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di Diego Zurli*

Insorgono i conflitti 

L’impostazione iniziale  data al progetto che risultava, almeno nell’immediato, fortemente penalizzante per l’Umbria, non poteva rimanere inosservata e lasciata passare con leggerezza. Perché fu chiaro che anche gli stessi fabbisogni della Valtiberina Umbro-Toscana,  secondo lo schema originario, sarebbero  stati soddisfatti in futuro da un invaso, quello  del Singerna,  che nessuno a quel tempo era in condizioni di realizzare. La battaglia intrapresa contro la costruzione  della diga, da parte delle istituzioni dell’Umbria e della Toscana, fu pertanto combattuta con ogni mezzo consentito (ammetto di aver partecipato anch’io,  in gioventù,  ad una simbolica occupazione del cantiere in occasione della festa del primo maggio sotto lo sguardo ironico e divertito degli addetti all’impianto i quali, qualche decennio dopo, sarebbero  diventati alcuni dei miei più stretti collaboratori).  Ma tale scopo non fu raggiunto e la realizzazione dell’opera proseguì, seppure lentamente. 

Trasimeno story/1 Ecosistema fragile di cui avere cura, ma è “un malato immaginario”

In questa circostanza, tuttavia, fu scritta quella  che, a mio personalissimo giudizio, può essere considerata  una pagina di buona politica. A scriverla furono, tra gli altri,  l’associazionismo agricolo altotiberino e soprattutto le principali istituzioni a quel tempo governate dalla sinistra che cominciarono a mutare atteggiamento nei confronti delle opere in corso. Il cambio di rotta, è riassumibile in una formidabile battuta attribuita al senatore tifernate Silvio Antonini: “compagni, abbiamo perso la battaglia contro la diga… ora cerchiamo di non perdere quella dell’acqua!!”).  E così la Regione  decise di  realizzare anticipatamente  le reti di distribuzione irrigua  alimentandole provvisoriamente dal Tevere:  la  mossa del cavallo che costrinse l’Ente a  servire per prima con le grandi  reti di adduzione la Valtiberina Umbro-Toscana, dove storicamente si praticava la tabacchicoltura   ed altre colture industriali ad alto valore aggiunto, realizzando un sofisticato impianto di sollevamento,  tuttora pienamente funzionante ed operante, in sostituzione della diga del Singerna. Accadde di conseguenza che, ad utilizzare per prima  la preziosa risorsa idrica,  fu l’Umbria e la Valtiberina Toscana, in luogo della Valdichiana Senese ed Aretina la quale –  giova ricordarlo – era in realtà la principale destinataria della preziosa risorsa idrica e che, probabilmente proprio per questo, aveva visto associare il proprio nome a quello dell’Ente concessionario. 

Trasimeno story/2 Montedoglio e Chiascio: tutto iniziò con Fanfani

Cambia lo schema 

Il Piano, con tutti suoi limiti, ha rappresentato uno dei pochissimi tentativi compiuti nel nostro paese di programmare, in grande scala, l’uso della risorsa idrica, per scopi irrigui e non solo,  in tempi dove la prassi dominante, per le grandi infrastrutture,  era caratterizzata dalla totale assenza di qualsivoglia programmazione e dalla realizzazione di  interventi a pioggia.  E’ utile ricordare anche che, la concessione di derivazione, aveva  previsto, seppure  in minima parte,  anche   l’approvvigionamento idropotabile per alcuni comuni della valle del Tevere umbro-toscana e di quello di Arezzo  in base alle indicazioni del Piano Nazionale degli Acquedotti. Tale Piano, come è noto, ha avuto un’attuazione parziale ed incompleta. Ciò dipese da molteplici ragioni tra cui quella, certamente non secondaria, della imponente  rilevanza degli investimenti richiesti per la sua completa realizzazione. Tuttavia, dopo gli anni iniziali nei quali l’attuazione delle opere aveva conosciuto rallentamenti e battute d’arresto, anche per i già ricordati conflitti insorti tra lo Stato e gli Enti territoriali, la realizzazione di alcune parti dello schema conobbe una decisa accelerazione per le ragioni che illustreremo in seguito.

A questo punto, entra finalmente in scena il principale protagonista del nostro racconto: il Trasimeno.

