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di Gabriella Mecucci

Oggi non è più così, ma c’è stato un tempo in cui Perugia è stata la capitale dei palestinesi in Italia. In questo momento all’Università per Stranieri ne risultano iscritti solo due e durante l’anno ne sono passati al massimo una quindicina per i corsi di lingua. Qualche decina frequentano l’ateneo italiano. Hussam, rappresentante della loro associazione studentesca, dice che gli aderenti sono 35 in tutto, mentre alcuni anni fa erano il triplo. Zaer, membro della comunità palestinese, ritiene che, compresi i non studenti, nel capoluogo le presenze potrebbero raggiungere il centinaio. Maymuna Abdel Kadar, portavoce della comunità islamica, fa una valutazione analoga. E nell’intera provincia – aggiunge – non arrivano a duecento. In Italia toccano quota 1.200-1.300, a secondo dei momenti, e questo è un dato certificato dall’Istat. Difficile avere numeri certi a livello locale e comunque sono pochi oggi i palestinesi che vivono a Perugia. Nei primi anni Settanta era tutto diverso e il film che scorre davanti ai nostri occhi è in bianco e nero: Paola Cortellessi insegna.
La sera passeggiavano per corso Vannucci molti ragazzi palestinesi che frequentavano soprattutto i luoghi della sinistra. Se ne trovavano parecchi fra gli eskimi e i loden del Turreno. Il bar della gauche si riempiva a sera di giovani e meno giovani che parlavano di politica bevendo un bicchiere di vino bianco. E c’erano gli estremisti, ma anche i vertici comunisti locali. Gli aderenti ad Al Fatah (organizzazione con a capo Arafat) avevano parecchi amici nel Pci, quelli del Fplp (espressione dell’estremismo duro e puro presente nell’Olp) preferivano i “gruppettari”. In realtà però tutti incontravano tutti per discutere di rivoluzione e di “liberazione” dei popoli. Parecchi di loro erano molto ben integrati nella realtà locale, con tanto di fidanzate perugine. Il loro numero cresceva in continuazione: in quegli anni per Perugia ne sono passati a migliaia e migliaia.
Era un periodo, quello fra la metà degli anni Sessanta e gli anni Ottanta, in cui tanti ragazzi palestinesi scelsero di studiare e si iscrissero alle università europee. I più ricchi finivano in Inghilterra o alla Sorbona, i meno abbienti venivano da noi dove c’era un clima politico a loro molto favorevole. Pci e Psi – soprattutto con Craxi – erano amici fidati, ma anche la Dc aveva con loro un rapporto a dir poco carico di benevolenza: basti pensare a Fanfani e a Moro che portarono avanti una politica di grandi aperture verso la “causa palestinese”. In questo ambito, Perugia era una meta ideale anche a livello istituzionale con le sue storiche giunte rosse che non lesinarono mai appoggi. Bastava poi fare una ventina di chilometri per incontrare i francescani: amici stretti sia in Terra Santa che in Umbria. E soprattutto per un ventennio la via diretta per iscriversi alle Università italiane passava per Palazzo Gallenga: bastava fare un corso trimestrale o semestrale alla Stranieri per prendersi un diploma di lingua italiana. L’esame – lo sapevano tutti – non andava troppo per il sottile e, se proprio non erano un disastro, lo passavano. Con quel pezzo di carta potevano poi iscriversi a qualsiasi ateneo. Ce n’era abbastanza dunque per venire – almeno come fase di passaggio – a Perugia. E di palestinesi ne arrivarono tanti; alcuni loro leader spesso si trasferirono qui. Un certo Moustafà Kaddoumi – un capo riconosciuto – restò nel capoluogo umbro per parecchi anni e di lui si diceva scherzando che avesse l’ufficio in Corso Vannucci: passeggiava ore e ore, incontrava ragazzi italiani e arabi, veniva salutato e omaggiato da un sacco di gente. Per non parlare delle frequenti visite di Nemer Hammad, ambasciatore dell’Olp in Italia.
