di Luca Fortis
Le proteste di questi mesi in Iran e la durissima repressione del regime, che ha portato alla morte di centinaia di persone, rappresentano la fine di ogni legittimità della Repubblica Islamica agli occhi della popolazione.
Se già prima la maggioranza degli iraniani non amava il governo degli ayatollah, con la morte di tanti giovani e giovanissimi iraniani, sono nati nuovi martiri. Martiri immolati per la libertà di un paese che sogna solo il giorno in cui i suoi figli potranno autodeterminare il proprio futuro. Certo, non è detto che questo accadrà subito, anzi potrebbero volerci ancora molto tempo e molto sangue. Ma la strada è segnata, ci volesse anche un decennio, la gente non dimenticherà il volto di questi giovani stuprati, torturati, impiccati.
I loro volti e le loro storie, nel lungo periodo, saranno la condanna a morte della Repubblica Islamica.
Già oggi molti religiosi, per evitare che la religione rimanga associata a questo scempio, invitano il clero e la politica a dissociarsi e più passerà il tempo e più probabilmente questi casi aumenteranno.
La Repubblica Islamica risponde con il sangue a proteste per la maggior parte pacifiche, stupra donne e uomini, impicca, uccide, ma la violenza genera solo maggiore rabbia, è un percorso senza via d’uscita. È come una valanga che diventa sempre più grande, che travolgerà tutti. I nuovi martiri sono trasversali a tutti gli strati sociali e ideologici della società iraniana. Ricchi e poveri, religiosi e laici, gente di città e di campagna, persiani e minoranze, oppositori e gente che era al governo fino all’altro ieri. Questo fa sì che lo scontento di tutti questi gruppi sociali si stia pian piano cementando e unendo in un unica grande opposizione. La violenza del regime potrà forse rallentare il disgregarsi dello Stato, ma allo stesso tempo aumenterà e amplierà ancora di più il malcontento, rendendo ancora più forte il movimento popolare che chiede la fine della Repubblica Islamica.
Il regime potrebbe salvarsi solo se processasse se stesso e chiedesse scusa, situazione improbabile, visto che sono vent’anni che la gente prova a modificarlo dal suo interno, senza alcun successo. Tutte le ambiguità e le bugie della rivoluzione islamica stanno venendo al pettine. Gli iraniani che fecero la rivoluzione del 1979 contro lo Scià Reżā Pahlavī erano in gran parte di sinistra e credettero a Khomeini, che dall’Iraq e dalla Francia, inondava il paese con sermoni registrati che giravano grazie alle cassette in cui diceva che il suo Iran sarebbe stato Islam, democrazia, diritti e pace.
Gli iraniani, sia laici sia religiosi, hanno toccato con mano già nei primi Anni Ottanta del secolo scorso com’è andata a finire. Certo, il regime si è dimostrato resiliente, anche utilizzando la violenza e una certa elasticità ideologica, purché la discostanza dalle regole ufficiali avvenisse di nascosto, nel privato, senza che mai dovesse diventare un diritto, una rivendicazione. Il regime era, sì, violento, ma tragicamente era una violenza meditata, con una sua spietata raffinatezza.
Oggi questa elasticità è del tutto venuta meno, sostituita da una senile, quasi ottusa, rigidità. Tutto questo non può che segnare la sua fine nel lungo termine, anche se nel breve potrebbe ancora sopravvivere, creando violenti colpi di coda. Ma probabilmente sarà qualche religioso stesso a voler salvare l’Islam sciita dall’identificazione con questa carneficina di stato.