I ricorrenti cicli idrologici sfavorevoli che, in tempi recenti, hanno toccato il punto più basso con la crisi del 2003 dove il livello idrometrico ha raggiunto la quota di -1,85 sullo zero fissato convenzionalmente a m.257,33 sul livello del mare, avevano animato numerose   iniziative per cercare una possibile soluzione volta al recupero del deficit idrico annuale e al contenimento dell’abbassamento del livello del lago.  Tra queste, la più importante ed organica che merita di essere ricordata, è certamente il Piano stralcio redatto  dall’Autoritá  di Bacino del Tevere per il lago Trasimeno, elaborato ai sensi della L. 183/89 e approvato nel 2002, il quale definiva gli obiettivi strategici dello sviluppo e della tutela del territorio perseguendo il fine della conservazione e della valorizzazione ambientale dell’ecosistema lacustre. Questo documento non è oggi facilmente  reperibile all’interno dei siti ufficiali delle principali istituzioni e ciò, a mio giudizio,  lascia  intravedere  la scarsa  fiducia riposta dalle stesse circa la possibilità  di vederne concretamente realizzate le importantissime misure. Tra queste, era previsto l’allaccio delle reti irrigue realizzate in anticipazione dall’ Umbria  alle grandi adduttrici primarie provenienti dall’invaso di Montedoglio che le due Regioni convennero nel realizzare in via prioritaria, secondo lo stesso criterio adottato per la Valtiberina Umbra e Toscana, per servire immediatamente le aree già dotate di reti di distribuzione. 

Peraltro, le dettagliate analisi condotte dallo stesso Piano Stralcio sui mutamenti  registrati nel corso degli anni nelle aspirazioni provenienti  dalle comunità nei confronti del sistema lacustre – fossero esse di natura agricola, turistica o inerenti alle attività di pesca e navigazione – avevano evidenziato aspettative sempre più esigenti e sempre meno conciliabili con le periodiche crisi siccitose. Relativamente alla determinazione delle superfici  irrigate in relazione agli ordinamenti colturali praticati,   le stesse indagini avevano quantificato le stesse in poco meno di 4000 ha., stabilendo un fabbisogno annuale di oltre 13 milioni di mc. di acqua prelevata direttamente dal bacino, tramite concessioni pluriennali o licenze annuali di soccorso,  rendendo pertanto non più rinviabile l’allaccio alle grandi reti di adduzione da Montedoglio. Sarebbe tuttavia molto istruttivo – ma non lo faremo  in questa sede – verificare nel dettaglio quanto delle molteplici azioni previste dal Piano Stralcio siano state effettivamente intraprese per confermare la scarsa convinzione con cui il Piano Stralcio  fu accolto dalle stesse istituzioni che avrebbero dovuto attuarlo.

Relativamente al finanziamento delle opere principali, fino a quel momento, la copertura degli massicci investimenti realizzati  per la realizzazione dello schema – dighe, gallerie, grandi reti di adduzione, serbatoi di compenso, ecc. – era stata assicurata  con continuità dal Ministero dell’Agricoltura nell’ alternanza di  Ministri e Governi di diverso colore ed appartenenza politica.  Purtroppo,  l’arte del fare e del disfare ha sempre caratterizzato un paese come l’Italia ma, per fortuna, non in questo caso dove non si è manifestata la nota “Sindrome di Penelope” – cioè il cambiare indirizzi ed assetti al mutare degli orientamenti politici – portando all’abbandono o allo stravolgimento di ciò che altri hanno realizzato in precedenza.   Questa è stata,  probabilmente, una delle  chiavi  decisive per la riuscita del progetto.

Non mancarono anche  reiterati tentativi  di sopprimere,  nel nome della semplificazione istituzionale,  lo stesso Ente attuatore delle opere senza porsi minimamente il problema  del blocco  dei grandi  interventi in corso di  realizzazione: iniziative intraprese  prima dalla sinistra e successivamente anche dalla destra. Tra queste, sono solito ricordare, quella a mio giudizio più strampalata, tentata dall’allora Ministro Calderoli del Governo Berlusconi IV, il quale armato di piccone e lanciafiamme,  organizzò una sorta di personalissimo flash-mob  presso una caserma romana dei Vigili del Fuoco,  annunciando  la distruzione di circa 375.000 leggi, decreti, circolari e provvedimenti reputati «inutili», impilati in  scatole e bruciati tutti insieme sul posto. Tra le norme incenerite, per fortuna alla fine solo simbolicamente, c’era anche quella istitutiva dell’Ente “Valdichiana  ritenuto evidentemente  anch’esso inutile. Tale maldestra operazione  (appresa dal sottoscritto con  notevole sconcerto in  diretta televisiva nel corso della  rubrica serale di Lilli Gruber e alla quale seguì una bella inchiesta giornalistica della trasmissione Report contro la privatizzazione delle opere), non comportó fortunatamente particolari conseguenze  sia per la feroce opposizione dei due presidenti di Regione, Martini e Lorenzetti, sia per la ferma volontà  dimostrata dai Ministri dell’agricoltura che si sono succeduti – Zaia e Galan – facenti parte dello stesso Governo, nel proseguire senza esitazioni nel completamento delle opere; a tutti costoro, ed anche ad un  apparato ministeriale  competente ed affidabile,  va pertanto riconosciuto l’impegno volto a garantire la continuità amministrativa dell’Ente e dei principali finanziamenti.

