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di Ruggero Ranieri

Il libro è strutturato sotto forma di un dialogo fra l’ex sindaco di Perugia, Wladimiro Boccali, e Vincenzo Cimino. Ripercorre in forma cronologica la stagione politica che parte all’incirca dal nuovo millennio fino ai giorni nostri. Nella seconda parte del libro vi sono quattro contributi di studiosi e militanti politici che riflettono sulle cause del declino della sinistra umbra, offrendo analisi e ricette.
Diciamo subito che il titolo del libro contiene già una tesi abbastanza discutibile: Perugia e l’Umbria, infatti, vengono definite “nere” per caso, quando in realtà l’affermazione della destra è stato un processo graduale di alcuni anni.
Wladimiro Boccali, non rieletto per il secondo mandato nel 2014, aveva già vuotato il sacco delle sue recriminazioni in un libro precedente dal titolo “E’ tutta colpa di Boccali?”, uscito nel 2016. In questo ultimo libro i toni sono meno accesi, c’è il tentativo di fare una riflessione più pacata e di indicare delle prospettive. Rimane il fatto che l’episodio perugino del 2014 si inserì in una serie di sconfitte cocenti del PD e della coalizione di centro-sinistra, culminate nelle regionali del 2019, che hanno portato le forze di centro-destra a dominare i comuni e la Regione dell’Umbria.
Possiamo dire che l’analisi di questo terremoto da parte di Boccali è molto di maniera, troppo ottimista. Secondo Boccali, ancora nei primi anni del nuovo millennio, i tratti positivi del modello umbro erano predominanti: buona amministrazione, servizi sociali efficienti, politiche di accoglienza e integrazione, economia in crescita, larga partecipazione alle vicende politiche. Molti analisti non erano e non sono d’accordo: c’erano già crepe notevoli e il modello della “Regione rossa” era in crisi. Si è parlato, infatti, di “palude”, di crescita trainata dalle opere pubbliche e dalla cementificazione, di bassa efficienza produttiva, di distacco fra eletti ed elettori e di un PD senza anima, popolato da amministratori autoreferenziali.
Nell’individuare le cause della sua sconfitta a Perugia, Boccali sottolinea vari elementi: il primo è la crisi economica nazionale apertasi nel 2008, che colpì l’Umbria in modo particolarmente severo e indebolì le amministrazioni allora in carica, costringendole al rigore finanziario. Altri elementi sono di carattere locale e Boccali gli attribuisce molte importanza. Il primo si riferisce al cosiddetto “buco di bilancio” che si aprì sotto l’amministrazione Locchi di cui Boccali, peraltro, era un esponente di spicco. Il “buco” viene descritto come una sorta di incidente di percorso, mentre era rivelatore dell’uso disinvolto e abbastanza arrogante delle finanze comunali, che comportava scalare da un anno all’altro i deficit accumulati. Un altro fattore, secondo Boccali, fu la questione dell’omicidio di Meredith e il dannoso clamore che ne conseguì. Anche questo, però, non può essere derubricato semplicemente a incidente di percorso: fu la spia di una situazione sociale e di un disagio giovanile molto grave.
Boccali punta i riflettori anche sulla crisi del Partito Democratico. Lo definisce frutto di una fusione a freddo ̶ analisi che coincide con quanto hanno scritto e scrivono molti politologi. Anche qui, però, si apre un problema. Si dice che in Umbria la nascita del PD fu ancora più controversa e difficile che non a livello nazionale e si specifica anche che il problema è stato che, in Umbria, i gruppi dirigenti di estrazione comunista non volevano abdicare in nessun modo al potere che avevano accumulato nei decenni. Ma Boccali stesso non se ne può chiamare fuori, in quanto egli rivendica la sua appartenenza alla corrente Ingraiana, di fatto una delle correnti più identitarie della tradizione comunista.
Un altro punto debole dell’argomentazione di Boccali è quello della candidatura di Perugia a Capitale Europea della Cultura 2019. Una candidatura, come si sa, finita male. Ma, dice Boccali, era una candidatura innovativa, che guardava la futuro, un progetto di alto livello in mano a professionisti molto capaci. Aggiunge, però, che la cittadinanza non mostrò alcuna vera partecipazione: insomma un progetto calato dall’alto che pochi hanno capito e condiviso. Questo, però, richiede una spiegazione. Forse non toccava le corde più profonde della città e anche l’idea di trasformarlo prima in un progetto di due città, Perugia ed Assisi (che fra l’altro non hanno mai veramente dialogato fra loro), successivamente in un progetto regionale, riproponendo la stanca litania di un’Umbria delle cento città non ha giovato alla sua causa.
