Foto di Daniel Capilla
di Fabio Maria Ciuffini
E’ stato approvato alla Camera il nuovo testo del Codice della Strada che ora passa al Senato per l’eventuale approvazione definitiva. Purtroppo un testo che era nato con le migliori intenzioni si è scontrato nel suo iter legislativo con l’ennesima crociata del Ministro Salvini, stavolta contro l’istituzione delle Zone 30 nel Comune di Bologna. Una polemica personale con il Sindaco Lepore che prima ha partorito una Direttiva Ministeriale contro il provvedimento bolognese (un precedente assoluto di un Ministero contro un Comune: la vendetta del citofono?) e poi è riuscita a stravolgere insieme sia il concetto di mobilità sostenibile che il diritto-dovere delle Autonomie Comunali di realizzarla. Riporto in proposito la dichiarazione di voto contraria di Anthony Emanuele Barbagallo – PD su cui concordo “… il testo è accompagnato da un costante, scomposto, maldestro tentativo di incidere sulle competenze dei comuni. Altro che coinvolgimento dei Sindaci, c’è una violazione anche della riforma della Costituzione del 2001. Un insopportabile delegittimazione degli enti locali e delle loro scelte!” Un tentativo che, aggiungo, rievoca gli anni e gli argomenti pro-auto della prima motorizzazione di massa e che mi ricorda il clima in cui avvenne la pedonalizzazione di Corso Vannucci a Perugia mezzo secolo fa, con le annesse polemiche. Eppure nessun Ministro di allora (erano i tempi degli onnipotenti Scelba e Fanfani…) si sognò di intromettersi nelle decisioni di un Comune sia pure amministrato da forze di opposizione. Bastava la regia dell’ACI di allora quando si minacciavano insurrezioni contro ogni limitazione dell’uso dell’auto ovunque e comunque al grido: “ Ho da fare, debbo andare a lavorare!”, ripreso oggi da Salvini. Ed oggi che finalmente l’ACI è diventato un entità political-correct che progetta mobilità sostenibile, cosa mette in campo il Ministro contro la perversione dei Sindaci? Niente di meno di una inoppugnabile teoria tecnico-scientifica: “il buon senso”! Sentiamo Salvini: “Zone 30 e rilevatori di velocità nei centri urbani devono essere valutate secondo criteri di buon senso!” Gli fa eco il Viceministro Galeazzo Bignami: “Se necessario disapplicheremo queste ordinanze – intrise di ideologismo fine a sé stesso e prive di buon senso. E in una presentazione della Legge appena approvata alla Camera il MIT di Salvini invoca: Zone a traffico limitato di “buon senso”. Ma a chi è affidato il compito di stabilire cosa sia di buon senso o no? Ma a lui, Salvini, no? Non è il titolare del “buon senso” nazionale? Non
ricordate i manifesti 6X3 in cui dichiarava “La rivoluzione del buonsenso?”.
Lo stesso “buon senso” che vede la terra piatta ma non il cambiamento climatico, la teoria della relatività come una patente corbelleria e il Papeete come piedistallo per la conquista del potere? O invece quello dell’ex sindaco leghista di Oderzo, Giuseppe Covre, che spiega: “Pedonalizzare e abbassare la velocità delle automobili non è di destra o di sinistra è “buon senso.” O quello di Mario Conte, Sindaco Leghista di Treviso che ci dice: “città 30” in verità lo siamo già da diversi anni. Mi spiego: il centro storico di Treviso è molto piccolo, medievale, quindi nell’ottica di realizzare una città su misura di pedoni e di ciclisti abbiamo inserito il limite dei 30 chilometri orari per garantire anche per strada, laddove non fosse possibile realizzare delle ciclabili, una promiscuità tra automobili e ciclisti” o ancora Settimio Nizzi, sindaco di Olbia e a guida di una giunta di centrodestra e “città 30” da tre anni: “È campagna elettorale, dobbiamo solo aspettare. Sulla sicurezza stradale la responsabilità principale è in capo al Sindaco e qui (dopo l’evoluzione a “Città 30”) si sono tutti calmati”.
Dunque prima o poi converrà approfondire l’argomento lasciando da parte la spicciola propaganda elettorale espressa con un concetto così relativo come il “buon senso”: che non è una grandezza scientificamente misurabile, mentre lo sono le terribili statistiche sulle vittime dell’utenza debole nelle nostre città – 200 ciclisti morti nel 2023 – nonché le analisi approfondite strada per strada sulla velocità reale di auto e moto che ci dicono di guardare con grande attenzione all’eccesso di velocità rispetto alla configurazione ed alle condizioni delle strade urbane, ma soprattutto alla “differenza di velocità” – ad esempio tra l’automobilista e il ciclista – che è il vero problema in gioco visto che la gravità di un eventuale impatto tra auto e bici aumenta con il quadrato di quella differenza. Ed infatti una nuova norma se conferma il concetto affermando che “Il sorpasso dei velocipedi da parte dei veicoli a motore deve essere effettuato con adeguato distanziamento laterale in funzione della velocità reciproca e dell’ingombro del veicolo a motore per tener conto della ridotta stabilità dei velocipedi, mantenendo la distanza di sicurezza di almeno 1,5 metri”, ne annulla il senso poi aggiungendo una condizione “Ove le condizioni della strada lo consentano”. E chi stabilirà se queste condizioni sussistano o no? Un gran giurì ai bordi della strada? O invece l’apposizione di un divieto di sorpasso dei ciclisti se le “condizioni della strada etc etc”, che ne sarebbe l’ovvia conclusione ma non è contemplato dal codice?
