di Luca Fortis
L’opposizione più conosciuta in Iran è quella laica, oggi maggioritaria in vaste aree del paese, a iniziare dai maggiori centri urbani, ma anche in vaste aree del paese. Non si tratta soltanto di attivisti, ma in grande maggioranza di persone che non ne possono più di rispettare regole, come per esempio il velo, il divieto dell’alcol, la separazione uomo-donna, le regole sulla sessualità e tantissime altre.
Tutte regole quotidiane che vengono considerate restrizioni di uno stato totalitario che usa la scusa di Allah per rinchiudere la gente in un grande carcere.
Un grande carcere a cielo aperto è la descrizione che moltissimi iraniani danno del loro paese. Le uniche forme di libertà si conquistano con la menzogna.
Una volta un amico mi disse: «In Iran si impara a mentire quando da piccoli, il primo giorno di scuola, i genitori ti dicono non dire ai maestri che non beviamo alcol. In quel momento capiamo che la menzogna bianca ci salverà dagli occhi dello stato religioso».
Ma questa vastissima opposizione, definibile laica, appunto, non è l’unica. Oggi il novanta per cento della popolazione odia il regime islamico, ma non tutti sono laici. Questo articolo vuole essere un piccolo “bigino” sulle varie opposizioni iraniane. Non è possibile entrare nel dettaglio di tutte, ma permette di sapere che esistono e il lettore che ne sarà incuriosito, troverà gli elementi per approfondirle.
L’opposizione islamica. In Iran per esempio esiste anche un’opposizione islamica alla Repubblica Islamica.
Nell’Islam, come per gli ebrei, non esiste un Papa che possa dichiarare dogmi. Ogni studioso, in teoria, può inaugurare nuove correnti di interpretazione. In particolare, nell’Islam sciita, sono esistiti dodici Imam, successori di Maometto i quali, essendo illuminati da Allah, potevano dichiarare dogmi. Ma l’ultimo, il Magdi, si è nascosto disgustato dalla politica e dal mondo. Tornerà alla fine del mondo con Gesù Cristo. Ecco perché molti islamici trovano l’Islam politico e la Repubblica Islamica eretici e contestano la rigidità dell’Islam statale e centralizzato.
Sanno bene che né i califfi, né gli shah interpretavano il Corano e che, nelle società sotto il loro dominio, esisteva un pluralismo sia nel modo di interpretare il Corano, sia per quanto riguarda la libertà religiosa. Queste persone sanno bene che i primi califfati islamici erano società aperte e non chiuse. Luoghi in cui una volta accettato il potere del califfo, si poteva discutere di religione, scienza e filosofia senza eccessive rigidità o dogmi di stato. Qualcosa non lontano da quello che accadeva nell’Impero Romano dove, accettato il potere politico dell’imperatore e il suo essere custode della religione, alla fine si poteva credere in altri dei o culti; bastava non contestare il sistema e il suo custode.
L’opposizione sciita alla repubblica islamica e al suo stravolgimento della tradizionale velāyat-e faqih, conta nomi molto importanti.
La velāyat-e faqih affonda le sue radici nel processo di “razionalizzazione” della dogmatica sciita. Politicamente, il concetto-chiave che caratterizzò larga parte della storia dei religiosi sciiti fu il “quietismo”. Un’espressione, scrive Nikki R. Keddie in Religion and Politics in Iran. Shi’ism from Quietism to Revolution, «invero, molto ampia, il cui significato oscillava tra totale disimpegno degli ulama negli affari politici ed effettivo coinvolgimento, ma sempre al di fuori di una formale responsabilità politico-istituzionale. Dal canto suo, Khomeini portò il processo di razionalizzazione fino all’estremo compimento, rompendo la tradizione quietista, laddove appunto a suo parere il ruolo del mujtahid non si doveva limitare a questioni teologiche e cultuali, ma interessare anche il governo stesso della comunità».
Uno dei nomi di spicco nel clero che si oppose all’idea khomeinista di velāyat-e faqih fu l’ayatollah Hossein-Ali Montazeri successore designato di Khomeini, che fu incarcerato per aver detto a più riprese che la Repubblica Islamica doveva aprirsi ai partiti politici, riconciliarsi con i propri nemici, smettere di condannare a morte le persone e finanziare gruppi politici e armati che volessero replicare il sistema iraniano nel mondo.