Osservazioni interessanti sono quelle di Boccali sulle elezioni del 2014 che lo videro sconfitto al ballottaggio. Come è noto, al primo turno la sua coalizione aveva raccolto il 48% dei voti. Il centro destra si era fermato al 26%; c’era poi un 19% dei 5Stelle e due liste civiche, piccole ma combattive: quella di Barelli con poco meno del 4% e quella di Wagué. Boccali fa capire che riteneva la partita quasi chiusa, in quanto il centro destra con Andrea Romizi si presentava al ballottaggio in netta inferiorità. Dice, quindi, che non sentì affatto l’esigenza di aprire seriamente alle liste civiche, che pure avevano al loro interno molti simpatizzanti della sinistra ̶ e questo lo dico per testimonianza diretta. E, infatti, Boccali non fece niente; non fece neppure un appello ai cittadini e anzi, afferma che, non stimando i leader delle due liste civiche, non li riteneva degni di un’interlocuzione. Oggi sembra aver capito che questo fu un errore. E, infatti, che cosa successe? Le due liste civiche si coalizzarono con il centro destra per strappare la città al governo delle sinistre. L’operazione ebbe successo: evidentemente la città ne fu rassicurata. Del resto, di uno scontento profondo c’erano stati molti segni durante la campagna elettorale e Boccali avrebbe dovuto coglierli.
Risultato di quella vicenda fu la prima giunta di Romizi. Va dato atto a Boccali di riconoscere il ruolo che ebbero nella sua creazione le liste civiche, un ruolo che pochi hanno voluto registrare sia a destra, sia a sinistra. In realtà l’influenza dei civici, per una breve stagione fu molto incisiva in quanto convinsero Romizi ad accettare la composizione di una Giunta in cui vi era una notevole presenza di figure tratte dalla società civile. Altra cosa poi fu la loro capacità di mantenere una presenza nella politica cittadina, che non ci fu.
Boccali giudica criticamente l’operato del suo successore, mettendo in evidenza come Romizi si proponesse senza alcuna vera progettualità, ma con l’intenzione di amministrare la situazione in modo statico, se mai di completare qualche progetto già avviato, senza dimenticare che rimise a posto i conti, e di ristabilire un feeling positivo con la città. Questo ultimo punto, in realtà, fu pienamente centrato: la personalità gentile e disponibile del nuovo sindaco era proprio quello che la maggioranza dei perugini chiedeva. E infatti ci fu una luna di miele che si prolungò fino alla sua rielezione nel 2019.
Boccali, a proposito degli anni più recenti, ripete un mantra che molti nella sinistra perugina hanno condiviso e cioè che la vicenda di Sanitopoli, con le dimissioni della Marini, fu costruita ad arte dalla magistratura e dalla stampa per dare un’ultima picconata al sistema di potere “rosso”. Boccali stesso, però, individua il punto critico delle fortune del PD e dei suoi alleati nelle elezioni del 2018, prima di Sanitopoli. Siamo sicuri, quindi, che Sanitopoli ebbe un ruolo nel determinare l’esito elettorale del 2019? In realtà, l’ultimo mandato della Marini era stato un mezzo disastro soprattutto per la paralisi provocata fra bocciani e mariniani. Già la Marini nel 2015 era stata rieletta per un soffio; il fatto che non fosse in grado di mettere in campo nessuna nuova iniziativa fu, a mio giudizio, decisivo. Perse infatti la fiducia di molti elettori che gliela avevano data temendo l’avvento di una destra populista. Ma fu l’ultima chiamata.
Nella seconda parte del libro vi sono quattro saggi di analisi, tutti con qualche motivo di interesse. Il primo e più corposo è quello di Ulderico Sbarra, già Segretario della CISL regionale, a cui seguono quelli di Enrico Antinoro, ex dirigente del Comune di Perugia nel settore urbanistico, di Paolo Polinori, dell’Università di Perugia già Segretario del PD di Perugia e, infine, di Valerio Marinelli, ricercatore e studioso.
