di Sud
«Qualcosa che somiglia alla felicità: è questo, esattamente definito, il mio sentimento di lettore di Soldati». Così scriveva Sciascia, grande ammiratore, con Cesare Garboli, della prosa di Mario Soldati. Né all’acutissimo scrittore siciliano, né al raffinato critico era sfuggita peraltro la profondità, nascosta nell’opera di Soldati da un apparente “dilettantismo” e da una scrittura – a detta di Garboli – tra le «più belle e limpide della nostra letteratura».
Accanto agli ammiratori, Soldati ebbe anche aspri critici, irritati dal suo successo di pubblico, dalla sua prolificità e dal suo eclettismo. Il cinema lo catturò per un ventennio, come regista, soprattutto di trasposizioni da classici (Piccolo mondo antico, Malombra, Eugenia Grandet), e come sceneggiatore per Camerini, Blasetti e De Filippo. Fu anche valido attore (ottimo, accanto ad Aldo Fabrizi, in Mio figlio professore), giornalista, enologo.
Al mondo del cinema è legato l’ultimo vero successo letterario di Soldati, vincitore nel 1970 del Premio Campiello: L’attore, pubblicato da Mondadori con l’inconfondibile sopracoperta di Ferenc Pinter. È un romanzo dalla partitura complessa, un vero feuilleton, e qualcuno lo ha definito addirittura precursore della soap opera. I personaggi e gli ambienti, volutamente stereotipati, hanno però dentro un’inquietudine tutta “anni ‘70”.
Tra amori e tradimenti, omicidi e ricatti, casinò e champagne, in una Sanremo dalle palme ingiallite e dai villini scrostati sul lungomare deserto, fa la sua comparsa nel romanzo un piatto “povero”: la sardenàira, «una focaccia squisita, di acciughe, aglio, origano, basilico, pomodoro […] la danno a piccole fette, calda, appena sfornata, con un vino del posto, bianco, secco, delizioso, il Vermentino».