Montazeri, era solito dire che «il diniego dei diritti del popolo, l’ingiustizia e il disconoscere i veri valori della rivoluzione hanno portato i più severi colpi alla Rivoluzione. Prima di ogni ricostruzione, ci deve essere una ricostruzione politica e ideologica… Ciò è qualcosa che il popolo si aspetta da un leader».
Montazeri è morto nel 2009 quando era ancora agli arresti domiciliari.
Un altro oppositore che non si può dimenticare tra gli studiosi dell’interpretazione islamica è il filosofo Abdolkarim Soroush. Fu scelto dall’Ayatollah Khomeini durante la rivoluzione islamica per l’Istituto di Rivoluzione Culturale, con il compito di rivedere corsi e testi prima della riapertura delle Università. Durante gli Anni Novanta Soroush ha assunto gradualmente posizioni sempre più critiche sul ruolo politico dei religiosi in Iran.
Fondò la rivista Kiyan, che divenne il foro di discussione degli intellettuali religiosi. Su Kiyan pubblicò articoli in cui criticava la Repubblica Islamica su temi come pluralismo religioso, ermeneutica, tolleranza, clericalismo. La rivista fu chiusa nel 1998 insieme a molte altri periodici e quotidiani per ordine diretto del leader supremo della Repubblica Islamica.
Chiusa la rivista, Soroush registrò circa mille nastri con i suoi discorsi su argomenti sociali, politici, religiosi e letterari. Discorsi che circolarono moltissimo, sia in patria sia all’estero. Per questo perse il suo lavoro e dopo svariate minacce, oggi vive all’estero. Dal 2000 Abdulkarim Soroush è Visiting Professor dell’Università di Harvard, dove insegna poesia e filosofia Rumi, Islam e democrazia, Studi coranici e filosofia della legge islamica. È anche uno scholar in residence all’ Università di Yale.
Il principale contributo di Soroush alla filosofia islamica è l’idea che si dovrebbe distinguere tra il fenomeno religioso come rivelazione divina e l’interpretazione della religione o la conoscenza religiosa che si basa su fattori socio-storici. Nella sua opera La contrazione teoretica e l’espansione della Shari’a, separa la religione per sé dalla conoscenza religiosa. La prima, l’essenza della religione, è percepita come al di là delle capacità di comprensione umana, eterna e divina. La seconda, la conoscenza religiosa, è una forma di conoscenza umana sincera e autentica ma finita, limitata e fallibile.
L’opposizione sufi. Una delle opposizioni meno conosciute alla Repubblica Islamica è quella dei sufi, gruppi di mistici islamici. I sufi, come tutti i mistici, hanno idee tolleranti e attraverso percorsi mistici arrivano a visioni molto complesse e a volte mal viste da chi vede la religione in modo dogmatico, proprio per questo non possono che vedere di malocchio la rigidità in cui la Repubblica Islamica ha ingabbiato l’Islam.
Storicamente tutta la grande poesia e la gran parte dei testi di letteratura iraniana sono di derivazione sufi.
I leader religiosi sufi e chi scrive di traduzioni sufi viene spesso incarcerato e condannato a pene molto pesanti.
L’opposizione culturale. La cultura e la letteratura tradizionale iraniana, soprattutto quella medioevale, hanno dato vita ad una singolare forma di opposizione, quella di chi conosce le proprie radici. La cultura in Iran, soprattutto se si parla dei grandi poeti e filosofi medioevali, come Omar Khayyam, Hafez, Rumi, Attar e Ferdouzi, non è un fenomeno elitario, anzi è molto popolare.
I contadini predicono il futuro attraverso le poesie, il popolo prega sulle tombe dei poeti, come le élite intellettuali studiano queste opere. Esse sono come il sangue che scorre nelle vene del paese. Basta leggere del loro vino mistico e reale, del loro erotismo, anch’esso sospeso tra misticismo e terreno, per rendersi conto che i sufi cercavano la via del peccato e dell’annullamento, perché solo dimostrandosi non degni di Allah, ci si poteva avvicinare ad Allah.
In altri grandi poeti, filosofi e scienziati, per esempio in Omar Khayyam, a tratti si scorge anche un certo scetticismo nei confronti della vita e un invito a vivere e divertirsi oggi, perché del domani non vi è certezza. Anche chi conosce la cultura persiana e le sue radici, non può che opporsi al regime iraniano e la sua visione rigida dell’Islam.
In alcuni splendidi versi Khayyam scrisse:
«Quando l’ebbro Usignolo trovò la via del Giardino
e ridente trovò il bocciolo di Rosa e la coppa del Vino,
venne, e in misterioso bisbiglio mi disse all’orecchio:
Considera bene: la vita trascorsa mai più, mai più non ritorna».
