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di Gabriella Mecucci

Non aveva certo il fascino di George Clooney, ma Achille Bertini Calosso le opere d’arte le ha salvate davvero. Non una fiction la sua, ma dura realtà. Monuments Man, il film con protagonista la star di Hollywood racconta la storia di un gruppo di coraggiosi soldati angloamericani che recuperò i quadri rubati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Il soprintendente dell’Umbria fu a suo modo un monuments man: Achille Bertini Calosso infatti si occupò, a partire dal 1940, di mettere al sicuro alcuni fra i più grandi capolavori dell’arte italiana, sottraendoli al rischio di essere danneggiati, distrutti, trafugati.
Oggi gli apparati dello Stato spesso si occupano della cosa pubblica con noncuranza e talora con cinismo, ma non è sempre stato così. Il secondo conflitto mondiale avrebbe potuto provocare una distruzione catastrofica dei beni culturali italiani se non ci fossero stati soprintendenti come quello dell’Umbria: era competente, rigoroso, coraggioso. A lui dobbiamo la possibilità di godere ancora di assolute meraviglie come il Cristo morto di Mantegna, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, dei capolavori di Piero della Francesca, di Beato Angelico, di Benozzo Gozzoli, di Perugino. E potremmo riempire pagine di nomi: basterebbe elencare le opere ospitate a Brera e nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Tutte “rifugiate”in campagna fra Montelabate e Montefreddo.
Achille Bertini Calosso era un funzionario dello Stato di origine piemontese che aveva fatto una grande esperienza di salvataggi in occasione del terremoto della Marsica – quello che distrusse una parte importante dell’Abruzzo e che segnò la vita di un grande scrittore come Ignazio Silone. Arrivò a Perugia nel 1926 come reggente della Galleria e ne diventò a pieno titolo soprintendente nel 1933. La diresse con piglio sabaudo per 15 anni, sino al 1948.
Quando i venti di guerra soffiarono forte l’austero funzionario decise di ricoverare i dipinti della Galleria Nazionale a Montelabate. La splendida Abbazia benedettina, situata nei dintorni di Perugia (sopra Ramazzano), fu raggiunta da veicoli pieni di capolavori. Doveva essere un’operazione complicata spostare in sicurezza opere d’arte anche di grandi dimensioni. Ma il tutto diventò ancora più difficile quando iniziarono ad arrivare i quadri da Brera che furono messi al riparo in una villa a Montefreddo, a una quindicina di chilometri da Perugia: era questa la dimora di campagna della famiglia Marini Clarelli che la concesse in affitto per una modica cifra. C’erano La cena di Emmaus di Caravaggio, Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, Il Cristo morto di Mantegna e tanti altri “capolavorissimi”. Per mesi e mesi restarono lì controllati da Fernanda Wittgens, soprintendente di Brera stabilitasi a Perugia, coadiuvata da Achille Bertini Calosso che aveva seguito la delicata operazione di trasferimento sin dall’inizio.
Gli angloamericani, per la verità, furono abbastanza attenti a non distruggere il patrimonio artistico italiano, ma le catastrofi non mancarono lo stesso. Quanto ai tedeschi, il rischio che compissero razzie era costante. Dipendeva dalle scelte dei singoli comandanti: alcuni di loro erano affascinati dalla classicità, dalla cultura italiana e in particolare dal Rinascimento e, davanti a certi capolavori, si tiravano rispettosamente indietro. Ma altri potevano diventare molto pericolosi. Nonostante ciò e nonostante la provvida attività di Bertini Calosso, alcune città dell’Umbria subirono colpi durissimi: le più danneggiate furono Terni (la parte medievale) e Foligno. Mentre Perugia, Assisi, Orvieto furono salvate, anche se la zona dei ponti sul Tevere, ai piedi del capoluogo, qualche ferita la riportò. I beni culturali umbri uscirono dunque dalla guerra molto acciaccati, ma non distrutti.
