di Ruggero Ranieri
Il recente convegno della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria dedicato ad Achille Bertini Calosso ha avuto il pregio di riaprire una pagina di storia e di memoria che attendeva di essere riletta. I vari relatori hanno sottolineato l’importante opera di tutela, di restauro, di protezione del patrimonio artistico e monumentale della nostra regione svolta da Bertini Calosso. In particolare egli si distinse durante la guerra, prima per organizzare la salvaguardia creando dei depositi sicuri per le opere d’arte di maggior pregio e, poi, provvedendo ai vari restauri che si resero necessari e alla ricollocazione delle opere d’arte nei musei, a partire dalla Galleria di Perugia (oggi GNU), il tutto in stretta collaborazione con gli ufficiali alleati addetti al patrimonio artistico e archivistico, i cosiddetti “monuments men”.
Molti gli elogi che quegli ufficiali tributarono al Bertini Calosso, sottolineandone la professionalità, l’efficienza e soprattutto la grande dedizione. Proprio quest’ultimo aspetto merita di essere sottolineato: Bertini Calosso fece parte, infatti, di quella schiera di uomini delle istituzioni, formatasi nel periodo liberale, che metteva al centro di tutto, prima di qualsiasi interesse personale o professionale, la tutela dello stato e del suo patrimonio, di cui si sentiva custode. Gli ufficiali alleati che risalirono la penisola trovarono molte distruzioni, talvolta qualche situazione di abbandono, ma, d’altro canto, in molti luoghi chiave ebbero di fronte come interlocutori professionisti di alto livello, uomini competenti e tutti di un pezzo. Si potrebbero fare molti nomi, alcuni dei quali riportati in luce dalla mostra tenutasi recentemente alle Scuderie del Quirinale, Arte liberata 1937-1947. Capolavori salvati dalla guerra. A Napoli c’era il conte Riccardo Filangieri, un grande studioso e archivista con rapporti con tutti i principali istituti europei, c’era la bibliotecaria Guerriera Guerrieri che si prodigò per tenere insieme i volumi della grande Biblioteca Nazionale, a Roma gli archivisti Emilio Re, un grande personaggio dell’archivistica europea e insieme un interlocutore importantissimo per gli Alleati, a cui successe Armando Lodolini, e fra gli storici dell’arte come non ricordare Pasquale Rotondi, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Emilio Lavagnino, Palma Bucarelli, Giulio Carlo Argan, Giovanni Poggi, Fernanda Wittgens e tanti altri. Ognuno di questi uomini e donne meriterebbe di essere ricordato e studiato, perché fu sulle loro spalle che si ricostruì il nostro patrimonio, disperso, danneggiato e saccheggiato dagli eventi bellici. Molti di loro avevano sopportato più che appoggiato il fascismo, difendendo per quanto possibile l’integrità e la funzione delle istituzioni che dirigevano, né del resto il regime, fatto salvo alcune angherie e sopraffazioni, aveva manomesso l’impianto tramandato dall’Italia liberale, anzi in alcuni casi il ministro Bottai si era fatto portavoce di misure di tutela importanti che sarebbero sopravvissute. Questi uomini e donne espressero probabilmente il meglio di sé durante gli anni difficili della guerra e del dopoguerra e furono in grado, spesso, come è emerso dal profilo di Bertini Calosso, di preparare i necessari cambiamenti organizzativi e museografici del futuro. Su di loro invece che il plauso della nuova Italia democratica scese, al contrario, uno sconcertante silenzio; sono stati, con qualche eccezione, quasi rimossi dalla memoria pubblica e la loro opera spesso passata sotto silenzio dai loro continuatori, spesso i loro allievi. Perché? La risposta a questa domanda è certo complessa, ma si può riassumere forse con una tendenza nazionale a non volersi guardare indietro, timorosi di scoprire qualche compromissione, quasi vergognandosi del proprio passato. Vi hanno contribuito i nuovi orientamenti anche organizzativi delle istituzioni statali, quali per esempio la regionalizzazione di alcuni istituti; vi ha avuto un ruolo un generico progressismo, alimentato dall’egemonia culturale sinistreggiante che guardava con diffidenza alle radici liberali del nostro stato. Oggi è un bene che si riscoprano questi nostri antenati e precursori, gli si dia il credito che meritano e si impari da loro tutto quello che c’è ancora da imparare e non è poco.