di Fabio Maria Ciuffini
Cosa c’è ancora da scoprire a Perugia fra le tante cose del nostro glorioso passato? La passione di un gruppo di cittadini ha consentito di fare una straordinaria scoperta archelogica. Di che si tratta? Guardate queste due foto,una panoramica e una di dettaglio e capiremo. Cosa c’è dentro quella specie di giungla che si vede a Ponte D’Oddi?
Prima del 21 marzo c’era solo il ricordo della presenza di uno dei viadotti dell’acquedotto medievale del 1322 e l’ultima foto in cui se ne vede qualcosa risale al 1992. E a confermare quel ricordo soprattutto l’antico prospetto tratto dal rilievo del Cervellati del 1733, che ci mostra, proprio in quel luogo, un viadotto con cinque piloni e cinque archi.
Ma cosa di esso fosse effettivamente rimasto ancora in piedi oggi era del tutto ipotetico. Se pensate che dei due viadotti che precedono quello di Ponte D’Oddi nell’antico cammino delle acque, di uno – il viadotto delle Piagge fatto di 16 archi – restano solo malinconici spezzoni di pilone e dell’altro – quello dello Spinello – restano solo quattro archi su dieci, era ragionevole pensare che ben difficilmente, all’interno di quell’impenetrabile folto di cespugli e rampicanti ci fosse ancora qualcosa e soprattutto degli archi. Che rappresentano la struttura più soggetta a crollare quando viene meno la controspinta delle spalle del viadotto. Anzi i due esploratori che in quel folto ci sono penetrati riferiscono che “si dava per certo che gli archi fossero definitivamente crollati!” Eppure, quando spinti tanto da passione quanto da tigna, in quel folto ci sono penetrati – ed io che a mia volta ci ho inutilmente provato vi garantisco che la cosa sembrava impossibile – hanno scoperto che del viadotto restano ancora cinque piloni e due dei quattro archi. In condizioni certamente migliori di quelli dello Spinello.
Le due foto degli “archi ritrovati” mostrano il particolare di uno di essi e i due archi in successione. Ma gli autori del ritrovamento – Cesare Barbanera e Giovanni Paggi, ambedue soci dello storico Circolo di Ponte D’Oddi che da tempo si batte per il recupero completo di tutto l’acquedotto – non passavano lì per caso. Fanno parte del gruppo di volontari che stanno prospettando la messa in sicurezza e il restauro di tutte le opere degli acquedotti che si sono succeduti nel tempo per condurre le acque di Monte Pacciano alla Fonte di Piazza. Ma sarà questa l’ultima delle scoperte rispetto all’acquedotto, anzi agli acquedotti medievali, visto che prima di quello del 1322 ce ne fu un altro iniziato nel 1254, che alimentò la Fontana Maggiore appena completata e che cessò quasi immediatamente di funzionare, sostituito poi da quello del 1322?
Ce ne sono almeno altre due ancora da fare e riguardano altri archi, anche essi testimoniati dal rilevo del Cervellati e che dovrebbero trovarsi a Monteripido e davanti al complesso di S. Matteo degli Armeni; sono interrati (uno di essi in tempi recenti) e ritrovarli implicherebbe un non complesso lavoro di escavo. Ritrovarli e restaurarli, insieme agli altri ridarebbe finalmente vita ad un progetto di ardita concezione ed altrettanto complessa esecuzione in cui sia le gallerie (i “bottini”) sia i viadotti ci parlano della valentia di chi ha iniziato e poi manutenuto per secoli un’opera dal valore sia storico che architettonico. Alla quale, ai giorni d’oggi, è toccata uno strano destino: troppo recente per meritare l’attenzione riservata a ben più antiche testimonianze del
passato e tanto vecchia ed obsolescente da essere oggi abbandonata e crollante. Passaggi Magazine ne ha già parlato altre volte. Ho detto “ai giorni d’oggi”. Perché, da quando nel 1799 quell’acquedotto che per quasi cinque secolo alimentò la Fonte di Piazza, fu – al grido di Viva Maria – sabotato dai sanfedisti che lo ritennero un simbolo di progresso (e probabilmente anche fonte di meno simbolici e più concreti guadagni ottenuti vendendo il piombo delle condotte), le opere di quell’acquedotto sono restate in vita probabilmente mantenute anche dopo che ne era venuta meno la funzione acquedottale. Lo ricordano foto dei primi del ‘900 che vedono quei viadotti ancora intatti. Li ricordo così anche io che, da ragazzo alla fine degli anni ’40, ebbi modo di ammirarli quasi quotidianamente.
E parliamo ora del progetto di restauro. Restauro che non può che essere preceduto da un progetto vegetazionale per l’eliminazione dei rampicanti. Infatti la seconda delle due foto degli archi ritrovati evidenzia anche le loro radici che li avviluppano completamente. E non è certo che eliminandoli sic et simpliciter si risolve il problema della loro invasiva presenza. C’è il ragionevole dubbio che quella vegetazione oltre ad essere profondamente abbarbicata alle murature possa persino svolgere una funzione di sostegno. In altre parole eliminandoli senza le necessarie precauzioni, la struttura potrebbe cadere. Dunque occorrerà procedere con cautela, un ramo alla volta, risarcendo la muratura là dove le radici vi sono penetrate e partendo dall’alto. Ma prima occorre fare, ovunque, lì a Ponte D’Oddi come allo Spinello, un decespugliamento che renda quelle opere avvicinabili senza pericoli. Ed è un lavoro da affidare a ditte specializzate dotate di specifiche apparecchiature di taglio. Ma è anche un lavoro molto semplice che costerebbe relativamente poco. Senza il quale però non si potranno completare né i rilievi né i progetti. E, per ora, nonostante gli appelli rivolti, quei pochi fondi non si sono trovati. Ma è lecito sperare ancora.
Da ultimo un’osservazione ed una proposta. Si dà conto quasi quotidianamente ormai del problema della siccità. Che fa seguito a quella grave dello scorso anno. Però le acque di Monte Pacciano, sia quelle che continuano a sgorgare dal cunicolo della Barigiana, sia quelle collettizie del grande Conservone Vecchio, vanno del tutto perse. Certo non si tratta di granché rispetto i fabbisogni moderni. Ma è giusto continuare a sprecarle? Potremmo usarle per irrigare giardini o riempire piscine. Una ragione in più per restaurare l’antico acquedotto restituendogli oltre che la necessaria stabilità anche l’antica funzione.