmeno LVMH (Vuitton, Dior, Kenzo, Givenchy, Fendi): il super colosso nel primo semestre è andato sotto di un punto. Chi più o chi meno è entrato dunque in un cono d’ombra.

Per fortuna in Umbria il grande freddo non è arrivato. Cucinelli brilla ancora con un più 14,7 per cento di fatturato nei primi sei mesi, e con la rosea previsione di finire il 2024 in ascesa del 10 per cento. Ma i successi non finiscono qui. Ubs, azienda globale che fornisce servizi finanziari, giudica la Brunello Cucineli spa “uno dei pochi asset interessanti” del lusso. E intanto a Solomeo si fanno e si programmano investimenti per raggiungere l’obiettivo del raddoppio del fatturato nel 2030. Il che vuol dire superare abbondantemente i 2 miliardi. Recenti le acquisizioni della “Sartoria eugubina” e il lancio sul mercato del profumo.

Ma quella del “re del cachemire” non è la sola impresa del ramo a accumulare successi su successi. Va alla grande anche Luisa Spagnoli che ha chiuso il 2023 con una crescita del 10 per cento toccando quota 125 milioni di fatturato. E che dire di Fabiana Filippi? L’azienda di Giano dell’Umbria ha superato i 73 milioni  e  alcuni importanti osservatori la mettono nell’elenco delle possibili new entry nel club dei 100 milioni di fatturato. Anche Lorena Antoniazzi, sebbene in dimensioni più ridotte, marcia veloce e sicura. A partire dai 35 milionj del 2023, punta raggiungere nel 2024 i 40 milioni e nel biennio 2025-26 i 50 milioni.

Per il momento dunque l’Umbria del lusso  non solo non si ferma ma accelera. La crisi è lontana dai lidi locali, ma ormai in tutto il mondo ci si interroga sulle ragioni che l’hanno prodotta. La risposta più comune è che il mercato cinese tira meno che in passato, ma c’è chi aggiunge che una delle cause sarebbe nell’eccessivo aumento dei prezzi, pari al 25 per cento. Cucinelli però fa capi costosi e vende forte anche a Pechino e Shangai, eppure regge bene. Alcuni commentatori osservano che i super ricchi non guardano a spese. Questo è vero, ma non sono solo loro a comprare beni di lusso. Ogni tanto lo fanno anche i meno ricchi allontanati però dalle cifre scritte sui cartellini.

A questo punto entrano in campo altre due spiegazioni della crisi. Per i grandi marchi non sarebbe salutare essere finiti in mano ai Paperoni della finanza internazionale, mentre reggerebbero meglio i brand gestiti alla vecchia maniera, tipo capitalismo familiare. E le aziende umbre rientrano tutte in questo schema. Del resto anche a livello nazionale e internazionale vanno bene i vari Prada, Zegna, Hermès, che non sono nell’orbita dei grandi finanzieri. Da ultimo ma non per ultimo c’è il fattore creatività e qualità. E queste a Solomeo come a Perugia come a Giano dell’Umbria, pur a livelli e su piani diversi, non mancano.