I monuments man alleati ricoprirono di apprezzamenti Bertini Calosso, l’esatto contrario di quanto fecero i perugini. E’ vero che la riconoscenza non è di questo mondo, ma almeno gli fossero state risparmiate le polemiche, le accuse e lo sberleffo. E invece no, alcuni notabili cittadini si accanirono su di lui duramente. A scatenare la rabbia provinciale fu la proposta di Bertini Calosso di costruire un palazzo a piazza Grimana, là dove oggi c’è il campetto di basket. Al suo interno si sarebbero potute trasferire la Galleria Nazionale dell’Umbria, la Biblioteca Augusta e gli uffici della Soprintendenza. Mentre gli ultimi piani di Palazzo dei Priori avrebbero alloggiato una sorta di museo della città, contenente la storia e la toponomastica di Perugia: un sogno questo riaffiorato più volte, anche di recente. Magari un simile progetto, espressione di una notevole modernità culturale, fosse andato in porto. Una polemica dissennata contro il soprintendente, che riempì i quotidiani cittadini, purtroppo lo impedì. Personaggi quali Ottorino Gurrieri lo presero pubblicamente in giro chiamandolo “Achilletto nostro”. E volarono insultanti spiegazioni del perchè colui che sino a pochi mesi primi era stato il “salvatore delle opere d’arte” volesse costruire un palazzo davanti all’Università degli Stranieri: una scusa – si disse – per occuparne una parte e utilizzarlo come suo lussuoso appartamento. Nonostante questo clima ostile, Bertini Calosso continuò a lavorare senza farsi scalfire dalle polemiche, portando avanti quella che riteneva essere la sua missione: “Per me l’essenziale – aveva affermato in passato – è compiere bene e coscienziosamente il mio lavoro”.
Il rigore, la modernità intellettuale, la lucida nettezza delle proprie posizioni lo portò ad essere molto apprezzato, ma anche veementemente criticato. Una cosa analoga a quella accaduta a Perugia, gli capitò anche quando nel dopoguerra si trasferì a Roma per dirigere la Galleria Borghese. Federico Zeri espresse un giudizio molto malevolo su di lui in una lettera inviata a Roberto Longhi: “E’ arrivato il pupillo dei preti e delle monache – scrisse -. Una nuova calamità”. Poi però dovette ricredersi e, dopo averlo visto all’opera, cambiò rotta esprimendo più di un apprezzamento. Achille Bertini Calosso ebbe parecchi altri e importanti estimatori: da Adolfo Venturi a Cesare Brandi con cui aveva anche un rapporto di amicizia.
Dopo aver salvato tante opere d’arte e averle fatte restaurare, il soprintendente più importante e più discusso lasciò Perugia. La città perse un uomo di cultura di rara capacità e senso del dovere, troppo a lungo relegato nel dimenticatoio. Solo ora ripescato e rimesso al posto che merita.
Il convegno per “recuperare” la figura di Bertini Calosso
Si deve alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Perugia e in particolare a Giovanni Luca Delogu il convegno che ha restituito quanto meritava ad Achille Bertini Calosso. Il titolo della giornata di lavori, svoltasi a Montelabate, era “I protagonisti e i luoghi della tutela in Umbria”. Si sono seguite numerose relazioni che hanno messo a fuoco l’attività di colui che fu per quindici anni soprintendente di Perugia. E in particolare si è parlato del suo impegno nel salvataggio e nel “rifugio” di tante e preziose opere d’arte in alcuni luoghi dell’Umbria durante la seconda guerra mondiale. Gli interventi che hanno insistito su questo tema sono stati quelli di Patrizia Dragoni, di Maria Vittoria Marini Clarelli, di Ruggero Ranieri, di Mario Squadroni, di Cristiana Sargentini, di Paola Mercurelli Salari, di Marina Bon Valsassina, di Floria Castiglione, di Marta Onali.
I contributi che hanno riguardato più in generale la figura dei Monuments man e l’impegno di Bertini Calosso nelle sue esperienze romane hanno contribuito a mettere a fuoco un personaggio di notevole interesse, della cui cultura e professionalità si sono giovate anche altre parti d’Italia. E’ stata una vera e propria riscoperta di un funzionario dello stato competente e rigoroso