Siamo alla terza puntata del racconto dei fatti del Venti Giugno. Fabio Maria Ciuffini utilizza per narrarli un personaggio di fantasia che fa una cronaca puntuale però di tutto ciò che è realmente accaduto. Il massacro di Perugia venne condannato da molti paeso europei, ma furono gli americani ad indignarsi in modo particolare.
PERUGIA 1859/1 L’INSURREZIONE E QUEI SEI GIORNI DI LIBERTà
PERUGIA 1859/2 LA DIFESA EROICA MA SBAGLIATA DELLA CITTà
di Fabio Maria Ciuffini
Vi avevo promesso che non vi avrei detto nulla che non avessi visto con i miei occhi. Ma non posso tralasciare nel mio racconto ciò che avvenne il XX giugno ‘59 mentre ero nascosto nella stanzuccia dei mantici a S. Pietro, da cui fuggii – come vi ho già detto – solo il quarto giorno. Per descrivere l’orrore di quella giornata, vi darò allora una sintesi dei tanti documenti scritti. E non ne mancarono, in tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti, tanto fu forte l’indignazione per i massacri di Perugia. Ve ne do subito uno per tutti: il rimprovero del Daily News al governo della libera Elvetia: “La Svizzera stessa, la madre e la nutrice di queste bande di assassini, se ha qualche senso di vergogna e di riguardo all’onore, deve sentirsi disgraziata per assassini a cui essa permette di uscire dalle sue valli e dalle sue montagne per un servizio che i banditi disprezzerebbero!”
Di altri vi dirò dopo, in particolare del servizio del New York Times del 25 Giugno ’59. Di ciò che accadde dopo quel 23 Giugno tornerò invece a darvi contezza diretta: le reazioni nel mondo politico e lo screzio fra il Governo Pontificio e quello americano, che finì per coinvolgere persino la Presidenza e il Senato USA.
Cadute le barricate che erano state erette davanti a Porta S. Pietro, gli Svizzeri dilagarono in città lungo il Corso di Porta Romana (anche Via Papale) il Crocevia e Via Sant’Ercolano.
Gli Svizzeri al Crocevia e Via S. Ercolano
Ma non era ancora finita. Parecchi fra i più arditi dei perugini tentarono di opporsi alla loro avanzata sparando su di loro dalle finestre delle case e dai tetti, e gettando giù tegole e sassi.
Questa perseveranza nella resistenza irritò le truppe papali ancor di più.
I soldati, disposti in due linee di tiragliatori, non potendo sempre dire donde venissero le fucilate sparavano a caso senza far distinzione crivellando le case di pallottole. Quelle case di cui poi furono forzate le porte portando la devastazione e la morte. “I nostri soldati” dichiarò il loro cappellano Oberson con entusiasmo, “massacravano quanto trovavano in queste case “. E non fu l’unico ecclesiastico a gioire! Tal Padre Romito, domenicano, il giorno dopo prese a calci il cadavere di un insorto che giaceva a terra da un giorno e lo prese a calci gridando con atroce scherno.
Oh Framassone, canaglia!: hai perso dunque il fiato? Perché non strilli ancora Viva L’Italia, Viva Vittorio Emanuele?
E fu anche data per certa la notizia che “frati e preti tirassero sugli insorti che fuggirono dopo la pugna” e che non meno di “quattordici colpi si tirarono dai zoccolanti del Monte e due dal Convento di S. Girolamo”.
Intanto quelli che ancora combattevano passavano da un tetto all’altro e gli abitanti sottostanti nulla ne seppero e furono oggetto poi della selvaggia furia degli svizzeri che fecero irruzione nelle case. Dando attuazione di ciò che avevano dichiarato il giorno prima e cioè che, avendo avuto ordine dal Cardinale Antonelli di “saccheggiare per 6 ore il paese e di ammazzare tutti i briganti in caso di resistenza “, avrebbero poi venduto “ La ciccia dei perugini a mezzo baiocco per libbra” .
Il 20 giugno 1859, a Perugia, si consumò così una delle più brutali repressioni armate della storia risorgimentale. Un’azione punitiva feroce! Le prime vittime furono insorti falciati lungo le mura o finiti a baionettate. Poi fu la volta dei civili.
