Salta al contenuto principale

di Lucio Caporizzi

A dicembre 2023, Istat ha rilasciato la stima preliminare (quindi ancora soggetta a revisioni) della variazione del Pil reale nelle regioni italiane nel 2022, dove il dato dell’Umbria, con appena un +1,3%, si presenta molto inferiore al valore segnalato per l’Italia (+3,7%) e per il Centro (+4%). Molto inferiore, inoltre, a quanto riportato dalla Regione Umbria sul DEFR 2024 dove, un po’ avventatamente, si riportava per il 2022 addirittura un valore di +3,9%, cioè la stima più elevata tra quelle disponibili, senza, peraltro, specificare che si trattava, appunto, di una stima.
Il Pil pro-capite umbro, stando a tali ultime stime Istat, si attesta nel 2022 a 28.203 euro nominali (32.984 il valore nazionale), collocando l’Umbria al dodicesimo posto tra le regioni italiane, con al di sotto le sole regioni del Mezzogiorno. Lo scorso autunno, come ogni anno, venivano rilasciati da Banca d’Italia gli aggiornamenti delle analisi sull’economia umbra presentati il giugno precedente. In tale lavoro si segnalava – a seguito di apposite stime – un marcato rallentamento del Pil regionale – dopo il rimbalzo post Covid – in particolare a partire dal secondo trimestre 2023, fino a giungere in territorio negativo verso la fine dell’anno. Il reddito disponibile delle famiglie non pare andare meglio, anche per via dell’erosione del suo valore reale dovuta alla fiammata inflazionistica, che in Umbria si è manifesta in misura anche più forte che nel resto del Paese (+5,9% il dato umbro, a settembre 2023, contro il 5,3% nazionale).
Il rallentamento dell’attività economica in Umbria viene anche evidenziato nella recentissima Relazione economico sociale 2024 dell’Agenzia Umbria Ricerche (AUR), dove si stima per il 2023 un incremento del Pil regionale intorno allo 0,5% il che, combinato con il già citato, deludente dato per il 2022 di cui alla stima preliminare Istat (ove confermata), attesterebbe di un brusco “atterraggio” dell’economia regionale, dopo il brillante rimbalzo post lock down.
Il rallentamento si presenta in modo abbastanza diffuso tra i vari settori, dall’industria in senso stretto alle costruzioni (che scontano l’attenuarsi degli incentivi rappresentati dai bonus fiscali) al commercio, che non ha ancora recuperato i livelli occupazionali ante pandemia. Sempre nel 2023, colpisce l’impennata delle cessazioni delle imprese (concentrato in provincia di Perugia) con la flessione di 139 imprese, calo che non si verificava dal 2009. Cede anche l’export, con un calo nominale in Umbria del 4,5% nei primi 9 mesi del 2023, concentrato in provincia di Terni.
Note positive vengono dal settore turistico, che ha non solo recuperato i livelli ante pandemia ma anche notevolmente migliorato rispetto a tale periodo: le presenze dei primi 9 mesi del 2023, infatti, con un valore di 5.551.926, risultano essere di oltre il 10% superiori al corrispondente periodo del 2019. Vivace anche l’andamento degli arrivi (+6,3% nello stesso periodo), mentre resta comunque inferiore ai 3 giorni la permanenza media, da sempre punto debole del settore turistico regionale. L’Umbria ormai da un po’ di tempo viene sempre più vista come una destinazione turistica di valore, sviluppando man mano una sua autonoma identità distintiva, anche per effetto di accorte politiche di promozione portate avanti da anni. Il buon andamento del turismo, senz’altro da salutare con soddisfazione, non è comunque in grado di contrastare più di tanto gli andamenti sfavorevoli degli altri settori Sempre nell’aggiornamento di Banca d’Italia venivano, tra l’altro, richiamati i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, segnalando come nei primi sei mesi del 2023 in Umbria il numero di occupati fosse cresciuto del 3,1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, più della media nazionale (2,0). L’aumento ha consentito di completare il recupero dei livelli pre-Covid e si è concentrato nella componente maschile e in quella alle dipendenze (5,1% e 5,4%, rispettivamente). I lavoratori autonomi, che rappresentano poco più di un quinto degli occupati totali, sono ulteriormente diminuiti (-4,5 per cento). Il tasso di occupazione ha raggiunto il 66,4% (dal 64,7 del primo semestre del 2022). Anche la partecipazione al mercato del lavoro è cresciuta: il tasso di attività ha raggiunto il 71,0% nella media del semestre, un valore superiore rispetto al periodo precedente la pandemia. Ma a tali aumenti di occupati corrisponde un proporzionale aumento del Pil? Non si direbbe, visto che le due grandezze vanno in controtendenza, Pil in calo ed occupazione in aumento.
Insomma, pare legittimo porsi qualche interrogativo sul valore economico di tali incrementi occupazionali, il che, seguendo un approccio più strutturale, chiama in causa il tema del livello delle retribuzioni del lavoro dipendente, che, in Umbria, continua ad essere inferiore al valore medio nazionale e, pertanto, di molto inferiore alla media del Centro-Nord. A tale fondamentale tema è dedicato un interessante Focus, recentemente apparso, ad opera di Elisabetta Tondini, sul sito dell’Agenzia Umbria Ricerche (AUR). Vediamo quindi che sul totale dei lavoratori privati extra-agricoli, l’Umbria presenta nel 2022 una retribuzione media di 22.222 euro, contro i 22.839 del dato nazionale.
Tale divario si accentua di molto laddove si vada a considerare il sottoinsieme (più significativo) dei lavoratori a tempo indeterminato e full time: in questo caso, la retribuzione media in Umbria è pari a 30.872 euro, mentre il dato italiano si colloca a 37.360 euro, con un meno 17% a sfavore dell’Umbria.
Andando a distinguere tra i diversi settori produttivi, vediamo che, nel complesso, i divari retributivi maggiori tra Umbria ed Italia si ritrovano nell’industria in senso stretto (- 17,2%) e nell’insieme di servizi relativi ad informazione, comunicazione, attività finanziarie, assicurative, professionali (- 20,4%). In termini di qualifiche professionali, sono i dirigenti che, con – 16,1%, che mostrano il divario maggiore rispetto al dato nazionale.
A cosa è dovuto questo gap retributivo, che, già sensibile rispetto al dato medio nazionale, lo è ben di più se raffrontato al valore del Centro-Nord? Certamente esso è riconducibile alla minor produttività del lavoro del sistema umbro. Vediamo infatti che l’Umbria si colloca nella parte bassa della classifica, sia del valore aggiunto per Unità di lavoro che delle retribuzioni. Inoltre, anche in presenza di adeguati valori degli indici di redditività delle imprese (Margine operativo lordo /Valore aggiunto), i livelli delle retribuzioni restano bassi, quasi a testimoniare una scarsa propensione ad investire nel capitale umano.
Occupazione industriale superiore a molte altre regioni, ma concentrata nelle attività di line, con scarsa presenza del terziario industriale dove più si crea valore (finanza, marketing, design, ricerca e sviluppo), servizi in gran parte concentrati nei settori tradizionali. Restano queste le ragioni principali della debole performance del sistema produttivo regionale, fattori sui quali le politiche di sviluppo portate avanti in questi decenni e negli ultimi anni non sono riuscite ad incidere in termini sostanziali. Piuttosto che concentrarsi sui decimali, in più o in meno, delle varie grandezza economiche, sarebbe più utile per il futuro degli umbri ragionare seriamente su quali misure ed interventi possano essere davvero efficaci per avviare un reale percorso di sviluppo.