L’opposizione nomade. Le tribù nomadi da millenni hanno regole tutte loro, che sfuggono alle leggi statali e anch’essere possono essere annoverate tra i gruppi di opposizione al regime.
Nel paese esistono ancora moltissime tribù tra cui i Bakhtiari,i Gashgai,gli Shah Savan, i Khamseh, gli Afshar, i Baluci, i Turcmeni e gli Arabi.
I nomadi hanno uno stile di vita fiero e indipendente le cui leggi sono dettate da consuetudini antichissime, leggi che da almeno un centinaio d’anni sono mal tollerate dal governo centrale iraniano. I nomadi come tutti gli altri, chiedono maggiore libertà e sopratutto di non essere uniformati al resto della popolazione e sedentarizzati.
L’opposizione etnica. Esiste poi un’opposizione legata alle minoranze etniche. In Iran, al contrario di quello che si pensa, la popolazione persiana è poco più del 60% gli altri sono curdi, turchi/azeri e gli arabi iraniani, cui si aggiungono i baluchi. Ognuna di queste popolazioni sogna un Iran in cui la propria cultura abbia più spazio ed è un naturale avversario dell’ opprimente rigidità della Repubblica Islamica.
L’opposizione religiosa. Vi è poi l’opposizione che nasce all’interno delle minoranze religiose. I sunniti, gli zoroastriani, gli armeni e gli ebrei, pur formalmente riconosciuti e con deputati che gli appresentano in parlamento, sono comunque sottoposti a molte restrizioni e di fatto, nella vita pubblica, sono costretti a rispettare le leggi religiose della Repubblica Islamica sciita. La maggior parte delle persone che appartengono a queste comunità religiose non ha quindi alcuna simpatia per gli ayatollah. Pochi sanno poi che la seconda religione iraniana per numero di fedeli è la Bahai, culto considerato dagli ayatollah come un eresia dell’Islam, quindi proibito.
La fede Bahai è una religione monoteistica internazionale nata in Iran durante la metà del XIX secolo, i cui membri seguono gli insegnamenti di Bahá’u’lláh, profeta e fondatore che viene considerato una manifestazione di Dio. Tale credo sottolinea l’unità reale e spirituale di tutta l’umanità.
I bahai, come si può leggere nel loro sito italiano, «collaborano con persone di tutti i sentieri di vita e invitano tutti a conoscere gli insegnamenti di Bahá’u’lláh e a esplorare il modo in cui possano essere posti in azione per la realizzazione dell’unità del genere umano».
La loro naturale tolleranza non può che metterli all’opposizione contro l’intolleranza degli ayatollah.
L’opposizione ambientalista. Un’altra forma di opposizione è quella ambientalista.
In Iran comincia a mancare l’acqua, la desertificazione aumenta e non è colpa della natura. L’Iran è da sempre desertico, non a caso la parola paradiso deriva dal persiano pairidaeza, giardino nel deserto. I persiani per millenni hanno padroneggiato l’arte di canalizzare l’acqua delle nevi delle alte catene montuose, per portarla nelle pianure desertiche. Oggi non è più così, anzi sono proprio le faraoniche opere di ingegneria idraulica ad aver causato il disastro ambientale. Dighe idroelettriche e laghi artificiali in luogo sbagliati, con alta salinità del terreno, hanno reso salata l’acqua che non è più utilizzabile per l’agricoltura. Il prosciugamento di aree umide per favorire la ricerca di idrocarburi ha aumentato la desertificazione del paese e le tempeste di sabbia. Inoltre, la deviazione di risorse idriche per centinaia di chilometri, per favorire distretti industriali sorti in aree senza acqua, ha fatto il resto. Il risultato è che gli agricoltori sono inferociti con il governo.
L’opposizione economica. L’ultima opposizione è quella per motivi economici. Le sanzioni economiche dovute alla politica coloniale che da sempre l’Iran ha per esportare la velāyat-e faqih in tutti i paesi con la presenza di sciiti, la onnipresente corruzione, la mala gestione e sopratutto la concentrazione delle ricchezze del paese nelle mani dei religiosi e militari, ha minato la ricca economia del paese fino alle fondamenta. La rabbia popolare e gli scioperi si susseguono da anni, in tutti i settori, pubblici e privati. Perfino i commercianti del bazar, un tempo colonna portante della rivoluzione islamica, oggi sono contro il regime.