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di Gabriella Mecucci

Allora eravamo tutti giovani o giovanissimi, e loro due erano una strana coppia di amici. Mario aveva qualche anno in più, sempre ben vestito, elegante nei modi, gentile e compassato. Lamberto, bellissimo, pasoliniano con quella testa piena di riccioli, un ragazzone divertente, anticonformista, persino un po’ sboccato.
Sposini e Mariano li incontravi spesso insieme allo stadio o durante qualche “vasca” a Corso Vannucci. Il primo “gauche-gauche”,
approdato a Paese Sera e poi alla Rai, il secondo mondo cattolico, moderato e instancabile, pieno di collaborazioni giornalistiche con illustri testate nazionali: La Stampa, Il Corriere della Sera, Tuttosport, tanto per citarne qualcuna.
Mario se n’è andato ieri, stroncato da una lunga e dolorosa malattia, Lamberto, dopo anni di successo da conduttore televisivo,
è sparito, condannato al silenzio e all’anonimato da un’ emorragia cerebrale che lo colpì mentre presentava insieme a Mara Venier. Come dimenticarli quei due agli inizi dei loro splendori professionali? Era il periodo sfavillante del “Perugia dei miracoli”,
quando in città c’era il Pci regnante e una borghesia di recente formazione ma intelligente e rampante.
La morte di Mariano fa ricordare quell’epoca all’insegna dell’entusiasmo, delle grandi speranze di una città e di una squadra
che si affacciavano con successo alla ribalta nazionale e che progettavano con fiducia il loro futuro. C’erano i Grifoni di
Castagner di cui parlavano tutti come di un piccolo capolavoro, c’era D’Attoma e un folto gruppo di industriali creativi e coraggiosi che inventarono la sponsorizzazione della maglia – non ci avevano pensato né la Juve, né l’Inter, né il Milan né la Roma – e c’erano tanti giovani cronisti che segnarono un’epoca in Umbria e di cui alcuni sfondarono a Roma e a Milano. Mario e Lamberto scrissero anche un libro insieme, poi fecero scelte diverse: uno diventò popolarissimo e stimato in città e non solo come giornalista sportivo, ma anche per molto altro; l’altro raggiunse le vette della carriera nel piccolo schermo.
Sposini lo incontrai più volte a Roma. Mariano lo rividi solo quando tornai a Perugia a dirigere il Giornale dell’Umbria. Lavorava per quel giovane quotidiano, prematuramente scomparso. Per più di tre anni ci vedevamo in redazione e solo allora diventammo amici. Non c’è niente di meglio per un direttore di un giornalista come Mario: sempre informato, sempre equilibrato nelle sue valutazioni, sempre rassicurante. La versione matura non era molto diversa da quella giovanile. Solo più stempiato, un po’ più massiccio, ma sempre elegante e di buone maniere. Fu uno dei pochi che quando tornai a Roma, mi telefonò per salutarmi. E ogni tanto capitava di sentirci.
Poi non l’ho visto più e l’ho ritrovato quando ho cominciato a leggere Umbria24. Sempre su piazza e con professionalità.
Non sapevo della sua malattia, non ho potuto salutarlo come avrei voluto. Mi resta solo queste poche parole: che la terra ti sia lieve caro Mario.