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di Caterina Bon Valsassina

La Galleria Nazionale dell’Umbria è sbarcata a Venezia, presente per la prima volta alla Biennale Arti visive dal 17 aprile al 16 giugno 2024 con una mostra di dimensioni contenute (12 opere in tutto) nella sede prestigiosa della Galleria Giorgio Franchetti alla Cá d’Oro (Direzione regionale Musei del Veneto). Ma cosa c’entra la Galleria umbra con le sue collezioni di opere dal Duecento ai primi dell’Ottocento con la Biennale veneziana? Qual è il nesso? C’è più di un nesso, come vedremo, per questa piccola mostra da “degustazione”, come un Sauternes, dal titolo accattivante La via dell’Oro. I capolavori della Galleria Nazionale dell’Umbria incontrano l’Arte Contemporanea.
Innanzitutto il luogo – la Cá d’Oro – l’unico museo veneziano con un nucleo importante di tavole di scuola umbra dal Trecento ai primi del Cinquecento era la collocazione più giusta per questa trasferta veneziana dei dipinti perugini che consentiranno di poter avviare un dialogo su un doppio registro: il dialogo principale con l’arte contemporanea, ma anche, appunto, il dialogo con le opere umbre dell’esposizione permanente del museo. La Cá d’ Oro, inoltre, sotto la direzione di Claudia Cremonini, ha al suo attivo da anni iniziative espositive collegate alla Biennale con contaminazioni tra antico e contemporaneo.

Dialoghi è il sottotitolo della rassegna umbro-veneziana e, infatti, ciascuno dei sei “gioielli della Corona” della Galleria Nazionale dialoga con altrettante opere d’arte contemporanea secondo una scelta intelligente e particolarmente azzeccata, a mio avviso,
di Alessandra Mammì (una delle curatrici della mostra insieme a Veruska Picchiarelli e Carla Scagliosi).
Il legante che tiene insieme ciascuno dei dialoghi è l’oro, l’oro come materia (“non è un colore. Non si lascia manipolare, diluire o mescolare con altri pigmenti”, Mammì); l’ oro con tutte la lavorazioni connesse citato nei prontuari tecnici da Teofilo (XII secolo) a Cennino Cennini (XIV secolo) “ trasversale a tutte le tecniche della figurazione, dalla pittura alla scultura, dalla miniatura all’oreficeria”, Picchiarelli; l’oro “atmosferico” di Venezia, che “come nebbia d’oro avvolge canali e palazzi” (Scagliosi).
La prima di queste coppie virtuose vede la tavola di Gentile da Fabriano con Madonna in trono col Bambino e angeli del 1405 insieme alla tela o olio e acrilico Sacerdote di Michelangelo Pistoletto, dipinto del 1957 che testimonia quanto l’artista fosse stato attratto dalla magia dell’oro fin da ragazzo quando andava col padre alla Galleria Sabauda a vedere i fondi oro di quel museo.
La Madonna col Bambino di Duccio di Boninsegna del 1304-1310 è accostata a Concetto spaziale di Lucio Fontana, un “taglio” del 1964 dove è esaltata la preziosa materialità dell’oro graffito sul fondo della tela come nelle tavole antiche. Di tutti i dialoghi è
il mio preferito.

Anche se non posso sottrarmi al fascino dell’accoppiata fra la tavoletta di Giovanni Baronzio con Cristo in pietà del 1330 ca. e l’opera Sacco ST 11 del 1954 di Burri, dove l’oro compare nell’angolo inferiore destro della tela mentre i pezzi di iuta strappati e cuciti sembrano richiamare il legno abraso a sinistra nel dipinto del Baronzio.
Nel dialogo fra il frammento di Angelo di Bartolomeo Caporali del 1487, dove la lavorazione dell’oro sullo sfondo e sull’aureola sembra un manuale condensato di tutte le prescrizioni del Cennini, e l’opera Senza titolo di Gino De Dominicis del 1989, eseguita a tempera e oro su tavola, non è solo l’oro comune ai due pittori il protagonista, ma anche le lunghe ciglia dell’ Angelo del Caporali, ciglia appena accennate nel profilo stilizzato di De Dominicis.

Segue la coppia del Maestro della Madonna di Perugia (Madonna col Bambino, 1330-1340 ca.) con il Ritratto di Massimo Mila, tela di Carol Rama del 1984 dove il dialogo si concentra più sulla forma dei volti che sulla potenza della materia.
Conclude la mostra un’accoppiata inquietante e stimolante al tempo stesso: una scultura di Marisa Merz in argilla cruda, foglia d’oro, paraffina, colore (Senza titolo, 2010), ma senza dubbio raffigurante un volto femminile, inserito nel Reliquario di Santa Giuliana in rame dorato e smalti di Cataluccio da Todi datato 1376.
Naturalmente ci sono state critiche per aver spostato da Perugia questa selezione di capolavori che non solo sono fra le opere di maggior pregio della Galleria Nazionale dell’Umbria, ma sono anche dipinti su tavola (5 su 6), supporto molto sensibile ai
mutamenti del microclima ambientale. Eppure ritengo che si possa definire un “rischio calcolato” (le opere sono di piccole dimensioni) in nome di una valorizzazione intelligente che ha visto una stretta collaborazione fra musei dello Stato, come sottolineano sia Daniele Ferrara (Direttore regionale Musei del Veneto) che Costantino D’Orazio (Direzione regionale Musei Umbria) nelle presentazioni del catalogo edito da SilvanaEditoriale, Milano, 2024.
C’è ancora un mese di tempo per poter andare a gustare a Venezia questa mostra delicata come un Sauternes, è un viaggio che suggerisco.