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L’articolo di Walter Ceccarini sul progetto di governo del territorio ha aperto un dibattito sul futuro dell’Umbria e delle sue città. Lo scritto che segue si occupa con ricchezza di dati e di riflessioni di Todi.

di Andrea Clementi
Foto ©Charlotte Shaw 76

Todi si trova oggi in una posizione di equilibrio instabile: città di straordinaria bellezza storica e paesaggistica, ma al tempo stesso attraversata da profonde fragilità economiche, demografiche e sociali, in bilico tra la possibilità di consolidarsi come città a pieno titolo e il rischio di scivolare verso una dimensione più simile a quella di un borgo. 

Le difficoltà economiche, la crisi demografica e il progressivo indebolimento del tessuto commerciale e produttivo pesano sulla vita cittadina, mentre turismo, cultura e nuove opportunità legate al digitale indicano possibili vie di rilancio. Il futuro della città dipenderà dalle scelte che saranno compiute nei prossimi 5-10 anni: errori od omissioni rischiano di avere conseguenze esiziali.

L’Umbria non progetta il futuro. Perché non farne la smart land?

Declino demografico e fragilità sociale

Il segno più eclatante di tale declino è innanzitutto quello demografico. I dati del 2024 parlano chiaro: a fronte di 162 decessi si registrano solo 75 nuovi nati. La popolazione non solo si riduce, ma invecchia rapidamente. I giovani, spesso costretti dalla mancanza di opportunità lavorative e di carriera, scelgono di trasferirsi altrove. Ciò priva la città di energie nuove, riduce la natalità e mina le prospettive di un ricambio generazionale. Il risultato è una comunità sempre più fragile, con redditi legati in gran parte a pensioni, e con un tessuto sociale impoverito.

Il centro storico, un tempo cuore pulsante di Todi, riflette con evidenza questa trasformazione. Negli ultimi vent’anni i negozi tradizionali sono diminuiti di circa il 40%. Molti locali hanno chiuso e sono stati sostituiti da bar, ristoranti o attività stagionali, pensati più per i turisti che per i residenti. Questo ha alterato l’identità stessa della città, che non appare più un luogo “dove si lavora” e si svolge la vita quotidiana, ma piuttosto uno spazio da visitare.

Un’occasione mancata: lo sviluppo industriale

Il ritardo non è solo sociale e commerciale, ma anche e soprattutto industriale. Negli anni ’70 e ’80, mentre altre città umbre vivevano stagioni di crescita – Perugia con il tessile e l’alimentare, Foligno e Spoleto con la meccanica, Marsciano con il mattone – Todi restava ai margini. La sua economia si reggeva su attività frammentate, prevalentemente artigianato e piccole imprese prive di capacità di fare sistema. La nascita delle aree industriali di Pantalla e Ponte Rio/Pian di Porto non riusciva a invertire la tendenza: mancarono politiche di attrazione, infrastrutture adeguate e un piano di sviluppo coerente.

Negli anni ’90 e 2000 la situazione peggiorava. Diverse imprese locali chiudevano e il tessuto produttivo si sfaldava. A differenza di Marsciano, che pur colpita dalla crisi edilizia sapeva riconvertire parte delle sue aree, Todi non trovò mai un “motore trainante”. Persino la breve stagione di apparente prosperità legata alla proliferazione di sportelli bancari fu in realtà effimera, alimentata soprattutto da speculazione immobiliare e risparmi accumulati, ma non sorretta da una base produttiva solida. Col tempo anche le banche – e non solo – abbandonarono la città, lasciando dietro di sé un territorio impoverito.

Pantalla e Ponte Rio: poli mai decollati

Le aree produttive avrebbero potuto rappresentare un’opportunità. Invece, Pantalla e Ponte Rio/Pian di Porto sono rimaste zone a macchia di leopardo, con capannoni vuoti e attività isolate, incapaci di creare un distretto coeso. La carenza di infrastrutture e collegamenti – ma anche il mancato o pieno utilizzo della E45 – ha impedito di attrarre investimenti significativi. Al contrario, in altre città umbre si sono sviluppate filiere innovative in meccanica, agroalimentare e bioedilizia, lasciando Todi sempre più indietro.