A meno di non considerare ciclisti e pedoni come un “disturbo” alla libera circolazione delle auto. Concetto che è in realtà diffuso tra molti automobilisti e che i nuovi provvedimenti sembrano incoraggiare.
E infatti la direttiva esordisce con un apparentemente salomonico richiamo al “Rispetto del bilanciamento di interessi tra il diritto alla mobilità ed alla libera circolazione dei cittadini e le ineludibili esigenze di sicurezza della circolazione, tutela dell’ambiente ….”. Frase che acquista un senso solo se alla parola “cittadini” si sostituisce quella di “automobilisti”. O invece i pedoni e i ciclisti non hanno “diritto alla mobilità ed alla libera circolazione” in piena sicurezza nelle forme che hanno scelto per farlo e sono “cittadini” di serie B?
In realtà il nuovo codice ha mancato quello che è un appuntamento ineludibile con un nuovo modo di intendere il termine “sostenibilità” riferito al trasporto ed alla mobilità urbani. Guardiamo vicino a noi: cosa ci dicono le condizioni di congestione sempre più frequenti sulla rete stradale di Perugia – ma anche in Umbria ed ormai in quasi tutte le altre città italiane? Che in città ci sono troppe auto per troppo poche strade e, visto che le strade urbane nella maggior parte dei casi non si possono allargare, quello sperato “bilanciamento” non si può risolvere se non con una migliore suddivisione dello spazio urbano di circolazione tra auto, mezzi pubblici, ciclisti, pedoni. Dunque il tema, con buona pace di ogni automobilista (me incluso) è quello di trovare il modo di condividere equamente fra tutti uno spazio stradale urbano che è di tutti e che pagano tutti: di chi va in auto o in moto ma anche di pedoni e ciclisti. (Tanto per precisare: bollo, accise e tasse varie sull’auto pagano solo le strade extraurbane; le strade urbane – buche incluse e non fatte certo da pedoni e ciclisti – sono costruite e mantenute esclusivamente a spese delle finanze comunali.) Dunque se uno lascia la macchina a casa e prende l’autobus o va in bicicletta o a piedi, lascia la sua legittima parte di spazio agli altri che alla macchina non rinunciano. E fa un grosso favore a chi all’auto non può rinunciare. Come tale non andrebbe ricompensato piuttosto che penalizzato? E un provvedimento possibile per favorire questi eroi della mobilità, in attesa di un ampliamento degli spazi ad essi riservati, è quello delle zone o delle strade dove la riduzione della velocità consente una maggior sicurezza nella circolazione promiscua, quella di cui parla il sindaco di Treviso. Intanto liberando per loro i pochi marciapiedi esistenti in modo da non doverli contendere con le auto in sosta o garantendogli misure premiali come abbonamenti gratuiti ai mezzi, restando in attesa delle mitiche piste ciclabili (messe a rete ovviamente, ma solo qualche spezzone per le allodole qua e là).
Per non parlare della soluta necessità di potenziare il trasporto pubblico anche eliminando il gap che esiste tra diverse città Italiane. Lo sapete che a Milano si spendono 886 euro per abitante per il trasporto pubblico e a Perugia 82,65, dieci volte meno, e che la media per Comune è di 5,5 euro?
Altrimenti sempre meno automobilisti passeranno ai mezzi o alle due ruote, per non parlare del muoversi a piedi spesso sul filo della strada là dove il marciapiede nemmeno c’è.
Siamo in campagna elettorale anche qui a Perugia dove durante le file e gli stop-and-go che ormai accompagnano la circolazione auto quotidiana, le Zone 30 non sono un limite ma una aspirazione … E siamo anche una città scarsamente vocata per i ciclisti “puri”, magari più per quelli a pedalata assistita. Sono convinto però che la mobilità a Perugia per via di tante concause vecchie e nuove è in crisi sempre più grave. Una crisi avvertita ormai da tutti. E che un grande progetto per una mobilità sostenibile in sicurezza e senza perditempo in chiave di “prossimità” – portare tutti i servizi di quartiere a portata di pedoni e ciclisti (le Zone quindici minuti) – creare reti di marciapiedi e di piste ciclabili oltre che sistemi di condivisione del viaggio anche con mezzi innovativi sia il grande tema che aspetta la prossima amministrazione. E, se e dove serve, anche qualche zona e strada 30. Con buona pace del “buon senso” alla Salvini.