Le strade divennero teatro di esecuzioni sommarie. Uomini inermi fucilati davanti casa. Bastava uno sguardo o una parola per essere abbattuti. Alcuni legati e giustiziati, altri colpiti alle spalle mentre fuggivano. Donne e ragazze assalite in case, cortili, cantine. Violenze anche nei conventi. Una suora si gettò per questo in un pozzo. Un’adolescente fu violentata nel retrobottega del padre e morì dissanguata. Il saccheggio fu totale. Case agiate, specie nel Borgo XX Giugno, svuotate sistematicamente. I soldati rovistavano ovunque, distruggevano mobili, incendiavano rimesse. In una casa tre bambini cercarono rifugio: due furono uccisi, il terzo sopravvisse sotto un letto. In via del Giardino due fratelli vennero fucilati contro un muro. Anche orfanotrofi e ospedali furono violati. Testimoni riferirono violenze su minorenni ricoverate. A San Pietro, i soldati colpirono religiosi e civili; solo l’intervento del priore evitò una strage. Le case di Rosi, Tomassini e Salvator Rosa furono saccheggiate, come gli appartamenti di Temperini e del conte Valenti nella casa Salvatori; Temperini fu ferito. La tabaccheria di Adamo Ceccarelli devastata. La farmacia Bellucci manomessa; Bellucci minacciato di fucilazione poiché un tamburo cadde ucciso davanti alla sua porta: si credette che il colpo fosse partito da lì, ma si scoprì veniva da una finestra di fronte. L’ebanista Emilio Lancetti, che però sparò alle truppe, fu ucciso. Uccisi anche i non combattenti: Agosti, Cerri, la sartrice Irene Polidori, gli impiegati Bellezzi e Vitaletti.
Terminate le ultime resistenze, si scatenarono eccidi sistematici, estorsioni e saccheggi. Si sparava nelle case, si abbattevano civili a baionettate, si devastavano botteghe, chiese, monasteri. Nessun quartiere fu risparmiato. Le monache di Sant’Antonio raccontarono di cancelli sfondati, candelabri scagliati sull’altare, furto di gioielli. Altri testimoni riferirono stupri di gruppo, spesso davanti a bambini. Più d’un anziano fu finito con un colpo alla nuca. La sera lasciò Perugia insanguinata. Corpi insepolti, sangue rappreso, urla dai sotterranei. Il numero ufficiale di morti fu di 21 civili, ma i testimoni dissero molti di più. Fu una strage deliberata. L’odore dei cadaveri restò per giorni. Madri riconobbero i figli solo da un bottone, un lembo di stoffa, una scarpa intatta.
Anche a Corso Vannucci, dove non vi fu alcuna resistenza, gli Svizzeri vi giunsero e cominciarono a sparare a casaccio.
Ci vorrebbe un libro (ed infatti tanti ne sono stati scritti) per narrare di tutti gli orrori di quel giorno!
Ma voglio darvi la descrizione di un caso per tutti, quello della Famiglia Perkins, cittadini americani ospitati nel grande Hotel di Francia. Da questo, o forse dal tetto, provennero due fucilate che uccisero due Svizzeri. E da una finestra dell’Albergo sventolava il tricolore. Gli svizzeri allora irruppero nel primo piano dell’albergo e vi uccisero il cameriere Genovesi e il sotto-stalliere Bindocci. Quando il proprietario dell’albergo – Storti – ancorché inerme, si rese finalmente conto delle intenzioni punitive degli assalitori, era troppo tardi. Corse a rifugiarsi con sua moglie, sua madre e la famiglia Perkins al secondo piano, ma fu colpito da una fucilata e finito a colpi di baionetta appena fuori della porta della stanza nella quale gli altri erano raccolti.
Di tutto ciò riferì il New York Times del 25 giugno 1859, titolando “The Massacre at Perugia – The Outrage to Mr. Perkins and his Party”. Ed ecco stralci del testo.