Nel 1966 una quarantina di studenti palestinesi fondarono il Gups (General Union of Palestinian Students), un’organizzazione che aiutava i connazionali, ma che faceva anche politica: era una sorta di megafono della “lotta di liberazione” e la volontà comune era quella di cancellare lo stato ebraico. Il Gups crebbe molto e aprì sedi in mezza Italia: nel 1974 fece il suo congresso alla Sala dei Notari con più di 400 partecipanti. Perugia era sempre il luogo prediletto. In un’inchiesta fatta nel 2022 dalla rivista “Mediterraneo” gli intervistati di origine palestinese elogiano la città come “un laboratorio politico molto interessante”, un posto “totalmente privo di atteggiamenti razzisti e di intolleranza”. E la gente “era fantastica, accogliente, molto umana”. Una “patria” insomma per quei ventenni che avevano perso la propria. Il terrorismo però era in agguato, Perugia ne fu preservata, ma l’Italia no. Nonostante quello che veniva chiamato il “lodo Moro” – l’impegno cioè dei palestinesi a non funestare il paese con attentati – il sangue iniziò a scorrere anche da noi e per mano loro. Ci furono due stragi a Fiumicino (1973, 32 morti e 1985, 13 morti), ci fu l’uccisione di un bambino ebreo davanti alla sinagoga di Roma (1982), sino ad arrivare al sequestro dell’Achille Lauro con l’uccisione di un ebreo statunitense paralitico. Tutti gesti terribili che non ruppero però i legami fra palestinesi e sinistra italiana: col Pci, col Psi e in particolare con Bettino Craxi che non volle consegnare a Reagan i dirottatori dell’Achille Lauro. Un comportamento che generò la più importante crisi diplomatica fra Roma e Washington. Questo terribile episodio così come gli altri ricordati non avevano – così si disse – l’approvazione di Arafat, anzi si ritenne che fossero contro di lui e la sua linea politica. Nonostante ciò occorrerà arrivare al 1993 perché l’Olp riconoscesse Israele.
Diversi anni prima degli accordi di Oslo, gli studenti palestinesi nel capoluogo umbro cominciarono a calare di numero, ma non si allentarono i loro rapporti con la città. E nel 1990, il simbolo più alto e riconosciuto della loro lotta, Yasser Arafat scelse di venire nel capoluogo e di andare a pregare ad Assisi sulla tomba di San Francesco. C’era insieme a lui padre Nicola Giandomenico. A Perugia, alla Sala dei Notari, ci fu poi il bagno di folla e la calda accoglienza delle istituzioni. Gli accordi di Oslo fra Rabin e Arafat si stavano avvicinando, ma quel clima che portò al reciproco riconoscimento durò poco: il leader israeliano fu ucciso da un fanatico religioso e Arafat venne impedito a proseguire su quella strada da un crescente estremismo che dette vita a sanguinosi attentati.
Colpevolmente le diverse marce della pace che si svolgeranno fra Perugia e Assisi continueranno ad appoggiare acriticamente i palestinesi, tollerando talora slogan, cartelli e atteggiamenti tutt’altro che nonviolenti. Roba da far rivoltare Aldo Capitini nella tomba. Lui che nella prima marcia della pace aveva voluto controllare, uno per uno, striscioni e parole d’ordine per evitare offese e estremismi. Del resto il profeta della nonviolenza aveva posizioni molto critiche nei confronti del mondo arabo. In una lettera all’intellettuale comunista Lucio Lombardo Radice, scritta dopo la fine della guerra dei Sei giorni, giudicava i comportamenti di Nasser, che ne erano stati all’origine, “forsennate minacce hitleriane” contro Israele. E faceva notare che bisognasse “contrastare le illusioni degli arabi”, alludendo alla volontà di annientare lo stato ebraico.
La storia della presenza palestinese a Perugia e delle marce organizzate dalla Tavola ella pace spiega almeno in parte perché la maggioranza dell’opinione pubblica locale tenda a schierarsi anche oggi dalla loro parte. Una seconda ragione di questo orientamento è rappresentata dalla rete di rapporti che venne stabilita dalle istituzioni umbre e dal mondo francescano con le amministrazioni locali dell’Autorità Palestinese. A queste furono portati anche parecchi aiuti concreti: un’attività intensa che venne definita “diplomazia dal basso”.
Oggi i palestinesi nel capoluogo umbro sono pochi, ma sono invece molto aumentati i musulmani che simpatizzano per la loro causa. I seguaci dell’Islam nella regione si avvicinano a 30mila (28.800 nel 2019), mentre solo a Perugia raggiungono gli 8.000. Sono in maggioranza albanesi e marocchini, a seguire le altre nazionalità. Nel capoluogo c’è una folta e colta rappresentanza iraniana che anche di recente è scesa in piazza contro il governo di Teheran. I centri di preghiera aumentano. Anche se a Umbertide la possibilità di costruire una moschea provocò negli anni scorsi le proteste della popolazione. Nel 2017 venne espulso un imam di origine marocchina perché in odor di simpatie terroristiche. Il fondamentalismo islamico è vicino ad Hamas, i palestinesi dell’Olp che popolavano la Perugia degli anni Settanta-Ottanta erano invece in larga maggioranza laici. Una tradizione culturale ormai purtroppo perduta.
(nella raccolta dati hanno collaborato Stefania Supino e Vincenzo Diocleziano)