La consapevolezza dell’importanza strategica di queste infrastrutture, ancora in lento avanzamento a nord di Arezzo, aveva nel frattempo alimentato  l’attivismo delle due Regioni il quale confluì nel 2000 in un primo protocollo d’intesa tra gli assessori regionali all’Agricoltura e all’Ambiente con l’intento di giungere al completamento dello schema di Montedoglio verso il Trasimeno. Ma fu soprattutto con l’abbassamento dei livelli che culminò  nell’emergenza del 2003, grazie all’attivismo di alcuni  parlamentari umbri e della neo-presidente della Giunta Regionale Lorenzetti, che fu possibile essere inclusi all’interno delle misure previste dall’art. 141 della  legge finanziaria 388/2000, che aveva previsto una cospicua dotazione a favore del Ministero del Tesoro per il settore idrico – titolare del Dicastero era Vincenzo Visco –  alla quale fece seguito la redazione di un piano di interventi volti a completare alcuni grandi schemi  dichiarati di interesse nazionale. In quella occasione venne effettuata una completa revisione dello schema di Montedoglio verso la Valdichiana invertendo l’ordine delle priorità nel completamento dello stesso concordando tra le Regioni la scelta, rivelatasi decisiva, di raggiungere per prime le aree dell’area del Trasimeno già servite dalle reti.

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Nuova configurazione dello schema di Montedoglio verso la Valdichiana e il Trasimeno

Questo, a mio parere, fu il cambio di passo decisivo che rese possibile in tempi insolitamente veloci il completamento delle opere affidate ed alcune delle più prestigiose imprese di costruzione nazionali come Condotte e Maltauro, insieme ad altre di provenienza regionale, tra cui le imprese Tecnostrade,  Calzoni, Seas, Todini, Ediltevere, Techno Consol, oltre ad un cospicuo numero di fornitori, sub-appaltatori, ecc.   Nonostante le difficoltà tecniche e le delicate problematiche insorte, come quella dell’improvvisa esplosione del costo delle tubazioni in acciaio che costrinse le imprese a reperire al di fuori dei confini nazionali le forniture,   le lavorazioni di  quello che al tempo era considerato uno tra i più importanti ed ambiziosi progetti del genere realizzati in Italia, furono completate in tempi brevi senza contenziosi né spiacevoli code giudiziarie, entro i costi iniziali e, finalmente,  inaugurate in pompa magna nel novembre 2010 alla presenza del Ministro dell’Agricoltura Galan e della Presidente Marini. Tutte le opere furono progettate in gran parte da personale interno dell’Ente il quale assicurò anche la Direzione dei Lavori.  Decisamente niente male per un Ente che doveva soppresso ma che invece   resuscitò e fu rilanciato  nella sua trasformazione in Ente pubblico Economico dopo essere stato a lungo  considerato  inspiegabilmente inutile!!  

Voglio al termine di questa lunga carrellata storica, ricordare con due immagini alle quali sono molto affezionato, accanto ai tanti bravissimi colleghi con cui ho condiviso questa sfidante avventura, due cari amici (Gobbini e Mazzocchi) che, curiosamente, portano lo stesso nome (Edoardo) e che non sono più tra di noi;   costoro,  pur non avendo direttamente rivestito ruoli  operativi all’interno della lunga e travagliata vicenda che ho cercato di raccontare, da sponde politicamente opposte, hanno creduto fermamente in questo progetto senza mai mancare di far sentire il loro sostegno a tutti coloro che si sono impegnati per realizzarlo. Perché è solo così facendo, marciando dalla stessa parte e spingendo tutti nella stessa direzione,  che alla fine i risultati si possono ottenere.

*già direttore Ente Acque Umbro-Toscane e già direttore regionale Infrastrutture/Territorio/Trasporti

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Alcune immagini dei cantieri durante i lavori di costruzione delle grandi reti e delle gallerie di derivazione.

Fine. Le altre due puntate sono richiamate all’interno di questo articolo

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