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di Gabriella Mecucci

Era bella Amanda. Era sexy, ambigua, inafferrabile. Frugando nella memoria non si trova un’ Amanda sola, ce ne sono almeno due, o forse tre o quattro. Sovrapposta alla personalità forte, trasgressiva, da protagonista, a un certo momento ne apparve una fragile, tenera, pallida, avvolta in colori pastello e bagnata da qualche lacrima: così la raccontava il sacerdote con il quale era solita incontrarsi all’epoca del carcere e dei processi. E ora è arrivata la terza Amanda, diventata amica del suo grande accusatore, Giuliano Mignini. E’ l’Amanda del perdono? Anche questa – a ben guardare – è una forma di trasgressione. C’è chi sospetta che in realtà si spieghi col fatto che vuol coinvolgere l’austero magistrato, ormai in pensione, in un docufilm ben retribuito. Ma tutto quello che fa Amanda viene sempre guardato con sospetto dai suoi detrattori e esaltato dai suoi sostenitori. Ed ecco spuntare amici e sodali che raccontano la sua nuova vita in un’isola vicino a Seattle, tutta casa e famiglia: una quotidianità di moglie, di madre con l’aggiunta di passeggiate nei boschi alla ricerca di funghi e bacche. E’ arrivata l’Amanda nature che lavora insieme al marito e che però non trascura i suoi affari: un libro di memorie da quattro milioni di dollari, tanto per dirne una. E ora un docufilm?
Chi è allora Amanda Knox? A 35 anni ha avuto una vita di avventure e disavventure, vissuta pericolosamente. Amanda è tutto e il contrario di tutto: una personalità sfaccettata, cangiante. E, senza dubbio, affascinante. In qualsiasi momento è sempre lei la protagonista. Di lei si parla e si sparla. Quando arrivò a Perugia, due mesi prima della tragedia di Meredith, in pochi giorni finì al centro dell’attenzione: i ragazzi dello “struscio” a Corso Vannucci, così come quelli dell’Università per Stranieri facevano a gara per invitarla. La città dei giovani era ai suoi piedi. E lei prendeva quello che voleva, proterva e anticonformista sino alla platealità. La leggenda voleva che possedesse un vibratore che teneva bene in vista. Vero? Falso? Nessuno lo sa con certezza.
L’avvocato Giulia Bongiorno disse che era stata dipinta come una “Venere in pelliccia”. Ma anzichè crudele e munita di frustino – come vuole il mito letterario masochista – era, secondo questa narrazione, una ragazza ingenua, dal cuore tenero. Quante iperboli, mitologie, pettegolezzi fiorirono intorno al suo volto d’angelo e alla sua forte personalità. Su di lei sono stati scritti più di una dozzina di libri. E a favore o contro di lei si è schierata la stampa di tutto il mondo, con i giornali Usa innocentisti e quelli inglesi colpevolisti. E’ stata l’oggetto dei giudizi più severi e delle più accorate difese: odiata, condannata, ma anche desiderata e ammirata. Il povero Sollecito è sempre stato una comparsa, un ballerino di fila, mentre lei era l’étoile.
