di Fabrizio Croce
Quella del Turreno è, più di altre, vicenda emblematica e rappresentativa di una storia politica che si sta avviando stanca, incerta e con maldestri fuochi d’artificio, alla meta dei dieci anni.
Camminare sul filo, operare in condizioni “precarie” e senza rete, pare, infatti, essere stata e rinnovarsi, come per magia, l’arte prediletta di questa amministrazione che, non a caso, nella sua storia recente, si è rispecchiata per ben due volte nel talento di un vero campione di funambolismo come Andrea Loreni, che il filo lo aveva sospeso per davvero sopra Piazza Iv Novembre.
E quello della immanente e perdurante chiusura, più che della imminente riapertura, della gloriosa sala di Piazza Danti sembra essere uno degli “agenti” che, come il vento e la pioggia per l’equilibrista, maggiormente ha reso e rende claudicante il cammino verso il traguardo di questa Giunta.
Chiuso nel 2010, il Turreno vantava una storia ultracentenaria, dapprima come anfiteatro in legno per accogliere spettacoli viaggianti e di circo equestre, poi, a partire dal 1896, come sala cinematografica e di pubblico spettacolo capace, da allora, di offrire alla città il meglio degli artisti del suo tempo, lungo undici irripetibili, memorabili decenni.
La gloriosa sala fu presto designata come uno degli imprescindibili simboli di rinascita della città del “dopo Meredith”, come certificato da uno studio commissionato nel 2013 dalla “Fondazione Perugia-Assisi 2019” alla romana PTS Consulting per la fattibilità di un progetto di recupero e sostenibilità dello spazio.
Nell’anno del cambio di colore politico della città, e forte di un Decreto Ministeriale sollecitato dalla Sovrintendenza, che imponeva il vincolo al mantenimento dell’assetto attuale complessivo dell’immobile ed alla sua destinazione d’uso, il Comune “nuovo” ne fece da subito uno dei principali obiettivi per il rilancio del suo centro storico, ribadendolo poi anche nel 2019 tra le sue “linee programmatiche di mandato”.
Nel 2015 fu firmato uno storico protocollo d’intesa tra Comune, Regione Umbria e, soprattutto, Fondazione Cassa di Risparmio, la quale, in un moto di generosità verso il territorio che la alimenta, acquisì il bene dalla proprietà privata, la famiglia Pascoletti, per consegnarlo nelle mani pubbliche, quelle dei due enti locali.
Ma da allora e per gli oltre sette anni che ne sono seguiti è stato tutto un rimpallo di annunci e ritrattazioni, un “tira e molla” su chi doveva fare cosa, un ciclico rilancio di proclami che a posteriori paiono beffardi ed, a volte, goffi tentativi di abuso della credulità popolare da parte di autorevoli rappresentanti politici:
“un contenitore straordinario, che potrà diventare una pietra miliare per l’acropoli perugina” (Luglio 2015)
“La città che cambia: avanti tutta per il Turreno !” (Marzo 2016)
“La riqualificazione porta avanti una missione di sviluppo e di crescita della città” (Aprile 2018) “L’avvio di un’opera pubblica di carattere così importante per la città rappresenta un’occasione di rilancio per il nostro tessuto economico e culturale” (Aprile 2020)
“Il nuovo Hub culturale potrà dare risposta alle attuali esigenze di rigenerazione del centro antico di Perugia e sarà operativo già entro la fine del 2023 (Febbraio 2021)
Ciò è stato, tra alti e bassi di attenzione, fino al clamore animato dai media locali nei primi giorni di Dicembre, attorno ad una interrogazione promossa dai Consiglieri di opposizione in Consiglio Regionale circa il presunto dirottamento dei fondi già destinati al Turreno verso altre impellenze reclamate dal territorio, sia pure sempre in ambito di beni culturali: S.Francesco al prato (ancora ? viene da chiedersi) e Biblioteca Augusta.
Prescindendo dalle risposte arrivate dai diretti interessati, ovvero gli Assessori in carica nei due enti locali, ampiamente riportate dalla stampa, quello che dà più “prurito” in tutta questa vicenda e, però, la dice lunga sulla solidità dei progetti di mandato e sulla nitidezza degli scenari programmati che la città ha davanti a sè, è l’incertezza nell’agire della Amministrazione che richiama la “mosca cieca” di adolescenziale memoria.
Perché, Turreno a parte, altri spazi pubblici vitali per la “città vecchia” languono anche quando sembrerebbero pronti (S.Francesco al prato), invecchiano tra infiniti ritardi (Pavone), faticano ad assorbire la richiesta (Morlacchi, Santa Cecilia, Sala S.Anna).
Ancora fresco è il ricordo dell’inciampo sulla Sala dei Notari adibita a camerino per gli artisti, del fallimentare esito del primo bando di concessione del Mercato Coperto e dei continui rinvii del progetto di recupero degli ex-carceri di Piazza Partigiani ed il dibattito sul mega-evento di Capodanno in piazza impazza ovunque.
E l’annuncio di questi giorni che il restauro della mitica Turrenetta, di fatto una “dependance”, un’appendice sfiziosa da 100 posti della maestosa sala di Piazza Danti, potrebbe terminare entro due anni non sembra placare quel moto di insofferenza che comincia ad agitare tutti noi.
Intanto, per la cronaca, ho chiesto che almeno quella epica “ridotta” della cultura cittadina venga intitolata prima dell’agognata riapertura a Sergio Piazzoli buonanima, mio fratellone e complice di mille avventure: chissà che quel mito e quei ricordi di ben altri tempi non possano servire da pungolo per rispettare una-scadenza-che-sia-una.
C’è in tutto ciò un malcelato senso di improvvisazione che pare accompagnare lo svolgersi del secondo atto di questa gestione politica a Perugia fin dal suo insediamento, nell’azione culturale ed in quella urbanistica, nel campo delle politiche sociali e di quelle giovanili, nelle modalità di partecipazione ed in quelle di espletamento dei servizi, dal trasporto pubblico all’accoglienza, facendo della nostra una città che pare vivere “suo malgrado” e dell’acropoli perugina più che un “centro storico” un … “centro stoico”.
Post-scriptum: … che poi non da oggi e da voci autorevoli si è più volte evidenziato un complesso di criticità attorno a quella leggendaria sala e ad altri spazi prestigiosi dell’Acropoli (la stessa S.Francesco al prato) – difficoltà nella logistica e nell’accessibilità, problemi di convivenza con il vicinato e con la piazza, capienza tutto sommato insoddisfacente per un capoluogo, inadeguatezza agli standard delle strutture congressuali/convegnistici – per cui, quasi quasi, sarebbe stato da preferire un investimento più mirato in una delle tante periferie di questa città multicentrica e l’edificazione ex-novo o la riqualificazione ex-post di un spazio da adibire ad Auditorium/Sala polifunzionale seguendo l’esempio della vicina Assisi (Lyrick Theatre + Pala-Eventi) che in quanto ad ospitalità ci ha sempre dato i punti, ma questa è un’altra storia …