L’intervento di Sbarra riporta indietro, agli anni Novanta del secolo scorso, le lancette della crisi economica e sociale dell’Umbria. Il terremoto del 1997 e la ricostruzione che ne seguì aprì una stagione di opportunità, con risorse nazionali dirottate sulla Regione. Durò, però, per pochi anni e non sedimentò un cambiamento di paradigma, come sarebbe stato auspicabile e anche possibile. Le imprese della regione si dimostrarono troppo piccole e impreparate a reggere il peso di quella sfida. La causa prima del declino dell’Umbria, secondo Sbarra, va, però, ricercata nella globalizzazione, di fronte a cui l’economia umbra, nei suoi vari settori, si rivelò impreparata, come rivela l’indicatore cruciale della produttività che iniziò una parabola declinante, che non si è più invertita.
A questa analisi Sbarra fa seguire un atto di accusa contro le classi dirigenti del centro sinistra, non all’altezza dei problemi, succubi, egli afferma, di un’impostazione liberista. Si arriva così, dice Sbarra, ai tempi più recenti con la sconfitta della sinistra, senza nemmeno combattere, sostituita da una destra impreparata al governo e che, perciò, si muove sulle stesse linee della sinistra ripercorrendone i modelli. Secondo Sbarra i nuovi fondi messi a disposizione dall’Europa ̶ e cioè il PNRR e i Fondi Europei ̶ saranno tuttalpiù un palliativo e non invertiranno la tendenza. Sbarra infine rivendica a se stesso e alla Cisl il ruolo di voce nel deserto: tanti avvertimenti e tante analisi inascoltate si sono poi rivelate giuste.
Enrico Antinoro illustra brevemente, ma in modo chiaro e incisivo, alcuni aspetti della storia urbanistica della città di Perugia a partire dal dopoguerra, insieme agli strumenti urbanistici dell’amministrazione comunale che li hanno determinati. E’ interessante leggere come si sia partiti negli anni ’60 dalla previsione di una città policentrica – con vari quartieri satelliti, autonomi dal centro – all’insegna di una “Perugia grande” di 300.000 abitanti. A questa visione, subentrò gradualmente quella di una città “compatta” che accorpa le periferie o una loro parte, estendendo il centro fino a comprendere al suo interno nuove aree direzionali (vedi via Palermo, Fontivegge, San Sisto). L’analisi di Antinoro prende in considerazione i piani regolatori che si sono succeduti fino al 2002, accennando anche alle loro innumerevoli varianti. L’esposizione è utile in quanto si tratta di un argomento di solito riservato agli specialisti e raramente esposto in termini divulgativi. Qui si tenta di farlo, con un limite: quello di non mettere in evidenza le tante criticità, gli ostacoli e le resistenze, i fallimenti.
Paolo Polinori sottolinea e documenta efficacemente come siano stati gli enti locali, e i comuni in primo luogo, a sostenere l’impatto della politica di austerity dal 2010. Da qui, egli argomenta, la crisi del centro sinistra e del PD in Umbria e altrove. Non convince, però, una connessione automatica fra i due fenomeni, in quanto sicuramente hanno pesato in quella crisi molti altri fattori. La parte più debole di questo saggio è quella dell’accusa alla sinistra di aver aderito acriticamente al paradigma neoliberista fino dagli anni Novanta. In quest’ottica tutto viene omologato: Blair uguale a Thatcher, Clinton uguale a Reagan. Che fine hanno fatto le tante battaglie combattute dai riformisti in quegli anni? Con ciò non intendiamo dire che non ci siano state delle mancanze da parte delle forze riformiste, ma con questo tipo di analisi in bianco e nero si offrono argomenti ai populisti e ai sovranisti.
Valerio Marinelli sviluppa un’ottima analisi politologica e storica delle trasformazioni dei partiti della sinistra in qualche modo riconducibili alla tradizione comunista, PCI, PDS, DS, PD, e lo fa attraverso il filtro della loto struttura organizzativa. Descrive quindi l’evoluzione da partito di quadri (il primo PCI) a partito di massa giungendo poi, in tempi più recenti, al partito delle correnti e delle primarie. Si tratta di una chiave di lettura molto interessante, troppo spesso trascurata. E’ scritto senza enfasi partigiane e costituisce un contributo molto utile per analizzare sia le trasformazioni, sia le ultime sconfitte del PD.
18 ottobre 2022