Il confronto con la vicina Marsciano è rivelatore. In cinquant’anni Todi ha perso oltre 3.000 abitanti, mentre Marsciano, pur con difficoltà, ha mantenuto una relativa stabilità. L’industria tuderte è crollata dal 25% al 5% degli occupati; a Marsciano, invece, resta ancora al 16%. È evidente che la classe dirigente tuderte, nel corso dei decenni, non sia stata in grado di percepire la manifestazione dei primi prodromi della crisi e poi, una volta palesatasi nella sua complessità e interezza, di individuare soluzioni organiche efficaci per contrastarne gli effetti.

Conseguenze sull’identità urbana

Il declino industriale produce conseguenze che vanno oltre il dato meramente economico. Priva di una base produttiva forte, Todi rischia di perdere la sua identità di città. La mancanza di lavoro e reddito stabile spinge i giovani a partire, riduce i consumi, svuota il centro storico e fa arretrare il commercio di prossimità. La città si trasforma progressivamente in un borgo turistico e residenziale, privo di dinamismo urbano. L’offerta commerciale peggiora, il turismo resta stagionale e concentrato nei mesi da giugno a settembre, e il pendolarismo è quasi tutto in uscita verso Perugia o altri centri.

Questa condizione di “sospensione” è oggi percepita con chiarezza: Todi conserva ancora le dimensioni di una città, ma rischia di restare senza funzioni vitali, diventando un “bel contenitore” svuotato al suo interno.

Il quadro nazionale ed europeo

Il caso di Todi non è isolato e si inserisce in un quadro di crisi più ampio che sta colpendo da anni le c.d. “aree interne”. Al di là infatti degli aspetti peculiari di ogni territorio, la crisi dei piccoli centri presenta dei tratti comuni a molte città della dorsale appenninica ma anche di altre zone d’Italia e d’Europa. Le città nella fascia 10-25 mila abitanti condividono gli stessi dilemmi: come evitare la monocultura turistica, come trattenere giovani e competenze, come mantenere servizi urbani con basi fiscali limitate. In questo quadro complesso e variegato, molte città hanno puntato su una monocultura turistica, altre sulla manifattura leggera, altre ancora sulla connessione con città maggiori o su reti integrate di piccoli centri.

Considerata la vocazione turistica tuderte e le potenzialità mai completamente espresse dal punto di vista produttivo, i modelli più interessanti per la città di Jacopone potrebbero essere due: da un lato le esperienze di città che hanno unito turismo di qualità e piccole imprese esportatrici (che in questa sede definiamo “dual core o a doppio motore”), dall’altro quelle che hanno costruito reti di cooperazione con città vicine per condividere servizi, cultura e accesso a fondi europei. Su quest’ultimo punto non si può non rilevare che Todi, nonostante la sua posizione baricentrica – potenzialmente strategica – non è mai riuscita a realizzare una integrazione con i maggiori centri umbri, Perugia a nord, Terni a sud e Foligno a est (in quest’ultimo caso per la perdurante inesistenza di un collegamento viario orizzontale); infatti, pur trovandosi al centro della Media Valle del Tevere, era troppo distante per rimanere attratta nell’orbita di queste città. Tuttavia, considerata l’identità e la storia tuderte, sarebbe auspicabile un maggior legame funzionale soprattutto con Perugia su temi quali mobilità, ricerca, sanità e cultura senza rinunciare a una propria specializzazione/identità.

Sarebbe inoltre necessaria un’alleanza stabile Todi–Marsciano–Deruta–Orvieto per costruire un brand unico, un calendario culturale coordinato, pacchetti turistici tematici (ceramica-vino-arte ma non solo) e una candidatura congiunta a bandi in rete, per sfruttare i vantaggi offerti dalle reti di cooperazione tra centri urbani contigui, abbandonando le logiche arcaiche di difesa del “campanile”.

Entrambe le soluzioni, il modello definito a doppio motore e della integrazione in una rete, suggeriscono che il turismo, da solo, non possa bastare: va affiancato da un rilancio produttivo e al contempo da politiche nette in favore della residenzialità.