“Una famiglia americana è sfuggita per un soffio al terribile massacro avvenuto a Perugia il 20 giugno, del quale avrete senza dubbio avuto notizia per via telegrafica da Londra … ma ha comunque subito un grave spavento e molte sofferenze …. Erano in un albergo proprio quando la popolazione si era sollevata, pronunciandosi in favore del Regno di Sardegna e contro il potere temporale del Papa. … Dopo una disperata lotta, le truppe mercenarie, meglio equipaggiate e addestrate degli insorti, entrarono nella città. In mezzo al terrore generale, le truppe infuriate si lanciarono per le strade, commettendo omicidi orribili e altre barbarie contro gli abitanti inermi — uomini, donne e bambini.
Le signore della famiglia Perkins cercarono rifugio, ma il rifugio fu scoperto, e il signor Perkins, nonostante si fosse fatto riconoscere come straniero e americano, riuscì, solo grazie a una somma in oro, a convincere uno dei mercenari a proteggerli e placare le violenze. Erano circa le cinque del pomeriggio. Poco dopo, verso le sei, un altro gruppo di soldati irruppe nell’hotel: erano evidentemente ubriachi di vino. Le valigie e i bauli della famiglia furono brutalmente forzati e i soldati li derubarono senza pietà di vestiti, gioielli e ogni altro bene che trovarono. Il signor Perkins ha presentato una denuncia formale al Ministro americano a Roma, il signor Stockton. La brutalità dimostrata dalle truppe non ammette alcuna scusa. Tutte le parti politiche, senza eccezione, hanno condannato le autorità pontificie, e si è levato un grido generale di vendetta.”
Quello che il NYT non riporta è come si siano salvati i Perkins.
Essi, comprendendo dalle voci irate e dagli spari di trovarsi in grave pericolo, si rifugiarono in uno stretto stanzino insieme ai sopravvissuti della famiglia Storti! Pare proprio che gli “stanzini” fecero la loro parte quel giorno! Noi sopra i mantici dell’organo, loro in quello che era un secretaire collegato alla stanza dei Perkins da un passaggio segreto. Dove stettero circa due ore prima di essere liberati da un ufficiale papalino.
… e quello fu certo il minor danno che fu arrecato in quella terribile giornata!
E gli Svizzeri erano ubriachi perché, tornati nella cantina dell’Abbazia da cui erano entrati a tradimento, tracannarono tutti a volontà un’immensa quantità di vino. E poi spararono coi fucili alle botti semivuote perché non ne restasse più neanche una goccia!
Il residente americano presso la Santa Sede Stockton, informato della vicenda dei Perkins, protestò a lungo con il Vaticano. Il Cardinale Antonelli prima negò, poi minimizzò, alla fine risarcì i Perkins dei danni subiti e chiese scusa. La cosa finì addirittura nelle mani del Presidente USA che passò al Senato tutta la corrispondenza diplomatica di Stockton. Il Papa invece decorò con una speciale medaglia commemorativa gli autori dell’eccidio.
Quale fu la reazione del Governo sardo – piemontese? Vittorio Emanuele II che aveva pronunciato le famose parole “ non siamo insensibili al grido di dolore che da ogni parte si leva verso di noi” non fece certo in tempo a sentirlo quel grido. Passò però alla storia la frase di Cavour “Meglio far figurare il papa come carnefice piuttosto che farlo apparire come vittima” che fu accusato per questo non solo di un comportamento ambiguo, ma quasi che si aspettasse di trarre vantaggio dalla generale esecrazione dei fatti di Perugia per preparare e giustificare il futuro intervento italiano. Ma il 14 settembre 1861, quando Perugia fu liberata definitivamente dal controllo papalino, Camillo Benso di Cavour era già morto. A Torino, all’età di 50 anni, il 6 giugno 1861, pochi mesi dopo essere diventato il primo Presidente del Consiglio del Regno d’Italia, proclamato il 17 marzo 1861 e non assistette alla liberazione di Perugia, né alla completa estromissione del potere temporale del Papa dall’Umbria.
E se qualcuno me ne chiederà ve ne parlerò, insieme a ciò che accade nell’anno terribile ed oppressivo del Governo Militare Pontificio e delle sorti del Patrimonio Ecclesiastico a Perugia.