di Sud
Dacché Alessandro Magno, nel IV secolo, lo importò dall’India, il basilico è diventato uno dei protagonisti della cucina mediterranea. Tra le varietà più diffuse, oltre al “classico” (o genovese), si annoverano il “crespo”, dal profumo pungente, il “greco” e il “napoletano”, entrambi dal profumo delicato, ma il primo con foglie piccole e allungate, l’altro grandi e globose. E infine tante varietà orientali o sudamericane, prevalentemente ornamentali.
È quasi impossibile enumerare i piatti e le pietanze che non possono fare a meno del basilico. Il pesto alla genovese, ovviamente, con la sua varietà arrossata col sugo di pomodoro in uso a Carloforte, l’isola sarda dominata a lungo dai genovesi. La pizza margherita, le zucchine, bollite o stufate, l’insalata “caprese”, e le innumerevoli paste estive a base di pomodoro fresco.
Il basilico ricopre un ruolo fondamentale (in alcune edizioni già nel titolo) in una novella del Decameron, la quinta della quarta giornata: «I fratelli d’Elisabetta uccidon l’amante di lei: egli l’apparisce in sogno e mostrale dove sia sotterrato; ella occultamente disotterra la testa e mettela in un testo di basilico, e quivi sù piagnendo ogni dì per una grande ora, i fratelli glielo tolgono, e ella se ne muore di dolor poco appresso».
Intorno al basilico di Lisabetta da Messina è nato un interessante caso filologico-botanico. Secondo la lezione dei tre manoscritti principali, quel basilico è definito “salernitano”, una varietà di cui però non c’è alcuna traccia. I filologi ritengono trattarsi di una lectio facilior per “selemontano” (il diffusissimo basilico “di montagna”), lezione presente in altri manoscritti e nel testo di una canzone popolare siciliana che offrì a Boccaccio l’ispirazione per la novella.