di Marina Bon Valsassina
Che Gustav Klimt avesse una vita sessuale e sentimentale molto ‘animata’ lo testimoniano gli oltre quattordici figli che già negli anni Novanta dell’Ottocento gli furono attribuiti senza che lui, un artista già noto e ormai conquistato alla passione (mai esclusiva, ça va sans dire) per la bella, giovane e intraprendente stilista Emilie Flöge, alla quale rimarrà legato fino alla morte, ne negasse in alcun modo la paternità.
Le numerose e diverse figure di donna che ispirarono le sue opere, spesso modelle che faceva posare per ore e ore, giorno dopo giorno, schizzandone la figura, la postura, l’espressione, lo sguardo prima di trovare tra decine e decine di disegni quello giusto per essere tradotto in opera, quello capace di restituire a ognuna di loro la sensualità o l’alterigia, l’abbandono estatico, sognante o l’erotismo voluttuoso, sono anche il frutto della sua indefessa frequentazione dell’universo femminile, protetta da un ostinato celibato cui rimase fedele a oltranza.
È dunque intorno alla donna che, principalmente, Klimt tradusse l’ideale di “arte totale” del gruppo secessionista che contribuì a fondare nel 1897, a Vienna, ribellandosi al rigido accademismo di stampo storicista e rivendicando la totale libertà dell’artista assieme ad autorevoli colleghi pittori e incisori, tra i quali Egon Schele e Oskar Kokoschka, Karl Moll e Koloman Moser, e architetti come Josef Hoffmann, Otto Wagner, Joseph Maria Olbrich, Max Fabiani. Libertà intesa, per esempio, come il mescolamento di tecniche diverse e l’adozione di stilemi e simboli di epoche lontane tra loro da comporre artisticamente a piacimento e senza altro condizionamento che la propria ispirazione, gusto o capriccio, oltre che, naturalmente, la possibilità dipingere pose e sentimenti ‘inquieti’, considerati di norma sconvenienti o comunque non convenzionali.
Figlio d’arte – il padre era un orafo, come pure uno dei fratelli, Georg – Gustav fu artefice di una pittura innovativa e fortemente caratterizzata, capace di mescolare sapientemente e con esiti stupefacenti un raffinato e variegato decorativismo e una profonda capacità di penetrare e dare forma e colore alla psicologia della sua epoca. Un’epoca, quella a cavallo tra i due secoli, attraversata da turbamenti che proprio l’architettura, l’arte figurativa, le arti applicate, la letteratura percepivano e declinavano a diverse latitudini e con differenti accenti un po’ in tutta Europa ricercando uno stile moderno, non per forza rivoluzionario; o, almeno, non ancora.
L’arte totale di Klimt e dei secessionisti è soprattutto il tentativo di realizzare un’utopia concreta, materiale, che nelle arti figurative, nell’architettura e nel design sapesse accogliere e fare propria anche la raffinata eleganza delle arti applicate e delle sue tecniche multiformi e millenarie rendendole finalmente protagoniste alla pari con le cosiddette “arti maggiori”.
L’interesse che per Gustav riveste l’Italia è testimoniato da due viaggi, che compie uno nel 1899 nel Nord ovest del Paese e l’altro, fondamentale per lo sviluppo del suo “periodo d’oro”, nel 1903. In questo secondo itinerario, documentato da numerose cartoline scritte a Emilie, visita Venezia, Padova, Verona, Firenze, Pisa, La Spezia e Ravenna, dai cui mosaici, che definisce uno splendore inaudito, rimane estasiato, tanto da tornare a vederli due volte. L’effetto di quel fulgore si condensa dopo poco in uno dei suoi capolavori più conosciuti, il ritratto a figura intera di Adele Bloch-Bauer, regina dei salotti viennesi, che aveva già dipinta appena due anni prima in veste di una fiera e sensuale Giuditta. Il facoltoso industriale Ferdinand Bloch, sposo della vendiduenne brillante, seducente e malinconica Adele, commissionò a Klimt questo secondo dipinto per farne dono ai genitori di lei e la gestazione del quadro fu lunga, ben quattro anni. Ne nacque però un’opera iconica – nota non a caso come “la Monna Lisa d’Austria” – nella quale il carattere della giovane donna, ritratta seduta e con un’espressione lievemente sognante, si mescola ad antiche simbologie egizie che ne decorano l’abito assieme e al profluvio di oro e richiami musivi.