I due varcarono le mura etrusche di Perugia e dilagarono in tutto il mondo una mattina di novembre, mentre si baciavano davanti ad una casa ai bordi della città. Lì dentro c’era il corpo straziato di Meredith Kercher. Erano stati loro a chiamare la polizia ed erano rimasti a farsi le coccole. Il giorno dopo tutti i telegiornali mandarono l’immagine di quei due bei ragazzi : lei volto pensoso, corrucciato e sorriso vagamente inquietante; lui imbambolato, gli occhi persi, dedito ad accarezzarla, abbracciarla, baciarla. Come non notarli così carini, ben vestiti, appassionati. Ma solo dopo qualche giorno diventarono “i fidanzatini diabolici”. La tv impazzava su e giù per Perugia: dai “plastici” di Bruno Vespa alle dirette di “Chi l’ha visto?”. I quotidiani sfornavano pagine e pagine ogni giorno. Intorno alla casa di via della Pergola e in tutta la città regnava un’atmosfera cupa, carica di oscure tensioni che strideva con le tenere effusioni dei due ragazzi. Il dolore per la morte dell’amica mal si conciliava anche con il racconto di un negoziante di corso Vannucci: disse alla polizia che Amanda e Raffaele erano andati ad acquistare biancheria intima hard e che si promettevano “sesso selvaggio”. Esibizioni giovanili? Crudo cinismo? Oppure l’eterna liaison fra amore e morte? O più semplicemente esagerazioni? Notizie che tracimano e si gonfiano passando di bocca in bocca? Quello che è sicuro è che in quei giorni ci fu una grandinata di racconti a base di sesso, alcol e droga. E che Perugia, un tempo tranquilla e un po’ noiosa, si trasformò in una città “dannata”, “regno della trasgressione giovanile”. “Una sorta di Ibiza”, come scrisse il Corriere della Sera.
Nel “pasticciaccio” di via della Pergola c’è tutto questo, con lei, Amanda, nel ruolo di femme fatale. In tanti corsero a guardare il suo blog: fiumi di parole, cascate di foto. Eccola in posa provocante col vestito scollato e le gambe lasciate nude da una minigonna da capogiro, eccola seducente col dito in bocca e lo sguardo da gatta, eccola in un filmato che la ritrae ubriaca fradicia. Accompagnata dalla fama di divoratrice di uomini, la notte girava per pub e raggiungeva la Red Zone – un luogo fuori Perugia nei pressi di Casa del Diavolo (nome evocativo). Il giorno – così si raccontava – Amanda studiava l’italiano, leggeva il suo adorato Calvino, ascoltava i Beatles e innaffiava piantine di marijuana. La notte, canne e sesso. Un’altra iperbole? Raffaele descriverà l’ambiente in cui vivevano così: “In Erasmus conosci tanta di quella gente da tutte le parti del mondo che alla fine, senza rendertene conto, entri in un giro di feste, viaggi, punti di ritrovo comuni e organizzazioni solo a scopo di divertimento che non ti lascia in pce nemmeno un secondo della giornata. A quel punto che fai? Puoi dire no la prima, la seconda, la terza volta, ma poi non ce la fai più ed entri anche tu nel gioco del fancazzismo”. Lo sventurato rispose sì anche perchè catturato dal fascino di Amanda. Condannati entrambi a divertirsi e a trasgredire.
Fra giochi più o meno proibiti si arrivò a quella tragica notte del primo novembre in cui la povera Meredith venne sgozzata con una coltellata. Passarono due giorni e Amanda confessò. Disse che lei era nella casa di via della Pergola e che c’erano anche il proprietario del pub dove lavorava, Patrick Lumumba, e Meredith. I due si erano appartati in camera da letto. Ad un certo punto sentì un urlo straziante ma non si mosse dalla cucina. Vero? Falso? Lì per lì il questore di Perugia prese per buona la versione e annunciò: “Il caso è chiuso”. Nemmeno a pensarci: il racconto faceva acqua da tutte le parti. Quella del capo della polizia apparve subito una dichiarazione sbagliata. Lo indusse in errore la fretta di rassicurare una città in subbuglio che voleva riconquistare il ruolo di capitale dell’Umbria felix. Non lo avesse mai fatto: di lì a poco si saprà con certezza che Patrick con quella storiaccia non c’entrava nulla. Quanto ad Amanda dirà che aveva raccontato una balla perché chi l’aveva interrogata era andato per le spicce, in pratica l’aveva picchiata. E poi non aveva compreso bene le domande perché non c’era un traduttore all’altezza. Insomma, tutto da rifare. Certo però che quello che stava accadendo era parecchio strano: perchè calunniare Lumumba? Era il modo di difendersi di una ragazza spaventata? Era una furbizia per allontanare i sospetti da sé? Nella notte dell’interrogatorio Amanda si comportò come una border line: si esibì davanti ai poliziotti facendo la ruota e la spaccata; disse che l’amica era stata sgozzata, che la morte era stata lenta e dolorosa, che l’aveva vista nello specchio. E tutto questo lo raccontò inframezzato dai “non ricordo” o da onirici “mi vedo quella sera..” Comprendere a fondo quello che Amanda diceva e perchè lo dicesse risultò molto difficile. Con lei era come andare sull’ottovolante. Lo psichiatra Vincenzo Maria Mastronardi descrisse così le sue caratteristiche psicologiche: “Accentuato narcisismo, rabbia e notevole aggressività, teatralità e tendenza alla trasgressione, scarsa empatia, anestesia affettiva”.
