di Sud
«Carlo Dossi è uno scrittore di razza». Non compreso dai contemporanei, ha dovuto attendere «il riconoscimento di altre generazioni, di lettori lontani». Così scriveva Dante Isella nel 1972, e non credo che il grande filologo e italianista includesse tra i “lettori lontani” gli studenti di liceo. Ai quali Dossi veniva (e credo ancora venga) presentato nel misero capitoletto dedicato dai manuali alla Scapigliatura. Peccato che la sua vita fu tutt’altro che “scapigliata”.
Aristocratico e riservato, a soli ventun anni divenne segretario particolare di Francesco Crispi e iniziò una carriera di diplomatico, con incarichi di grande rilievo: plenipotenziario in Eritrea, console generale in Colombia, ambasciatore ad Atene, capo di Gabinetto del Ministero degli Esteri. Anche nei suoi scritti si distinse dai suoi presunti sodali. Alieno dai proclami eversivi e dalle piazzate bohemienne, fu un incendiario della parola e del concetto.
L’espressività della sua prosa, precorritrice di quella gaddiana, e l’anticonvenzionalità delle sue idee piacquero a Croce che, nella Letteratura della nuova Italia, dove aveva stroncato D’Annunzio, Pascoli e Pirandello, lodò una delle sue Goccie d’inchiostro. L’opera di Dossi è piena di dolciumi infantili, cialdoni al lattemiele, rottami di zucchero, confetti, cioccolata, ma le Caramelle, nel bozzetto che piacque a Croce, prendono il centro della scena.
La storia è un’inezia: Dossi è in un emporio quando vede entrare un maschietto e due femminucce. Chiedono due soldi di caramelle e il bottegaio gliele misura con parsimoniosa esattezza. Dossi fa cenni al bottegaio, ma quello, «grosso di scorza», non capisce. Usciti i tre col magro acquisto, chiarisce: «Volevo che loro vuotaste il baràttolo, pagavo io». E il bottegaio: «Bisognava parlare». Che cosa rispondere a tanta piccineria? Niente, solo un pensiero: «Foss’egli stato una donna!».