Klimt ha poco più di quarant’anni ed è all’apice del successo ed è proprio in questo torno d’anni che nascono i suoi quadri più celebri, tra i quali Le tre età, realizzato nel 1905 e presentemente esposto alla Galleria Nazionale dell’Umbria fino al prossimo 15 settembre.
Un successo annunciato – e al momento certamente non tradito visti i numeri dei visitatori di queste prime settimane, oltre 7.000 a partire dal 28 giugno – che deve molta parte della sua attrattiva alla chiave con cui è stato concepito il progetto e realizzato l’allestimento. Il capolavoro klimtiano, fu infatti acquistato dallo Stato italiano fin dal 1911 ed è esposto di norma alla Galleria Nazionale d’Arte moderna a Roma ma nella mostra perugina esso ha assunto, in un certo senso, il valore di una sineddoche, ossia della “parte per il tutto”. Come in una sorta d’iniziazione il percorso espositivo prende avvio con una sorta di mini-documentario immersivo che introduce i visitatori alla poetica del pittore austriaco, ne traccia il profilo biografico per sommi capi, ne mostra i lavori più noti e, per quello che si può, quelli perduti, come i celebri e discussi pannelli decorativi per l’Università di Vienna raffiguranti in forma muliebre la Filosofia, la Medicina e la Giurisprudenza. La proiezione ha un carattere particolarmente coinvolgente e l’ingresso nella seconda sala, dove una time line iniziale ripropone in forma scritta le tappe e le opere più importanti del pittore austriaco, presenta elementi di contorno e di dettaglio utili a collocare Klimt nella temperie culturale e artistica del suo tempo, in particolare segnalando la sua influenza sull’arte italiana attraverso l’opera di un artista a suo modo eccentrico rispetto alle avanguardie della propria epoca come Galileo Chini, del quale sono esposti alcune ceramiche, un grande disegno preparatorio per un fregio decorativo e alcuni manifesti e locandine provenienti dalla Collezione Salce di Treviso.
Quattro disegni di Klimt, esposti nella parete di fondo, documentano anche in questo caso per evocazione, la sua instancabile ricerca espressiva intorno all’universo femminile; due di essi sono studi preparatori per il dipinto de Le tre età che si concentrano, in particolare, sulla figura dell’anziana. Sono molto interessanti, anche perché oltre alla silhouette di profilo del suo corpo dalla pelle rilassata, si vede bene il volto affilato, la capigliatura corta e disordinata che sarà poi tradotta, nell’opera compiuta, in una lunga e grigia massa di capelli, quasi un paravento di pudicizia e di vergogna.
Da questa sala si entra nell’ultima, una sorta di sancta sanctorum, dove il quadro protagonista dell’intera mostra domina incontrastato su di un fondale dipinto di colore grigio ‘canna di fucile’, incorniciato prospetticamente da una trabeazione e da decorazioni parietali laterali allusive dell’allestimento della Esposizione Internazionale di Belle arti di Roma del 1911, progettata per celebrare il 50° anniversario dell’Unità d’Italia a Valle Giulia. Il fulcro dell’esposizione romana era rappresentato proprio dal padiglione austriaco progettato da Hoffman, il cui protagonista assoluto fu proprio Klimt. Il grande successo della manifestazione convinse lo Stato italiano a concludere con il pittore austriaco l’acquisto de Le tre età, già esposta l’anno precedente alla Biennale di Venezia.
L’effetto è sorprendente, il classico “Wow!”, e in qualche modo l’inattesa architettura allestitiva rallenta chi entra e gli impone di avvicinarsi con calma all’opera, consentendogli di assimilarne per gradi la composizione. Tre donne – forse un’unica donna nelle sue diverse fasi di vita – accostate l’una all’altra, quasi a comporre una sola figura centrale nella tela, declinano al femminile un soggetto abbastanza classico, quello del tempus fugit oraziano e della biblica vanitas vanitatum et omnia vanitas, allusivo e al tempo stesso, in questa opera, estremamente tenero e colmo di empatia. Un’immedesimazione che solo un appassionato conoscitore del mondo femminile, un ‘amatore’ che ha dipinto ogni donna avvolgendola in un sogno condiviso per il tramite del suo pennello, poteva consegnare all’eternità dell’Arte.