di Sud
Quello del matrimonio interclassista è un tema ricorrente nella letteratura, nel teatro e nel cinema, soprattutto nella versione più comune, quella in cui la donna si trova sul gradino più basso della scala sociale: dal Misantropo di Menandro a Orgoglio e pregiudizio della Austen, dalla Buona figliuola di Goldoni all’Amica geniale della Ferrante, da Metropolis di Fritz Lang ai drammoni di Matarazzo.
Della versione opposta, quella meno comune, ricordiamo qui due casi. Il primo è una commedia in piemontese di Vittorio Bersezio, Le miserie di monsù Travet. Malgrado la difficoltà del dialetto, la commedia ebbe un gran successo, e il nome del protagonista è divenuto sinonimo di «Impiegato modesto e mal pagato, che si sacrifica per il suo monotono e ingrato lavoro d’ufficio» (così nel dizionario Treccani).
A prolungarne fino ad oggi il successo ha contribuito molto la versione cinematografica, diretta nel 1945 da Mario Soldati. Il film è delizioso, con una serie di comprimari del livello di Gino Cervi, Alberto Sordi, Luigi Pavese, Gianni Agus, e, come protagonista (credo per la prima e unica volta), Carlo Campanini, grande attore, “spalla” di Totò al cinema e di Walter Chiari in celebri sketch televisivi,.
Il secondo caso non riguarda un libro di finzione, ma una delle piccole memorie pubblicate nel 2006 da Tullio De Mauro, il grande linguista, a parer mio il miglior ministro della pubblica istruzione dopo Benedetto Croce. Il libro si intitola Parole di giorni lontani, e le “parole” sono quelle udite per la prima volta da De Mauro bambino, con il loro contesto storico e umano.
In entrambi i casi il futuro marito “plebeo” è un fornaio; il quale, nel momento topico, si presenta ai parenti dell’amata con un dono mangereccio. Nella commedia di Bersezio con un profumatissimo Patè en Croute; nel raccontino di De Mauro con un cartoccio di “Babbà”. «Presi il dolce, dolce e tenero già dal nome per me nuovo, lo addentai. E sprofondai in quella dolcezza con pochi eguali nel nostro pianeta».