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di Giulio Massa

Superati i sessanta, bisognerebbe cominciare a volersi bene in una maniera particolare, rafforzata. Evitare non solo e non tanto ciò che ci fa male, ma sommamente ciò che ci molesta, ci provoca malumore, insomma ci “rompe” (in attesa che la Treccani, dopo aver sdoganato “supercazzola”, liberalizzi anche l’uso di espressioni adeguate a questo stato d’animo).
Però poi a fregarti è quella mai sconfitta dipendenza dalle news, quella bulimia di contenuti pseudoinformativi, quel tarlo della laicità intellettuale che impone di “ascoltare la voce degli avversari”. Avviene così che, zavorrato da questo concentrato sinergico di incrostazioni e pessime abitudini, uno la sera finisca magari su YouTube ad infliggersi cinquanta minuti, diconsi cinquanta, di compiaciuta, affannata, livorosa echo chamber, risalente ad una settimana fa, tra Alessandro Di Battista e Francesca Albanese.
Lui è la quintessenza del de minimis di cui non ci si dovrebbe curare, una delle più fastidiose eredità (ed è una bella gara) di quell’irresponsabile esperimento di ingegneria sociale sulla pelle di un intero paese che va sotto il nome di grillismo. Un’eredità di cui si è fatto principalmente carico il circo Barnum dei talk shit nostrani che ha meritatamente promosso il Di Battista tra le presenze fisse della sua compagnia di giro.
Lei, la “non avvocato” Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu sui Territori palestinesi, è invece una delle più imbarazzanti e spudorate personificazioni (anche qui comunque la sfida è dura) dell’abdicazione e della perdita di significato delle Nazioni Unite (anche se la stessa Albanese, proprio in coda alla chiacchierata con Di Battista, ci svelerà, con uno straordinario guizzo di originalità, i veri responsabili del declino dell’Onu: l’imperialismo Usa ed il capitalismo contro in quali ”bisogna organizzare un fronte di resistenza internazionale , e qui l’avremmo abbracciata per averci regalato il profumo incandescente degli anni ’70 appena mischiato all’afrore dei lacrimogeni).
I due, giusto perché si sappia, non si sono mai incontrati, ma si considerano profondamente amici. Il motore profondo di queste affinità elettive, la ricetta alchemica che trascende le distanze ha un solo nome come risulta evidente già ben prima che terminino i cinquanta minuti di supplizio video: antisemitismo.
Il più fedele titolo del video, infatti, in luogo dell’anodino e fraudolento “Cosa sta accadendo in Palestina”, dovrebbe essere: “Ti mostro che sono antisemita ripetendoti che non mi devi dare dell’antisemita”.
Sono cinquanta minuti di odio in purezza vomitato sul focolare del popolo ebraico, sul perimetro di salvezza degli ebrei, su quello stato di Israele descritto, dalla sua rapinosa fondazione alla guerra odierna, come l’Impero del Male, essenza e sentina di ogni diabolica abiezione.
Sono cinquanta minuti di manipolatoria partigianeria in cui non sentirete mai menzionare il 7 ottobre se non nel rilancio marchettaro dell’ultima fatica “letteraria” di Albanese (si intitola “J’accuse” e nel sottotitolo elenca anche il 7 ottobre, ma il nesso tra quel titolo e la data non è quello che immaginate, o forse sì se appena conoscete l’autrice e la sua attitudine a ribaltare vittime e carnefici).
Sono cinquanta minuti in cui non sentirete mai menzionare Hamas e le sue centinaia di chilometri di tunnel sotterranei del terrore né Hezbollah (la guerra in Libano altro non è che l’ennesima guerra iniziata da Israele e con un terribile atto di terrorismo) né i loro mandanti, i tagliagole iraniani. Tantomeno sentirete parlare di Cina o Russia. 
L’ossessione dei due paladini del Bene è, piuttosto, il genocidio. Il genocidio che essi hanno statuito sia in corso ad opera di Israele e del quale non si capacitano gli altri non vogliano riconoscere la solare evidenza.
Ma i passaggi più efficaci del duetto (nel senso di più idonei a svelare di che pasta sono fatti i due) sono quelli in cui i nostri si baloccano con il canagliesco argomento del parallelo tra Olocausto e Gaza.
Il tema è introdotto da Dibba il quale si vanta di usare, allo scopo di risvegliare le coscienze, “un linguaggio ad effetto, ma sempre rispettoso!” e per darne prova, soprattutto del grado di rispettosità immaginiamo, definisce gli israeliani “il Kukux Klan moderno”, un “Terminator che fa la guerra usando macchine contro esseri umani”. Albanese qui pupeggia, fa gli occhioni sbalorditi e compiaciuti come una bimba in fondo ammirata dell’amichetto coraggioso, che ha osato tanto.
Ma in realtà ella ha capito dove Di Battista vuole andare a parare e finge di metterlo in guardia: “il parallelo con il nazismo è molto delicato”. Ma Dibba non sente ragione, rivendica il diritto di farlo quell’accostamento. Altrimenti, sembra domandare, che ci sta a fare al mondo se non per scuotere le coscienze con il suo linguaggio rispettosamente ad effetto? Il Ghetto di Varsavia, dunque, come Gaza. Albanese si schernisce, chiede comprensione, affetta imbarazzo e spiega che a lei, in considerazione del suo ruolo, quella sacrosanta verità è meglio non farla dire.
In altri termini, Albanese ci sta dicendo, e questo è un clamoroso scoop, di ritenere di avere ancora un’immagine di imparzialità da tutelare. Incredibile. Ma ancora più incredibile il fatto che, immediatamente dopo, pensi di tutelarla spiegando che il parallelo con il nazismo, lungi dal configurare un’oscena minchiata, “ha bisogno di essere spiegato“, ma soprattutto è in un certo senso persino inadeguato, superato. Albanese arriva, infatti a dire che “questo genocidio è talmente unico nella sua amoralità che Israele sta scrivendo una nuova pagina!” Ricordate decenni di dibattito sull’unicità dell’Olocausto, sul nazismo come Male Assoluto? Ecco ora pare che Tsahal abbia scalzato dal podio le SS.
Il tutto condito da un ricordo che fa impallidire persino la lisergica immagine delle mamme di Mariupol e delle loro lettere indirizzate all’ineffabile Orsini. Il ricordo è quello di ebrei “meritevoli” che, a margine di una conferenza newyorchese della special rapporteur, le avrebbero detto:” se ci fossero state più persone come te a quell’epoca probabilmente non sarebbero morti così tanti, l’Olocausto sarebbe finito prima”.
Più Albanese per tutti, insomma, mentre ora se Israele (aka novello Male Assoluto) non viene fermato è per colpa, manco a dirlo, dell’Occidente cattivo e del suo “mood di armarsi fino ai denti” che conduce a proteggere uno stato militare, qual è lo Stato ebraico, produttore e venditore planetario di armi micidiali, da sempre “testate sui palestinesi come su cavie da laboratorio”.
Sarebbe ingiusto, però, descrivere Di Battista e Albanese come due fanatici muniti solo di granitiche certezze. Macché, essi sanno anche porsi, anzi gridare interrogativi angoscianti. Del tipo: “ma le comunità ebraiche chi si credono di essere?”. Ma infatti: chi si credono di essere? Invece di lamentarsi, pensassero ad organizzare il Giorno della Memoria. Il calendario stringe e il duo non vede l’ora di venire a battersi il petto: “mai più!”      

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