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Inizia con Fanfani e Bucciarelli Ducci, due “cavalli di razza” della Dc, la storia dell’intervento nell’Aretino e al Trasimeno. Nasce l’ente Valdichiana e nascono le polemiche politiche su come opera. Lo si accusa di essere una “cinghia di trasmissione” del potere democristiano. Quella che segue è la seconda puntate che racconta le vicissitudini del lago. Le grandi opere fatte e le ragioni alla base di quell’intervento.

TRASIMENO STORY/1 ECOSISTEMA FRAGILE DI CUI AVERE CURA, MA è UN “MALATO IMMAGINARIO”

di Diego Zurli

Premessa

La recente sottoscrizione del protocollo d’intesa in data 28 gennaio 2000 tra le Regioni Toscana e Umbria per la gestione delle acque del sistema Montedoglio-Val di Chiana-Trasimeno, prevede, per la prima volta, oltre all’approvvigionamento delle reti irrigue ed acquedottistiche, la possibilità di alimentare direttamente il lago Trasimeno dall’omonimo invaso al fine di contribuire al suo riequilibrio idrologico. Tale operazione avverrebbe tramite il convogliamento verso il lago stesso di portate derivanti dallo svaso tecnico invernale della diga, attraverso l’utilizzo delle condotte esistenti. Si tratta di un ulteriore passo in avanti che può contribuire in modo apprezzabile –  sebbene non risolutivo – a mitigare, insieme ad altre misure quali quelle finalizzate al miglioramento dell’officiosità idraulica (cioè il grado di capacità di deflusso di un alveo fluviale), le forti oscillazioni del livello idrometrico. 

Senza entrare nel dettaglio delle predette misure, ancora in fase di approfondimento tecnico-gestionale, ho accolto con piacere l’invito della rivista a portare un personale contributo, avendo percorso un tratto di strada del lungo e tortuoso cammino che ha consentito di realizzare alcune delle opere fondamentali, per riepilogare le tappe che ne renderanno possibile l’impiego per tali finalità. Ciò, con il solo intento di offrire un contributo di chiarezza alle ricostruzioni, a dir poco approssimative, che capita di frequente di leggere su alcuni organi di informazione.

Gli antefatti

Una breve ma indispensabile premessa, è necessaria per inquadrare il contesto politico-istituzionale nel quale sono state concepite le grandi infrastrutture idrauliche  cui si farà successivamente cenno.

Attraverso una legge del 1961, due illustri parlamentari  Amintore Fanfani e Brunetto Bucciarelli Ducci – si proposero di sostenere il settore agricolo aretino promuovendo, con la nascita di un apposito soggetto istituzionale, un insieme di programmi riguardanti la bonifica, l’irrigazione, la realizzazione di opere infrastrutturali e di trasformazione agro-fondiaria, unitamente ad altre  misure, per dare impulso alle attività connesse ad un’agricoltura e ad un’economia in stato di pesante arretratezza. La  provincia di Arezzo, allora considerata economicamente depressa e collocata all’ultimo posto per reddito tra le province toscane  – in base a quanto si ricava dalla relazione di accompagnamento alla legge istitutiva del nuovo Ente, a quel tempo sensibilmente più basso di quello di province considerate ugualmente depresse quali Siracusa e Cagliari  era, come è ovvio, il principale oggetto di attenzione dei due parlamentari aretini.

