di Anna Camaiti Hostert
Ho accettato con entusiasmo il suggerimento di scrivere un pezzo sull’influenza che l’icona musicale pop Taylor Swift ha esercitato e continua ad esercitare sulle elezioni americane.
Un personaggio che mi affascina da anni. Mi ero messa subito a scrivere quando è arrivata la notizia della guerra in Israele che ha lasciato tutti sbigottiti e atterriti e che ha interrotto questa divertente scrittura alla quale tuttavia ho intenzione di ritornare. Una guerra che oltre alle vittime sul posto ha già cominciato a mietere vittime nel mondo. Ieri ad esempio qui a Chicago è stato ucciso un bambino di 6 anni, mentre la madre 32enne è in fin di vita all’ospedale. Un crimine razziale motivato dal solo fatto che ambedue avevano la colpa di essere musulmani. Erano scappati dalla Palestina tempo fa e si erano rifatti una vita qui negli States. Il loro sogno è stato infranto ieri. La notizia di questa nuova guerra in Israele ha improvvisamente cambiato gli equilibri nella politica estera e interna americana. In particolare sembra addirittura influenzare la nomina dello speaker della House la quale è paralizzata nei suoi processi decisionali dal 3 ottobre. Purtroppo, come avevo scritto precedentemente, tra i nomi dei candidati repubblicani che sembrano papabili si fa sempre più strada quello di Jim Jordan un fedelissimo di Trump che lo ha aiutato anche nel pianificare l‘attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, rifiutandosi di testimoniare nella commissione parlamentare preposta al chiarimento di quei fatti. E che ieri nella prima tornata di votazioni non è riuscito ad aver la maggioranza nel suo stesso partito. Tuttavia si vedrà cosa succede oggi con la seconda tornata. Non è ancora detto che non diventi il nuovo speaker della House.
Vediamo tuttavia perché è importante parlarne.
La guerra non solo mette alle corde il partito repubblicano che si trova sempre più isolato, ma complica la situazione tra i candidati alla presidenza che si sfidano ferocemente, e cosi facendo creano uno spazio per la candidatura di Jordan. Quest’ultimo estremizza le posizioni repubblicane unificandole sotto l’ombrello conservatore di una destra veramente reazionaria che tiene in poco conto i principi democratici e le istituzioni del paese. La sua elezione potrebbe creare un caos senza precedenti e rappresenterebbe un grave pericolo per la stabilità nazionale. Nel frattempo gli elettori delle primarie in New Hampshire si fanno molte domande e chiedono chiarificazioni sulla strategia repubblicana in politica estera.
Non riescono a capire quali siano realmente le scelte del partito. Infatti se Nikki Haley e Ron DeSantis, due dei prossimi candidati alle elezioni presidenziali, sono d’accordo nel sostenere unilateralmente lo stato di Israele, identificando Hamas con il popolo palestinese, si dividono sul supporto all’Ucraina invocato calorosamente dalla ex governatrice della Carolina del sud e invece negato dal governatore della Florida. Messaggi conflittuali su obiettivi strategici fondamentali che richiedono invece un‘unita di vedute e di prese di posizione. La guerra dunque rappresenta un crudo reminder di come il GOP sia cambiato negli ultimi anni e si sia allontanato dai suoi principi tradizionali che trovavano in una politica estera forte e muscolare la loro caratteristica fondamentale. E questo non fa altro che creare confusione. C’è stato un cambiamento morfologico avvenuto sotto la presidenza Trump che ha registrato una trasformazione nella visione degli elettori repubblicani. Infatti nel 56% dei casi questi hanno dichiarato di non approvare la politica interventista americana come invece, ad esempio, invoca Haley, rappresentante di una vecchia visione della politica estera del GOP. Allo stesso tempo Trump ha confuso le carte con messaggi contraddittori sullo stesso problema. Cosi ad esempio ha affermato che Benjamin Netanyahu, suo alleato fino a poco tempo fa, durante questa guerra “ci ha deluso” definendo invece la mossa degli Hezbollah di sferrare un attacco a nord del paese “molto intelligente”. Trump è stato per questo criticato dal suo collega di partito Lindsay Graham che gli ha ricordato di non dimenticare mai che gli States sono “il più forte alleato di Israele dei tempi moderni”. Trump dal canto suo ha cercato di rimediare alle sue parole, dicendo che se fosse stato presidente “questa guerra non ci sarebbe mai stata”.
Ma come tutto questo può giovare alla scalata alla House, fino a ieri improbabile, di un personaggio strafottente come Jim Jordan, definito dal repubblicano ex speaker della House John Boehner “un terrorista politico” e dalla collega di partito, Liz Cheney, parte della commissione parlamentare sui fatti del 6 gennaio, come “uno ben informato dei fatti come nessun altro in Parlamento, perché ha partecipato di persona a quegli eventi”? Jordan a causa della sua divisivita’ non è amato da molti dei suoi colleghi di partito che oggi in 20 gli hanno negato l’elezione.
Nel frattempo il paese e i democratici guardano allibiti alla possibilità che possa venire nominato speaker della House. Ebbene nel caos delle diverse posizioni in politica estera e interna dentro il partito, Jordan ha scritto una lettera ai suoi colleghi facendo appello al fatto che con lui ci sarebbe una leadership unitaria. Cosi ha scritto:
“I principi che uniscono noi repubblicani sono molti di più dei disaccordi che ci dividono. E le differenze tra noi e i colleghi democratici superano di gran lunga le nostre divisioni interne… Il paese e la situazione attuale non ci permette di attaccarci gli uni con gli altri. È il momento di rimanere uniti e tornare a lavorare per il popolo americano”.
Ma chi è Jim Jordan?
Sembra impossibile che con i suoi precedenti possa diventare la terza carica dello stato. Tutti, dalla stampa ai colleghi democratici e perfino ad alcuni repubblicani sono increduli. Jordan è famoso, durante 15 anni in cui è stato eletto nello suo stato di provenienza, l’Ohio, per non aver mai passato un provvedimento legislativo, per essere un fedelissimo di Trump e per avere congiurato nella defenestrazione di Kevin McCartney da portavoce della House. E soprattutto per la sua litigiosità. È famoso inoltre per sue pregiudiziali e rabbiose filippiche contro qualunque provvedimento legislativo presentato dal partito democratico. E soprattutto per avere un’agenda conservatrice e reazionaria in politica interna ed estera con un odio viscerale per i democratici con cui c’è da aspettarsi non negozierà minimamente. Cosa che invece come speaker della House è estremamente necessaria. Inoltre a suo carico ci sono accuse di abusi sessuali nello sport del wrestling di cui è stato un dirigente nazionale. Forse il peggiore di candidati possibili.