di Sud
Fino al 1979 pochi conoscevano Michail Bachtin e pochissimi avevano letto il libro che lo rese, di lì a poco, celebre tra storici e letterati, antropologi e filosofi: L’opera di Rabelais e la cultura popolare: riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale. Il libro, uscito in russo nel 1965 e tradotto in Francia nel 1970, proponeva una lettura rivoluzionaria del carnevale, basata sull’egualitarismo e sulla teoria dell’alto e basso
materiale e corporeo.
I Canti carnascialeschi di Lorenzo il Magnifico sono una tra le opere che da allora furono reinterpretate, rileggendone gli evidenti doppi sensi a sfondo sessuale alla luce del pensiero bachtiniano. Nella Canzone dei cialdoni l’uso del doppio senso raggiunge vette di raro virtuosismo. Perché la lettera del testo propone nient’altro che la ricetta delle cialde, ma dietro ogni ingrediente e ogni fase della preparazione si cela un doppio senso.
La ricetta è semplice: acqua e farina (qualcuno oggi aggiunge un uovo), «poi vi si getta quel ch’è dolce e bianco zucchero; e fa’ il menar non abbandoni…fatto l’intriso, poi col dito assaggia: se ti par buon, le forme a fuoco poni…scaldale bene, e, se sia forma nuova, il fare adagio ed ugner molto giova…Quando l’intriso nelle forme metti e senti frigger, tieni i ferri stretti, mena le forme, e scuoti acciò s’assetti, volgi sozzopra, e fien ben cotti e buoni».
L’elegante fiorentino di Lorenzo non richiede una gran perifrasi; due parole in più vanno però dette sulla “forma”. Due piatti di ferro (in Abruzzo le cialde sono dette “ferratelle”), retti da due lunghi manici intrecciati a forbice. L’interno del piatto dove cuoce la cialda è decorato; i fabbri vi incidevano semplici forme geometriche o le iniziali degli sposi; ma abbiamo anche ferri prodotti da grandi artisti con fregi, grottesche, motivi floreali.