E’ anche opportuno ricordare che, in quegli anni,  l’attenzione ai problemi del mondo agricolo era molto forte sia per le iniziative del governo che promosse  il “Piano verde” e la Conferenza agraria nazionale sia, soprattutto,  per l’interesse manifestato dal mondo cattolico dopo l’emanazione della celebre  enciclica “Mater et magistra” promossa da papa Giovanni XXIII con l’intento, tra gli altri, di dare impulso al settore  per favorire la soluzione dei suoi storici problemi. Il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni rurali attraverso l’adeguamento dei servizi essenziali, la modernizzazione produttiva del settore al fine di perseguire lo sviluppo graduale dell’intero sistema economico, l’integrazione dei redditi agricoli, il riequilibrio delle zone in via di sviluppo, il progresso sociale e l’elevazione culturale delle popolazioni agricolo-rurali, ecc… sono solo alcune delle finalità che è possibile rintracciare nell’Enciclica papale. Si può quindi affermare, senza timore di smentite, che tale iniziativa fosse il prodotto  di una cultura politica fortemente ispirata dalle idee-forza in auge nel  cattolicesimo e nella dottrina sociale della chiesa. Non a caso, i suoi promotori – Brunetto Bucciarelli Ducci e Amintore Fanfani, tra i migliori “cavalli di razza” del partito dello scudo crociato – entrambi  provengono, e/o si formano, nelle  istituzioni o nell’associazionismo di diretta emanazione del cattolicesimo politico.  Negli scopi istituzionali del neonato Ente, ed in particolare negli obiettivi connessi alla  realizzazione delle grandi infrastrutture idrauliche per scopi principalmente irrigui che ha rappresentato per lungo tempo  lo scopo principale della propria attività, si può tuttavia riconoscere la stessa visione politico-economica di Amintore Fanfani caratterizzata da una forte presenza dello Stato nell’economia: una concezione che, rigorosamente improntata ai principi sociali del cattolicesimo, si collocava in una posizione intermedia  tra liberismo e statalismo. Si possono infine anche cogliere gli echi della cosiddetta ”terza via” tracciata dal  Codice di Camaldoli nel quale vengono fissati  i principi fondamentali del pensiero sociale cattolico per ricostruire il paese  attraverso la partecipazione attiva dello Stato nell’economia il quale si fa anche garante e promotore dei fondamentali valori di giustizia sociale e di uguaglianza. Una stagione della vicenda italiana – quella del secondo dopoguerra – nella quale la politica si propose, attraverso la realizzazione del più imponente programma di opere pubbliche che il paese abbia mai conosciuto, di  colmare il proprio deficit di infrastrutture per soddisfare le istanze di modernizzazione  provenienti da una società in rapida trasformazione. 

Genesi del progetto

La  volontà di gettare le basi per una nuova fase dello sviluppo agricolo del territorio toscano – e  parte di quello umbro    deve aver  pertanto ispirato gli amministratori del tempo nell’individuare un brillante protagonista dell’ingegneria italiana come Filippo Arredi,  probabilmente il migliore presente sulla piazza  e  le cui idee ed intuizioni in materia di idraulica hanno reso possibile la realizzazione di grandi opere che hanno contribuito al progresso civile ed al miglioramento delle condizioni di vita  in Italia e nel mondo, per la definizione di un “master plan” avente per oggetto la costruzione di un sistema di grandi invasi e dei relativi schemi idrici. Una fase determinante del   processo di sviluppo e di modernizzazione del paese nel secondo dopoguerra,  si fondò infatti sulla straordinaria qualità dell’ingegneria italiana e dell’apporto che, insieme a Filippo Arredi,  straordinari professionisti ed accademici come Nervi, Musmeci, Morandi, Cestelli Guidi – per ricordare solo alcuni tra i maggiori protagonisti –  hanno dato alla ricostruzione post-bellica ed alla realizzazione di grandi sistemi infrastrutturali  per la mobilità, per i servizi, per le comunicazioni, per l’energia, ecc.

Nella impostazione iniziale del Piano, è innanzitutto importante ricordare anche che,   come aveva intuito per primo lo stesso Prof. Arredi   in occasione di uno studio del 1959,  fosse indispensabile evitare “distrazioni d’acqua” per scopi irrigui dal Trasimeno eliminando per sempre gli attingimenti. Quindi, l’idea di fondo da cui nascono e si sviluppano tutte le iniziative che si sono succedute nel tempo, trae origine da questa precoce intuizione.  

Ciononostante, il programma generale delle operemeglio  noto con il nome di  Piano Generale Irriguo” che è alla base degli schemi oggi in gran parte realizzati –  suscitò forti contrasti e aspre contrapposizioni,   sia di ordine politico che di ordine tecnico – soprattutto nei confronti dell’Ente attuatore  denominato per brevità “Valdichiana” – considerato non a torto e al pari di altre istituzioni e organismi del tempo, una delle formidabili  cinghie di trasmissione” del potere della Democrazia Cristiana. 

