di Gabriella Mecucci
La storia del ristorante di Gubbio, dei drammatici sintomi di un’intossicazione di massa (vomito, diarrea), della carica a testa bassa dei social che hanno creato una gigantesca fake news ha richiamato giornalisti o sedicenti tali da mezza Italia. Cosa era successo davvero? Cibo avariato? Virus influenzale ? Un episodio in realtà (già la realtà) tutto sommato piuttosto marginale è diventato virale con tanto di filmati falsi, ripresi chissà dove, di informazioni distorte e enfatizzate, di foto ridicole che giravano all’impazzata nel web. E questo insieme di immagini e di parole si è trasformato in una risata collettiva che ha coinvolto decine di migliaia di persone. Una risata però non bonaria, ma con un’interna carica di aggressività e di manipolazione. Tantochè il ristoratore nel cui locale era avvenuto l’episodio ha minacciato querele. E ha dovuto farlo anche il sindaco di Gubbio, preoccupato dal discredito che ne stava derivando alla città
Quali i fatti? Qualche onesto cronista ha cercato di ricostruirli: si è trattato di un pranzo in un ristorante al termine del quale 15 commensali hanno avuto scariche di diarrea e conati di vomito dopo aver mangiato del pesce crudo portato al ristoratore da loro stessi. Niente di grave: non sono intervenuti medici, non è stata chiamata alcuna autoambulanza, nessuno è finito all’ospedale. E presto le stesse persone – più di cento – torneranno a cena nello stesso locale. Una roba che meriterebbe un titolo nella cronaca cittadina, forse in quella regionale. E invece la notizia è diventata virale nel web, in watsapp. Sono arrivate “Le Iene”, “Propaganda Live”, i giornali nazionali. Sono intervenuti il sindaco, l’ospedale di Branca e ancora la faccenda non si è placata. Naturalmente non si sa, e probabilmente non si saprà mai da che cosa sono stati provocati i malesseri che hanno colpito quella quindicina di persone. Dopo l’orgia virale di risate, degli accadimenti reali sembra non importi più niente a nessuno. Quello che attirava l’attenzione erano i filmati – peraltro falsi – della ricerca affannosa di una toilette o altre drammatizzazioni fatte circolare e non legate all’episodio specifico.
Signori, questa è una delle tante conseguenze della rivoluzione digitale. Questo è il “game”. Intendiamoci, non si tratta di demonizzarlo: ha anche aspetti positivi e il luddismo è sempre stato una sciocchezza da reazionari. E’ tempo però di analizzare anche i pesanti rischi che comporta il mondo del web e, andando oltre, la realtà virtuale. In questa gli incontri vengono sostituiti dai contatti che hanno la pretesa di valere come incontri, le azioni vengono sostituite da “click” che hanno la pretesa di valere come azioni, le immagini fatte di numeri e di algoritmi (cioè qualcosa di estremamente astratto) hanno la pretesa di essere considerati oggetti. Tutto questo assomiglia ad un grande equivoco che ha poco a che fare con la realtà, anche se si spaccia per realtà; per informazioni che arrivano prima e meglio, che sono più ricche e documentate di quelle televisive e della carta stampata. Il rischio per tutti noi è di perdere la capacità di fare “l’esame di realtà”,di operare una pericolosa scissione fra l’essere e l’apparire. E che questo diventi in pochissimo tempo un fatto di massa, virale appunto. Non somiglia tutto questo a ciò che è successo a Gubbio in formato ridotto? Per fortuna lì ha riguardato solo un pranzo e i suoi effetti, ma lo stesso metodo e cioè manipolazione dei fatti, fake news e quant’altro possono essere applicati a situazioni ben più drammatiche: una guerra, un attentato terroristico, uno scontro di piazza. Dio sa, quali possano essere le conseguenze di tali continue alterazione della realtà a livello di grandi masse. Le fake news, le manipolazioni – si può rispondere – sono sempre avvenute. Già, è vero, ma ora sta accadendo in modo diverso per quantità e qualità. Tutto diventa in pochi minuti virale e si colloca in una sfera quasi del tutto incontrollabile, mentre le intermediazioni sociali un tempo esistenti sono ormai quasi completamente saltate. E spesso non si riesce ad individuare nemmeno chi invia il messaggio manipolativo, mentre la vecchia informazione era identificabile. Si poteva rintracciare il giornalista, o la testata che diffondeva le notizie, i commenti. Si conosceva la loro attendibilità o inattendibilità. Oggi sempre più spesso non se ne sa niente.
Jaron Lanier, inventore e pioniere della realtà virtuale ci va giù pesante. Ecco alcuni suoi giudizi: “I social media stanno minando la verità”, “stanno distruggendo la tua capacità di provare empatia”, “ti rendono ansioso e infelice”. Per terminare con un consiglio perentorio: “Dovete uscirne e alla svelta. Riprendetevi la vostra libertà”. L’allarme viene innanzitutto dagli Usa, che sono il luogo di nascita del game, ma circola un po’ in tutta Europa. E tutti mettono al centro il potente rischio di manipolazione non solo dei fatti, ma della mente umana. Basta leggere un grande intellettuale francese come Paul Virillio che non si è stancato mai di mettere in guardia dal cyberspazio, “un
continente con una volontà manipolativa e di controllo dell’essere umano”. Ma non la pensano tutti così. C’è chi vede i lati positivi- e ce ne sono – di questo mondo.
E’ il caso, fra i tanti, dello scrittore italiano Alessandro Baricco, autore di The Game. Secondo lui con la rivoluzione digitalei fa la sua comparsa “un mondo nuovo”: aumentano gli spazi di libertà, di eguaglianza, di democrazia, di potere personale. Il movimento generato da una nuova cultura, rappresenta una sorta di “insurrezione” contro la rigidità, il dogma, le ideologie del Novecento, e scaccia dalla scena della storia i tragici eventi di questo secolo terribile. Tale radicale cambiamento di paradigma ha “detronizzato” le élite, ha minato i loro interessi castali e ha impresso alle nostre vite un andamento diverso: tutto ha un aspetto più ludico, giocoso, The Game, appunto. Ma anche per l’entusiasta Baricco, non si tratta di magnifiche sorti e progressive. I pericoli esistono, eccome. Ci sono incertezze, passo falsi, necessari ripensamenti. C’è il rischio, ad esempio, che si formino nuove élite castali anche più delle precedenti. Anzi, si sono già formate, mentre il game ha incoraggiato un nuovo individualismo di massa, che spesso si trasforma in egoismo e in cose persino peggiori. Pochi player veramente forti monopolizzano il mercato. La rivoluzione digitale tradisce così i suoi valori di partenza.
La vicenda eugubina è un pallido, piccolo esempio di cosa stiamo maneggiando. Di cosa possono diventare la rivoluzione digitale, i social, la viralità. Per non parlare della realtà virtuale e della realtà aumentata: delle grandi capacità di manipolazione della vita privata, dell’amministrazione, della politica che hanno. Non bisogna spaventarsi, ma imparare a vivere e a governare il “nuovo mondo”. Non sarà impresa né semplice né breve né indolore.
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