di Sud
Quando è morto nel 2021, a 74 anni, Daniele Del Giudice era stato quasi dimenticato. All’oblio aveva certamente contribuito l’Alzheimer, che da sette anni lo spegneva; una malattia terribile, soprattutto per chi della mente ha fatto il suo strumento di lavoro. Ma c’è anche dell’altro. Poche opere, pochi premi, una presenza dai toni bassi, pacata, come la sua prosa, e poi le sue tematiche così precise e profonde, ma come rarefatte.
Nel Museo di Reims è un buon esempio di tutto ciò. Romanzo breve, uscito nel 1988 dopo Lo stadio di Wimbledon e Atlante occidentale, fu pubblicato da Mondadori con le tavole di Marco Nereo Rotelli e un’importante Nota dell’autore. Einaudi lo ripubblicò nel 2010, nudo e crudo, poi nel 2016, in una raccolta di racconti. Nel caldo luglio del 2024 Mariano Sartore, che lo frequentò, lo ha riedito privatamente e ce ne ha donato, da buon amico, un esemplare.
È la storia di Barnaba che sta perdendo la vista, soprattutto quella da lontano. Così invece di paesaggi, decide di conservare come ultime immagini quelle di alcuni quadri. A Reims c’è il Marat assassiné di David e, mentre lo contempla da vicino, una ragazza si accorge della sua semicecità e lo aiuta descrivendogli il quadro, però mentendo. Barnaba se ne accorge, ma all’iniziale umiliazione si sostituisce la curiosità per le tenere menzogne della ragazza.
A pagina 15 della nostra edizioncina Barnaba cena mangiando ostriche; e gli torna in mente di quando, ufficiale di Marina, mangiava tartufi di mare, crudi con una spruzzata di limone. E anche questo, a mio modesto parere, è un piccolo ma buon esempio della personalità di Del Giudice. Perché nessun’ostrica, per quanto succulenta e sontuosa, può eguagliare il gusto, forte e delicato insieme, del più piccolo ed esteriormente modesto tartufo di mare.