Mi piace riproporre un aneddoto utile a tratteggiare il clima,  certamente non idilliaco,  che accompagnò i primi passi del neonato Ente: prendendo spunto dall’impulso dato agli esordi della propria attività  al comparto della vitivinicoltura,  che tuttavia ha favorito la nascita e lo sviluppo di alcune tra le migliori aziende in Toscana ed in Umbria, commentando con sarcasmo il  mancato avvio delle opere previste dal Piano, un autorevolissimo  ingegnere perugino,  al tempo impegnato nelle istituzioni,  propose di riformulare in “Valdichianti” la denominazione  dell’Ente Valdichiana  reo  – a suo dire – di aver investito il 56% delle proprie risorse nella vitivinicoltura e solo il 6,46% nelle opere finalizzate all’accumulo e la distribuzione di acqua per scopi irrigui. Ciò solo per ricordare quale fosse il contesto, tutt’altro che favorevole e costruttivo, in cui sono nate queste grandi opere e  degli aspri contrasti che ne accompagnarono la partenza. 

Sotto il profilo strettamente  tecnico, infatti, una diversa linea di pensiero contrapposta a quella dei grandi serbatoi di accumulo, proponeva in alternativa la realizzazione di una fitta rete di invasi collinari per far fronte alle pressanti esigenze di tipo irriguo. Visto il larghissimo odierno impiego delle grandi dighe per molteplici finalità connesse all’approvvigionamento  per scopi civili – oltre che irrigui – nonché per l’importantissimo contributo alla regolazione degli eventi di piena, c’è solo da rallegrarsi che tale linea di pensiero non abbia prevalso; soprattutto, osservando gli scenari assai poco confortanti che sembrano  intravedersi in tempi di mutamenti climatici.

Il Piano generale per l’irrigazione di ampie aree della Toscana e dell’Umbria, prende pertanto forma nei primi anni Sessanta per iniziativa del soggetto istituzionale dal nome prolisso ed impronunciabile di “Ente autonomo per la irrigazione della Valdichiana, Senese, Perugina, Aretina, delle valli contermini Aretine, del bacino del Trasimeno e della alta valle del Tevere Umbro-Toscana”,  che affidò ad un gruppo di lavoro e ricerca multidisciplinare, guidato dal già ricordato prof Filippo Arredi, lo studio di un programma di irrigazione per una parte assai significativa dei territori delle province di Perugia, Arezzo, Terni e Siena comprendente circa 170 mila ettari territoriali. La pianificazione di dettaglio assunse forma e consistenza  definitiva successivamente attraverso il “Progetto generale di massima della irrigazione nei territori Umbro-Toscani di competenza dell’Ente” contestualmente alla concessione che affidò allo stesso una disponibilità, per settanta anni, di circa quattrocento milioni di metri cubi di acqua dal bacino del Tevere e dell’Arno, da accumulare in un sistema di medi e grandi  invasi. La pianificazione si fondò sulle indagini agronomiche svolte da alcuni studiosi in occasione della redazione del “Piano regolatore per l’utilizzazione irrigua delle acque Umbre”, promosso dall’Associazione per lo sviluppo economico dell’Umbria” presieduta da un altro “Cavallo di Razza” democristiano – l’onorevole Filippo Micheli – che si proponeva di studiare e promuovere  iniziative atte a  sviluppare idee utili  alla crescita economica della regione di prossima istituzione. La vera e propria realizzazione delle opere  iniziò tuttavia alcuni anni più tardi usufruendo di finanziamenti concessi dall’allora Ministero dell’Agricoltura attingendo ad alcune importanti leggi di spesa quali la 984/1977 “Quadrifoglio”, il Fondo Investimenti Occupazione (F.I.O.), ecc.

 L’originaria configurazione del Piano Generale Irriguo

Il Piano, come è noto, era ed è articolato in due distinti sistemi, quello Occidentale il cui principale approvvigionamento  è assicurato dalla diga di Montedoglio integrato dalla derivazione sul Sovara e quello Orientale affidato essenzialmente a tre distinti invasi Chiascio, Singerna e Carpina. A tali invasi se ne aggiungono numerosi altri di dimensione più piccola con lo scopo di approvvigionare  aree non servite da quelli maggiori. Il primo dei due invasi maggiori di cui fu avviata la realizzazione fu proprio  quello di Montedoglio: un serbatoio della capacità di circa 145 milioni di metri cubi che sbarra il fiume Tevere, praticamente al confine dell’Umbria, per alimentare gran parte della Val di Chiana Toscana per poi rientrare in Umbria, ma solo nella coda terminale dello schema, per servire i distretti irrigui del Trasimeno.

Qui cominciano a manifestarsi i problemi veri e propri e i primi aspri conflitti di cui tratteremo nella seconda parte del nostro racconto.  

*già direttore Ente Acque Umbro-Toscane e già direttore regionale Infrastrutture/Territorio/Trasporti

Seconda puntata. Segue