Le leve per il rilancio

Dal confronto con altre realtà nazionali e internazionali, emergono alcune leve attivate in altre città, adattabili anche per il rilancio del territorio tuderte:

  1. Specializzazione intelligente, ossia la selezione di 2–3 filiere coerenti: agroalimentare di qualità, artigianato contemporaneo/design, meccatronica leggera per food & wine, creando un catalogo di incentivi chiaro (almeno 5 anni), tagliato su chi investe e assume.
  2. Abitare e botteghe. Il principio è che la residenza viene prima del turista e ciò può essere perseguito mediante canoni concordati e contributi a proprietari che affittano oltre i 4 anni a residenti o negozi “utili” (alimentari, servizi). La fissazione di tetti progressivi agli affitti brevi nei segmenti sensibili del centro, può concorrere alla ripopolazione – con residenti effettivi – di alcune zone del centro storico, particolarmente colpite dal depauperamento demografico.
  3. Formazione e competenze. Le esperienze europee, nonché di alcune aree del nord Italia, mostrano la necessità della creazione di un serio polo formativo (ITS/percorsi di formazione professionale) su comparti merceologici con forti radici territoriali come agro-tech, enoturismo digitale, restauro-artigianato. Il passo successivo del processo formativo, dovrebbe prevedere stage strutturati e fortemente professionalizzanti con imprese della media valle del Tevere. 
  4. Coworking e attrazione remote workers. Oggi, infatti, appare evidente che si può lavorare nel mondo senza spostarsi. Una città come Todi, pertanto, può investire in adeguati spazi di connettività fibra + servizi (sale riunioni, podcast, prototipazione), prevedendo voucher per nuovi residenti in smart working (6–12 mesi) e ideando un pacchetto che potrebbe chiamarsi “Vivi a Todi, lavora nel mondo”.
  5. Governance del turismo e qualità. Il turismo deve essere regolato/governato tentando di gestire i flussi attraverso la programmazione e la pianificazione di un calendario di 12 mesi che preveda micro-eventi infrasettimanali, percorsi tematici (arte-paesaggio-enogastronomia), standard minimi per ospitalità, misurazione dei flussi per evitare picchi insostenibili verso l’alto e verso il basso. In tal senso si ritiene essenziale destagionalizzare i flussi per garantire un flusso piò o meno costante anche nei mesi da ottobre a maggio.
  6. Mobilità e accessibilità. La mobilità e l’accessibilità alla città devono diventare un sistema, con la previsione di Shuttle cadenzati verso stazioni/airport bus, con bike+bus integrato, parcheggi scambiatori “smart” con tariffa residenti e operatori, segnaletica pedonale unificata e percorsi “10 o 15 minuti”. A tal proposito si ritiene che l’esigenza di Todi non sia moltiplicare le aree per i posti auto nelle aree contigue alle mura urbiche, ma integrarle in un sistema, con una appropriata segnaletica elettronica che indirizzi i turisti, a seconda del percorso di provenienza, in un parcheggio piuttosto che in un altro, al fine di condizionare l’accesso pedonale, anche in porzioni del centro storico normalmente meno visitate. Oggi infatti il centro di Todi viene percepito solamente come l’area coincidente con la parte sommitale della città.

Scenario futuro

Il destino di Todi dipende dalla capacità di adottare una visione chiara e unitaria. Con un approccio sistemico, basato su indicatori misurabili (abitanti residenti, nuove imprese, commercio di prossimità, turismo destagionalizzato), la città può puntare a un modello “dual core” o a doppio motore, caratterizzato quindi dalla piena valorizzazione di un turismo di qualità affiancato da piccole imprese innovative, nell’ambito di un più ampio contesto di collegamento funzionale con Perugia e le altre città della Media Valle del Tevere. Senza questo salto di qualità, il rischio è di ridursi a un borgo-vetrina, bellissimo ma vuoto.

Todi ha ancora tutte le carte in regola per restare città grazie alla sua storia millenaria, al patrimonio monumentale, al “brand” culturale forte. Occorre tuttavia un progetto integrato, capace di unire cultura, economia e innovazione, e di traghettare la città da luogo sospeso a comunità viva, attraente e sostenibile.

Vi sono infatti nella città, tutte le potenzialità, anche in termini di competenze locali, per puntare su un turismo di qualità, e al contempo per adottare progetti di rilancio del proprio tessuto economico e sociale, focalizzando gli interventi sulla valorizzazione della piccola manifattura, dei servizi avanzati, e della stabile residenzialità nel proprio territorio comunale e nel centro storico.

Con poche scelte chiare, una governance unitaria e KPI pubblici (indicatori chiave di performance), Todi può restare città.

Oggi appare sempre più evidente che il rilancio di città come Todi passi esclusivamente attraverso un piano pluriennale e strutturato che consideri tutti gli aspetti che compongono il quadro generale.

Todi ha bisogno di una visione, Todi ha bisogno di visionari che credano ancora che tra le sue strade e i suoi vicoli possano essere condivise e riversate conoscenze e competenze.