Fra carcere e processo arrivò un’altra Amanda a cui prima si era sovrapposta quella spregiudicata e anticonformista: faccia pulita colori pastello, occhi bassi, toni pacati, teneri sorrisi. Dietro le sbarre scriveva diari che trasudavano amore per Meredith e dolore per la sua scomparsa. Incontrava spesso un sacerdote e strinse un forte legame con un parlamentare berlusconiano: Rocco Girlanda che andò spesso a trovarla. Era incuriosito e convinto della sua innocenza, tantoché pubblicherà un libro sull’Amanda reclusa, dolce e disperata.
Mentre la ragazza aggressiva e trasgressiva di un tempo stava cambiando pelle, i suoi genitori riuscivano a creare negli States una forte corrente d’opinione a lei favorevole. In tanti cominciarono a seguire l’andamento del processo: nacque una vera e propria lobby che la sosteneva con all’interno personalità della cultura, della politica, del giornalismo. Riuscirono ad arrivare sino a Hillary Clinton che rilasciò una dichiarazione cauta ma inequivocabile subito dopo la condanna (26 anni): “Sono pronta ad incontrare chiunque abbia dei timori su come il caso è stato gestito”. E persino Giorgio Napolitano fece sapere che “il capo dello Stato si tiene costantemente al corrente di questa complessa vicenda”. Intanto spuntavano un po’ ovunque libri, film, documentari sull’argomento. Fra questi un lungo racconto (400 pagine) di Nina Burleigh, collaboratrice del “New Yorker” e del “New York Times”, dal titolo “Il fascino fatale della bellezza”. In modo colto e elegante l’autrice esprimeva però giudizi molto severi sull’Italia, su Perugia e sul sostituto procuratore Giuliano Mignini.
In Italia – questa la tesi – vigeva un’idea di femminilità diversa da quella americana: con al centro il ruolo di madre e di moglie. E da questo sistema di valori non poteva che discendere un marcato fastidio verso lo charme aggressivo di Amanda. Perugia era una città chiusa fra esoterismi massonici e vetero cattolicesimo. E Mignini null’altro che un clericale tradizionalista. In questo contesto culturale, la giovane americana di Seattle avrebbe pagato il suo essere tanto attraente per quanto spregiudicata. La vera maledizione sarebbe stata la sua bellezza. Insomma, condannata perchè diversa, non perchè colpevole. Una diagnosi a dir poco azzardata, ma di grande impatto negli Usa.
La grande campagna innocentista e un’abile collegio di difesa alla fine vinsero, e Amanda in appello venne assolta. Quel giorno, davanti al tribunale di Perugia c’erano centinaia di persone ad attendere la sentenza. E c’erano due rumorosi partiti: gli innocentisti (americani) e i colpevolisti (inglesi e italiani). Lei, faccia d’angelo, incassata l’assoluzione, se ne andò in lacrime fra applausi e insulti
Tutto finito? Nemmeno a pensarci. La sua forte personalità non tramonta mai. Rinasce a Seattle sotto forma di moglie e di madre. E di recente è tornata in Umbria: ha incontrato Raffaele Sollecito e persino il sostituto procuratore Mignini. I due sono diventati quasi amici. Di loro – c’è da giurarlo – si continuerà a parlare e a scrivere.
Amanda resta un’affascinante enigma.